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Onu: approvata la moratoria della pena di morte
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Con 104 voti favorevoli, 54 contrari e 29 astenuti, l'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato ieri la risoluzione di moratoria universale contro la pena di morte: contrario un fronte composito tra cui Stati Uniti, Cina, India e Giappone, Iran e Sudan. "Un passo coraggioso della comunità internazionale" - ha commentato il Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki Moon.
"Una vittoria della diplomazia italiana" sottolineano i quotidiani nazionali evidenziando i commenti del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, del Presidente del Consiglio, Romano Prodi, e del Ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. "Saluto con intensa commozione il voto con cui oggi l'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato la risoluzione che chiede a tutti i Paesi membri di sospendere l'esecuzione della pena di morte" - ha detto Prodi nel corso di una breve dichiarazione a Palazzo Chigi che ha rivendicato "con orgoglio" il ruolo svolto dall'Italia, che ha "promosso per prima l'iniziativa a favore del diritto e della dignità umana". Due tentativi analoghi negli anni Novanta fallirono in seno all'Assemblea.
Il testo della risoluzione:
- il testo originale
- la traduzione italiana
Un passaggio storico" - commentano le associazioni da anni impegnate nella 'Coalizione mondiale contro la pena di morte' (WCADP). "E' una pietra miliare che segna un nuovo standard morale largamente condiviso e che sarà sempre più difficile e imbarazzante ignorare a livello internazionale" - afferma la Comunità di Sant'Egidio. "E' il segno di un cambiamento importante nella coscienza del mondo, che in misura crescente ritiene non più accettabile e una umiliazione del fondamentale dei diritti umani, il diritto alla vita, la morte inflitta dallo stato. E' un cambiamento importante nella coscienza del mondo, come in passato per la schiavitù e la tortura" - sottolinea l'associazione da tempo in prima fila nella battaglia.
"Da domani, Amnesty International chiederà a tutti i governi di rispettare la moratoria" - afferma la Sezione italiana dell'associazione. "La risoluzione adottata questo pomeriggio è un ulteriore strumento di pressione, nelle nostre mani, per chiedere ai governi che ancora mantengono la pena di morte di avere coraggio. Come sempre, continueremo a lavorare ogni giorno per salvare vite umane in Iran, Cina, Arabia Saudita, Iraq e in quei pochi altri paesi che ancora si ostinano ad applicare la pena di morte" - ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione italiana di Amnesty International.
La risoluzione non obbliga gli Stati a sospendere le esecuzioni capitali o ad abrogare le leggi nazionali che prevedono la pena capitale, ma "non ha solo un alto valore simbolico" - commenta Antonio Cassese che in un articolo per 'La Repubblica' spiega gli importanti effetti pratici, il cui significato si potrà forse percepire soprattutto nel lungo termine. "Il primo consiste nel fornire un importante strumento di legittimazione politica ai numerosi Governi che vorrebbero applicare la moratoria o addirittura abolire la pena di morte, ma sono ostacolati dall'opinione pubblica interna o da alcuni movimenti politico-religiosi, che si accaniscono a voler punire l'assassinio (ma anche altri reati meno gravi) con la morte". "Gli altri effetti pratici - aggiunge l'ex presidente della Corte penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia - la risoluzione li produce nel quadro dell'Onu. D'ora in poi la questione della pena capitale è iscritta automaticamente all'ordine del giorno di ogni Assemblea Generale, per essere discussa ogni anno. Dunque, una questione che finora era tabù in seno ai massimi organi dell'Onu, diviene finalmente oggetto "normale" di dibattito politico-diplomatico. Si ha finalmente una presa di coscienza collettiva della necessità di ingerirsi in un recesso finora impenetrabile della sovranità statale, e di parlarne liberamente".
Sono 133 i paesi che hanno abolito la pena di morte nelle leggi o nella prassi. Nel 2006, solo 25 paesi hanno eseguito condanne a morte; il 91% delle esecuzioni ha avuto luogo in Cina, Iran, Iraq, Pakistan, Stati Uniti e Sudan. Il numero delle esecuzioni note ad Amnesty International, sempre nel 2006, è sceso a 1591, rispetto alle 2148 registrate nel 2005. [GB]