Oltre il mito della green economy

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Compromessi della green economy e le materie (prime) dei sogni

Anche il sogno della green economy deve scendere a compromessi con la realtà se vuole realizzarsi. Una volta alzata la testa affondata nel cuscino si vede più chiaramente come anche pale eoliche, pannelli fotovoltaici o impianti di riciclaggio non sono a impatto zero – mai potranno esserlo – a partire dai materiali che servono per metterli in piedi. Sono sempre le materie prime, per parafrasare la Commissione europea, le materie di cui sono fatti (questi) sogni. Ma occorre molta attenzione perché da questi compromessi non nascano dei voltafaccia mascherati.

Come racconta l’Ansa, durante la prima giornata universitaria delle materie prime (tenutasi a Roma), è emerso come in Italia siano presenti alcuni dei più grandi bacini al mondo di antimonio e titanio (e i più grandi in Europa) due elementi rari e fondamentali per l’industria tecnologica come smartphone e pannelli solari. Dei giacimenti che attualmente non vengono sfruttati.

«Abbiamo una cassaforte piena di ricchezza sepolta nel terreno e non la tiriamo fuori», ha dichiarato Andrea Ketoff, direttore generale di Assominerari, parlando delle due terre rare.

Mattia Pellegrini, responsabile per le materie prime nella Commissione europea, ha rincarato la dose ricordando come nel 2011 l’Ue abbia pubblicato «una lista delle materie da cui dipendiamo per tutte le tecnologie, e alcune di queste le importiamo al 100. Bisogna inoltre comprendere che non è possibile sostenere l’industria delle tecnologie verdi, così come tutto il mondo digitale, senza l’estrazione di questi minerali. Sono infatti insostituibili per realizzare celle fotovoltaiche o le turbine eoliche».

Una constatazione veritiera, ma non implica automaticamente che l’estrazione delle terre rare in questione sia ottimamente perseguibile anche nel nostro Paese: sicuramente avrebbe dei vantaggi economici dare il via libera ai cantieri, ma i costi ambientali potrebbero benissimo surclassare i benefici della bilancia commerciale. Non è possibile saperlo a priori di un’attenta valutazione ambientale, e non rassicura la constatazione successiva: «L’Italia è uno dei più grandi produttori di marmo, sabbie e cemento ma è anche ricca di idrocarburi e molti elementi preziosi che non vengono sfruttati». Preziosi sì, ma a che prezzo? Nei riguardi degli idrocarburi in particolare, il gioco non vale la (inquinante) candela.

Riportare coi piedi per terra la green economy non significa doverla appiattire su criteri di valutazione economicisti. Come i no a priori del fenomeno Nimby – Not in my backyard – sono deleteri per la concreta realizzazione di un’economia più sostenibile, altrettanto lo sono i desideri di bucherellare il nostro territorio con pozzi o miniere quali che siano. Ben vengano le prospezioni geologiche, ma con precisi criteri di sostenibilità ambientale e sociale, oltre che economica. Proverbiale, in merito, il non-esempio della Sen, la Strategia energetica nazionale.

Approvata dal governo Monti in scadenza di mandato, la sua effettiva operatività è ancor oggi oggetto di mistero, ma quel che è sicuro è che l’insistenza con la quale il documento si rivolge al potenziamento della struttura energetica fossile italiana. Alla presenza di una Strategia (o, forse più correttamente, di una sua bozza) che mancava da anni sullo scenario italiano si affianca così la presenza di ampi passaggi al suo interno decisamente criticabili.

Una commistione che finisce per trascinarsi ovunque, come nelle parole di Giovanni Lelli, Commissario dell’ENEA, che in apertura del convegno “La ricerca energetica in Italia: nodi e prospettive” sostiene giustamente che «solo il rafforzamento del sistema della ricerca e la sua armonizzazione con il tessuto industriale possono consentire alla green economy di affermarsi in Italia», per poi precisare però subito dopo che questo può avvenire anche «grazie agli strumenti operativi e legislativi della Strategia energetica nazionale».

Se la realtà non è mai bianca o nera, men che meno quella della green economy – e nello specifico della Strategia energetica nazionale – occorre ricordarsi di tracciare una linea tra ciò che in coscienza può essere definito economia sostenibile e ciò che non lo è. Ragionandone le opportunità in termini di valutazione scientifica, ma ricordando che infine il giudizio sarà di stampo squisitamente politico e, dunque, anche morale. Un qualcosa che i criteri economici ancora non riescono a misurare, per fortuna.

Luca Aterini

Fonte: greenreport.it 

 Green economy, terre rare e minerali: i limiti del pianeta valgono per tutti

Un’analisi recentemente condotta dai ricercatori del prestigioso Massachusetts Institute of Technology con un particolare focus sulle terre rare (MIT, Elisa Alonso et al., Evaluating Rare Earth Element Availability: A Casde with Revolutionary Demand from Clean Techonologies, Environmental Science and Technology, 46, 6; 406-414) giunge a indicare un’ombra sul futuro delle tecnologie pulite, tra cui l’eolico e le automobili elettriche. Lo studio avverte che le risorse globali di neodimio, utilizzato per i magneti delle turbine eoliche, e il disprosio, impiegato nei veicoli elettrici, con l’aumento vertiginoso della domanda di tecnologie pulite potrebbero presto scarseggiare sul mercato mondiale. Si è calcolato che nei prossimi 25 anni, se le emissioni di gas serra verranno ridotte secondo gli obiettivi fissati, la domanda di neodimio potrebbe aumentare del 700% e quella del disprosio del 2.600%. I mercati, però, potrebbero non avere la capacità sufficiente a soddisfare tale domanda. Questi “elementi delle terre rare” vengono estratti quasi esclusivamente in Cina, che applica restrizioni alle licenze estrattive e alle esportazioni per cercare di conservare le sue riserve.

Con il termine “terre rare” ci si riferisce alla serie dei lantanoidi (una volta definiti lantanidi) cioè un gruppo di 15 elementi chimici che presentano un numero atomico da 57 a 71. Gli elementi delle terre rare erano ritenuti in passato presenti solo in minerali rari, da cui il loro nome; in realtà sono un po’ più diffusi di quanto si ritenesse. I minerali in cui gli elementi delle terre rare sono presenti in quantità sufficiente per essere estratti sono diversi tra cui la monazite, la bastnaesite, la xenotina e anche, ma in misura minore, l’apatite e l’uraninite. Questi minerali sono localizzati, per più del 95% del totale, in Cina, negli Stati Uniti (soprattutto nel Minnesota) e in India; la Cina da sola ne dispone per l’80% circa.

Nei prossimi decenni, la sfida per garantire un’offerta di mercato sufficiente non è limitata a elementi poco conosciuti. Si estende a risorse più comuni, come il fosforo, minerale vitale per l’agricoltura, e a metalli come rame e oro. Poiché tali risorse non sono rinnovabili, un gruppo sempre più folto di analisti teme che, mentre nel 20° secolo le risorse minerari ed i metalli erano più facilmente accessibili ed economici da estrarre, in questo secolo, le risorse non rinnovabili da portare sul mercato potrebbero essere sempre più scarse e costose.

Il neodimio e il disprosio non sono geologicamente limitati e, come per molte altre risorse minerarie, vengono continuamente identificati nuovi giacimenti (ora la Groenlandia viene identificata come nuova possibile fonte di elementi delle terre rare). Il problema invece riguarda l’accessibilità dei minerali e dei metalli, e se la loro estrazione possa continuare a essere redditizia. L’energia costituisce un input che desta forti e motivate preoccupazioni, in particolare con la consapevolezza sempre maggiore di un “picco del petrolio” e con l’ovvia problematica della finitezza dei combustibili fossili.

Il concetto di EROI (Energy Return on Energy Invested, il ritorno energetico sull’investimento energetico), originariamente proposto da noti studiosi di energetica come Cutler Cleveland, Charles Hall, Robert Herendeen e Randall Plant, è molto importante in queste analisi. La logica dell’EROI è molto chiara: le trivellazioni petrolifere o le estrazioni di carbone non hanno molto senso se l’energia necessaria all’estrazione è maggiore di quella estratta, cioè se il ritorno energetico sull’investimento energetico è negativo.

Di fatto, gli analisti ritengono che la quantità di energia investita nelle trivellazioni e nel pompaggio sia in rapido aumento e le rese dei pozzi e delle miniere in calo: l’EROI sta precipitando a livelli preoccupanti. Il già citato Cutler Cleveland della Boston University ha riscontrato che l’EROI di petrolio e gas negli Stati Uniti è calato da 100:1 nel 1930 (vale a dire che con l’energia prodotta da un barile di petrolio se ne potevano estrarre 100) a 30:1 nel 1970 e 11:1 nel 2000. In altre parole, è necessaria sempre più energia per estrarre lo stesso quantitativo di energia, mano a mano che le imprese scavano o trivellano sempre più in profondità estraendo risorse di qualità inferiore che necessitano di una lavorazione più intensiva.

Le implicazioni fanno riflettere. Il surplus, o energia netta, cioè l’energia liberata dalle miniere o dai pozzi dopo un investimento energetico di un barile di petrolio o di una tonnellata di carbone, ha costituito un elemento fondamentale degli straordinari progressi degli ultimi due secoli tra cui quelli tecnologici, economici e sociali. Senza esagerare, il surplus di energia ha costituito veramente il fondamento materiale della nostra civiltà. Ora, poiché è necessaria sempre più energia per estrarne sempre più, è disponibile sempre meno surplus energetico per tutte le altre attività economiche, tra cui l’industria mineraria e altre attività estrattive.

Ci ricorda Gary Gardner del Worldwatch Institute che un EROI in pareggio potrebbe essere molto più elevato di 1:1. Il già citato Charles Hall della State University di New York calcola l’EROI minimo dei carburanti per i trasporti a 3:1, dopo aver considerato l’energia necessaria per la lavorazione del combustibile, per la costruzione dei macchinari per utilizzarlo (ad esempio un auto) e per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture (ad esempio le autostrade) necessarie ai macchinari. Ma le destabilizzazioni economiche potrebbero farsi sentire molto prima di raggiungere la soglia del 3:1.

Il modello di Hall indica che gli incrementi dei prezzi dovuti a un calo dell’EROI tendono ad accelerare quando l’EROI raggiunge il 10:1 circa, molto vicino a un EROI 11:1 previsto da Cleveland per il 2000. Una volta raggiunta la soglia dell’ascesa dei prezzi per i vari combustibili fossili, la fattibilità di qualsiasi processo che implica l’uso di energia fossile viene seriamente messa in discussione. Un’altra dinamica ancora poco nota che potrebbe avere degli effetti sulle attività estrattive è che le tendenze all’aumento dei prezzi di una risorsa potrebbero allargarsi ad altre.

Il McKinsey Global Institute sottolinea che i prezzi di quattro categorie di beni di consumo, energia, metalli, materie prime per l’agricoltura e cibo, sono oggi interconnesse come non lo erano mai state nel secolo scorso. Ciò significa che i prezzi degli input, come acqua ed energia, possono combinarsi elevando i costi dell’industria estrattiva.

È sempre più evidente che abbiamo di fronte a noi un immediato futuro molto complesso e difficile da affrontare; potremo affrontarlo bene solo cambiando veramente rotta all’impostazione dei nostri modelli di sviluppo.

Gianfranco Bologna

Fonte: greenreport.it

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