www.unimondo.org/Notizie/Nuovi-cittadini-God-bless-Italia-146797
Nuovi cittadini: God bless Italia?
Notizie
Stampa
Washington D.C. - “There is no better place to be” ricorda con convinzione e un po’ di retorica lo speaker, mentre sfilano bande, ballerini, ginnaste, macchine d’epoca, gruppi folkloristici, rappresentanze dei vari corpi armati statunitensi e … bandiere, tante bandiere a stelle e strisce. Tra le note che accompagnano questa tradizionale parata del 4 luglio a Washington D.C., tornano ripetutamente quelle di “God bless America“, la canzone che Irving Berlin, immigrato con la sua famiglia all’età di cinque anni dalla Siberia negli Stati Uniti, compose all’inizio del 1900 “con tutto il cuore di un immigrato che ama la sua nuova patria come solo un immigrato può fare” come scrive Corrado Augias nel suo libro “I segreti di New York”. Si tratta di una canzone che va contestualizzata in un preciso momento storico e che racconta un sentimento nei confronti della nuova patria che non vuole evidentemente esaurire un tema così complesso come quello dell’immigrazione negli Stati Uniti. Lo straordinario museo di Ellis Island a New York e più recenti reportages ci ricordano con chiarezza che, ieri come oggi, il rapporto tra gli States e l’immigrazione non può certamente dirsi né semplice, né idilliaco.
Consci di tutto ciò, consapevoli che la storia italiana è senz’altro molto diversa da quella degli Stati Uniti e che il tema presenta ampie complessità, non possiamo comunque non farci interpellare dalle parole di “God bless America” cantate con lo sfondo di un tripudio di bandiere a stelle e strisce. Il commento di Augias rispetto alla genesi della canzone di Berlin ci riporta con forza alle migrazioni in corso verso il nostro paese: ma qual è il sentimento degli immigrati in Italia rispetto a questa “nuova patria”? Quale in particolare la percezione del rapporto che hanno con il “nostro” paese coloro che, come già Berlin più di un secolo fa negli Stati Uniti, arrivano o nascono oggi in Italia?
Secondo il XXIII Rapporto Immigrazione 2013 di Caritas e Migrantes, in Italia nel 2013 “la crescita interna dei migranti – per ricongiungimenti familiari, le nuove nascite – viene pressoché annullata da rientri e dalle partenze per altre destinazioni europee e del mondo di numerose persone e famiglie migranti”. Se dunque per una parte dei migranti che varcano i nostri confini, l’Italia è un paese di passaggio, molto diversa sembra essere la prospettiva e la progettualità di quanti sono in Italia per ricongiungimento familiare o per il fatto di esservi nati (80.000 unità nel 2012). L’approccio della rete G2, che dà voce alle così dette seconde generazioni, colloca il tema del rapporto con l’Italia in una cornice particolarmente interessante: “la Rete G2 – Seconde Generazioni” si legge nell’omonimo sito “è un’organizzazione nazionale apartitica fondata da figli di immigrati e rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. Chi fa parte della Rete G2 si autodefinisce come “figlio di immigrato” e non come “immigrato”: i nati in Italia non hanno compiuto alcuna migrazione, e chi è nato all’estero ma cresciuto in Italia non è emigrato volontariamente, ma è stato portato in Italia da genitori o altri parenti. “G2” quindi non sta “per seconde generazioni di immigrati” ma per “seconde generazioni dell’immigrazione”, intendendo l’immigrazione come un processo che trasforma l’Italia, di generazione in generazione.” Non c’è incanto, né retorica, ma la constatazione serena e indubbia di una appartenenza di fatto. Per dirla con il titolo semplice e diretto del libro della scrittrice Igiaba Scego “La mia casa è dove sono“. “Home” chiamava Irving Berlin gli Stati Uniti.
Se per queste generazioni l’Italia è percepita come casa perché luogo i cui si è cresciuti e ci si è radicati, quello che ancora continua a mancare è il riconoscimento legale di questa appartenenza, il diritto alla partecipazione in quanto cittadini. Due sono le proposte di legge avanzate dalla campagna L’Italia sono anch’io nel 2012: quella per la partecipazione e il diritto di voto e quella sulla cittadinanza, che comprende il famoso tema dello ius soli. I lavori della commissione Affari Costituzionali vanno però a rilento e anche nella recentissima sessione di giugno il tema della cittadinanza non ha trovato spazio, come ci ricorda il sito stranieriinitalia.it.
Le domande sorgono spontanee: come può uno Stato pensare di crescere e di far crescere lo spirito di appartenenza, di rispetto dei diritti e dei doveri, di partecipazione alla vita sociale e politica se non è in grado di riconoscere chi già è e se ne sente parte? Quale scarsa lungimiranza può avere ogni gesto che anziché coinvolgere per il bene di tutti le tante forze ed energie presenti sul suolo italiano, ci tiene a marcare le distanze e le differenze, creando lontananze e muri anziché comunità?
L’invito è a guardare al valore magari un po’ retorico di quelle bandiere a stelle e strisce che il 4 luglio sventolavano in tutti gli Stati Uniti e a chiederci se non sarebbe lungimirante anche in Italia dare maggiore valore alla nostra, di bandiera, come simbolo di democrazia, appartenenza e partecipazione ad uno stato e ad una costituzione che in tante e tanti sentono già loro, pur senza che gliene venga riconosciuto il diritto.