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Not in my planet: inquinamento, arte e… qualche perplessità
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Inaugurata al MUSE – Museo delle Scienze di Trento lo scorso 12 aprile, la mostra “Not in my planet” espone una serie di opere fotografiche che raccontano, come frammenti sparpagliati, storie di inquinamento da plastica nelle acque e sulle coste del mondo.
Autrice la pluripremiata fotografa Mandy Barker, che ha elaborato graficamente residui di rifiuti rinvenuti in diverse aree del mondo, per creare opere di indubbio impatto visivo, esteticamente molto incisive, qualitativamente ineccepibili.
Composta da 4 sezioni pensate per guidare il visitatore (ammesso che prima di addentrarsi tra le immagini si prenda il tempo di leggere i pannelli didascalici) e stimolare una risposta nell’osservatore, l’esposizione coglie alla sprovvista, da un lato per l’attrazione estetica che genera l’immagine, dall’altro per la consapevolezza rispetto al soggetto che di quell’immagine è indiscusso protagonista e che di esteticamente rilevante avrebbe altrimenti ben poco.
La sezione SHOAL (banco), per esempio, è testimonianza del detrito plastico marino raccolto durante la Japanese Tsunami Debris Expeditionche, nel 2012, ha navigato attraverso la distesa di resti che lo tsunami scatenatosi nell’Oceano Pacifico settentrionale ha lasciato dietro di sé. La serie SOUP (zuppa), invece, richiama il nome dato ai detriti plastici galleggianti in mare, in particolare alla massa accumulatasi nella cosiddetta “Garbage Patch”, senza mezzi termini una vera e propria isola di plastica in mezzo al Pacifico. La terza serie, INDEFINITE (indefinito), si concentra sui detriti abbandonati e ritrovati lungo le coste: tempi diversi di permanenza in mare ne smussano in varie forme e intensità i contorni, facendo sì che gli oggetti assumano le sembianze di creature marine, le stesse per cui - in mare - la plastica si rivela fatale. Ogni fotografia è accompagnata da una breve didascalia che riporta il numero di anni che ciascun materiale impiega a decomporsi, una sorta di linea del tempo che si perde… nel tempo indeterminato del polistirolo. E infine SNOW FLURRY (raffica di neve), che si appoggia all’associazione tra rifiuti e cristalli di ghiaccio. Così come in natura non esistono due fiocchi di neve identici, così anche i detriti bianchi recuperati in mare diventano metafora di una tempesta fatta di manufatti e trame differenti, accomunati dal luogo di ritrovamento, il litorale della Riserva Naturale di Spurn Point in Gran Bretagna.
L’obiettivo dichiarato della mostra è noto: catturare l’attenzione del visitatore e far riflettere sull’inquinamento e l’incredibile abbondanza di rifiuti, ovvero uno tra i principali problemi che affliggono il Pianeta. E certamente l’attenzione la mostra la cattura, compresa quella dei più piccoli. Mentre leggo una delle didascalie sui fili di plastica, una bimba si avvicina e con la franchezza dei più piccoli esprime tutto il suo stupore davanti a uno dei quadri forse più impressionanti. Una busta di plastica arancione che si staglia su un cupo sfondo nero. Angoscia e tristezza pervadono l’osservatore che sa cosa stia guardando in realtà. Eppure, il commento della madre mi spiazza: “Hai visto Sabrina? Hai visto che bel disegno?”
Rabbrividisco. E se fino a pochi secondi prima la mostra mi era sembrata una soluzione briosa, interessante e incisiva per sensibilizzare sul tema, d’improvviso qualcosa si frantuma. Va a sbriciolarsi in mille pezzi tra i microresidui immortalati nelle opere. Insomma, passeggiando tra i pannelli la sensazione è scomoda. Il rifiuto diventa bello.Lo diventa attraverso gli occhi di una bambina che non ha ancora consapevolezza della realtà, lo è attraverso gli occhi di una madre che forse non l’avrà mai. Mi chiedo d’un tratto se lo scopo ambizioso con cui l’installazione è stata pensata sia stato raggiunto. È un attimo, certo, un solo commento tra i tanti che invece non ho sentito, ma è quello che ha squarciato con l’ingenuità quella lettura per altri, me compresa, scontata.
L’esposizione, frutto della collaborazione con l’Agenzia per la Depurazione della Provincia autonoma di Trento e con gli Enti gestori della raccolta dei rifiuti, si situa nell’ambito di una campagna di informazione per la lotta all’inquinamento da plastica, articolata in numerose iniziative calendarizzate su tutto il 2019. Non solo la mostra quindi, ma anche visite guidate agli impianti di recupero/smaltimento dei rifiuti, convegni tematici, concorsi e campagne on-line. Perché quello non è un “bel disegno” piccola, è un tremendo residuo nella nostra incuria, del nostro egoismo, del nostro stare al mondo come se non ci fosse un domani. Un domani che dovrai guardare presto in faccia con gli occhi della realtà, perché sarà certo più tuo che mio.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.