Nel 2014 nuovi record dell’export di armi italiane e bresciane

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Nonostante i malumori delle industrie armiere nazionali e le lamentele tra fine e inizio anno degli armaioli lombardi, il 2014 ha segnato la seconda miglior performance di un quarto di secolo per le esportazioni italiane di armi e munizioni, militari e comuni. Una chiara ripresa del  4% rispetto al 2013 tanto che, con oltre 1,3 miliardi di euro le esportazioni del 2014 si avvicinano al record storico del 2012 (circa 1,4 miliardi di euro). Ma soprattutto è record ventennale delle esportazioni di armi dalla provincia di Brescia: nel 2014 hanno superato i 346 milioni di euro con un incremento del 9,5% rispetto al 2013. Nemmeno ai tempi in cui nella bassa bresciana si producevano e si esportavano le famigerate mine antipersona della Valsella Meccanotecnica (poi finalmente passata a produzioni civili) gli affari andavano cosi bene.

Ma non è detto che sia una buona notizia: a meno ché, come spesso accade in Italia, non si voglia sposare l’idea che per riscaldare il proprio pentolino della minestra non ci si debba curare del fatto che si sta appiccando fuoco ad una foresta. Il rischio non è poi cosi remoto. Infatti – come spiegherò oggi a Brescia in una conferenza stampa insieme agli altri ricercatori dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e di Difesa (OPAL) con dovizia di dati, tabelle e analisi (che dalle 18 potrete scaricare anche da qui) – una parte sempre più consistente delle armi italiane e bresciane va a finire nelle zone di maggior tensione del pianeta.

A cominciare dal Medio Oriente infuocato da guerre e conflitti: sono state più di 157 milioni euro le esportazioni di armi e munizioni italiane di cui più di 26 milioni di euro sono state inviate dal solo distretto armiero bresciano. Al Nord Africa attraversato da continue tensioni interne che registra un record di 46 milioni di euro di export di armi italiane e una top performance anche dell'export di armi bresciane che rispetto al 2013 sestuplicano svettando oltre i 27,5 milioni di euro. Alle new entry dell'area asiatica come le ex-repubbliche socialiste sovietiche governate da dittatori e autocrati (Turkmenistan, Kazakistan ecc.): le esportazioni italiane di armi e munizioni verso i paesi dell’Asia (circa 180 milioni di euro) sono quasi raddoppiate tra il 2013 e il 2014 cosi come lo sono quelle dalla provincia di Brescia (18 milioni di euro). Per non parlare dei paesi dell’America latina, i cui apparati di polizia e delle forze armate non brillano certo per l’osservanza dei diritti umani e per la tutela della libertà civili e democratiche (pensate al Messico e al Guatemala): più di 51 milioni le armi e munizioni spedite nel 2014 dall’Italia in America latina di cui oltre 13 milioni dalla sola provincia di Brescia.

Non è quindi un caso che in tendenziale calo siano soprattutto le esportazioni verso i paesi  occidentali, cioè i tradizionali principali acquirenti delle armi italiane. A cominciare dai paesi dell’Unione europea che, vero, nel 2014 registra una certa ripresa (più 6,8%) tanto da superare i 481 milioni di euro di cui oltre 230 milioni dirette in Francia: si tratta soprattutto di armi e munizioni di tipo militare e, infatti, le esportazioni di armi e munizione dalla provincia di Brescia, principale zona di esportazione delle “armi comuni”, hanno segnato un calo del 4% ed i 76,7 milioni di euro di esportazioni del 2014 sono lontani dagli oltre 108 milioni di euro (in valori costanti) di una decina di anni fa. 

Ma soprattutto in forte diminuzione sono le esportazioni di armi e munizioni italiane e bresciane verso i paesi dell’America settentrionale: segna infatti una flessione del 2,6% l’export verso quest'area da tutto il territorio nazionale e nel 2014 si ferma a 273 milioni di euro. Ancora più accentuato è il calo (meno 8,6%) di esportazioni dalla provincia di Brescia tanto da non raggiungere i 127 milioni di euro. Va però tenuto presente che, paradossalmente, proprio gli annunci di possibili restrizioni sul possesso delle armi da parte dell’amministrazione Obama e di numerosi governatori degli Stati Uniti a seguito delle varie stragi e sparatorie, avevano fatto registrare nel biennio 2012-13 un boom di esportazioni soprattutto di “armi comuni” proprio dal distretto armiero bresciano. Annunci che – come ha dimostrato un’approfondita inchiesta del New York Times del dicembre 2013, cioè ad un anno esatto dalla strage in Connecticut – sono risultati senza conseguenze: anzi  delle 109 nuove leggi approvate nei vari Stati a stelle e strisce solo poco più di un terzo hanno effettivamente rafforzato le restrizioni sulle armi, mentre la maggior parte – soprattutto per le forti pressioni della lobby armiera yankee capitanata dalla National Rifle Association (NRA) – le ha di fatto ammorbidite. 

Tradizionalmente marginali le esportazioni di armi e munizioni verso l’Oceania: da tutta Italia e per armi militari e comuni nel 2014 non raggiungono i 17 milioni di euro segnando però un incremento del 10,6% rispetto al 2013; incremento ancor più accentuato dell’export del distretto bresciano (più 20,3%) le cui esportazioni verso questa zona sfiorano i 7,5 milioni di euro. Ancor meno rilevanti (ed è una buona notizia vista la situazione) le esportazioni verso i paesi dell’Africa sub-sahariana: è proprio verso questa zona che nel 2014 si sono registrate le maggiori contrazioni sia a livello dell’export nazionale (meno 24%) con valori che non hanno superato di poco i 7 milioni di euro, sia per quello bresciano (meno 42,3%) che ammonta a meno di 2,7 milioni di euro. 

Ma attenzione. Non stiamo qui parlando di esportazioni di sistemi militari costosi e complessi come i caccia, gli elicotteri militari, le fregate e le corvette, i carriarmati, i blindati e i sistemi missilistici: per conoscere le esportazioni italiane di questi materiali d'armamento a tipico impiego militare occorrerà aspettare ancora un po’ di giorni quando il governo Renzi, invierà alle Camere la relazione annuale su queste esportazioni. Ai sensi della legge 185 del 1990, dovrebbe essere predisposta e inviata al Parlamento entro il 31 marzo, ma da alcuni anni è resa pubblica nei mesi estivi, guardacaso tra luglio e agosto. Non che il Parlamento bruci dalla bramosia di prenderla in esame: da quanto ne so, solo lo scorso 18 febbraio le Commissioni riunite di Esteri e Difesa della Camera hanno dedicato un po’ di attenzione (meno di 50 minuti) all’esame della Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazioni dei materiali di armamento riferita all’anno 2013. Roba di due anni fa: nel frattempo sono partite tonnellate di container di armi e munizioni per le più svariate destinazioni e senza alcun controllo parlamentare.

Stiamo invece parlando di un gran calderone di armi e munizioni che variano dalle armi automatiche (mitragliatori, fucili di precisione e fucili d’assalto, carabine, pistole ecc.) che per la loro spiccata potenzialità di offesa sono destinati alle forze armate estere per l’impiego bellico, a tipologie di armi di tipo semiautomatico destinate alle forze di polizia e a corpi di sicurezza pubblici e privati oltre che per la difesa personale, fino alle armi impiegate per le discipline sportive, per le attività venatorie (ma non per questo meno letali) e alle repliche di armi per i collezionisti.

I dati sulle esportazioni di questo insieme di armi e munizioni sono sepolti nei database del commercio estero di Istat e Eurostat e raramente vengono presi in esame dai ricercatori dei blasonati centri di ricerca nazionali e dai giornalisti e, di conseguenza vengono tranquillamente ignorati da gran parte delle rappresentanze politiche. Come se esportare armi e munizioni non avesse a che fare direttamente con la politica estera, di difesa e di sicurezza del nostro paese. Si pensi alla Libia di Gheddafi, al quale l’Italia ha esportato, oltre ad un intero arsenale bellico, anche 11mila tra carabine, fucili e pistole semiautomatiche della Beretta di Gardone Val Trompia destinate alla Pubblica Sicurezza del rais che furono inviate come “armi comuni” (tanto che le cifre esatte sono presenti nel database dell’Istat). Il giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrando nell’agosto del 2011 nel bunker di Gheddafi riportava testualmente: “Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, dopo l’arrivo dei soldati americani, il 9 aprile del 2003”. 

Dove siano finite e chi stia usando adesso quelle montagne di armi italiane non è mai stato chiarito. Quello che invece è chiaro è cosa sta succedendo adesso in Libia. Ma si sa, siamo un popolo che apprezza i guadagni privati (delle industrie armiere) e se ne frega delle spese pubbliche. Tranne ogni tanto lamentarsene se ci tocca soccorrere quelli che scappano da guerre e conflitti. Persone che qualcuno si ostina a chiamare “clandestini” dopo aver contributo ad armare per anni i loro dittatori. Con armi spesso spacciate per “armi comuni”. 

Giorgio Beretta
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