Mozambico: a 40 anni dall’indipendenza è di nuovo terra di conquista?

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Chi mai metterebbe un kalashnikov sulla propria bandiera nazionale? A primo acchito pare un po’ strana la scelta di inserire un’arma sull’oggetto che rappresenta il simbolo dell’identità di un popolo. Lo diventerebbe forse meno se quel popolo fosse riuscito ad essere riconosciuto tale, ottenendo la sovranità nazionale e il diritto all’autodeterminazione, solo dopo aver impugnato un kalashnikov? Allora quel micidiale fucile sarebbe nobilitato a strumento della determinazione a difendere la propria terra. È quanto ritengono gli uomini del Frelimo che, alla fine della sanguinosa guerra di indipendenza del Mozambico per liberarsi dal giogo coloniale portoghese, posero sulla stoffa a strisce colorate orizzontali della bandiera un triangolo rosso con al centro una stella gialla a cinque punte sulla quale sono collocati un libro aperto, una zappa e un kalashnikov AK-47 incrociati fra loro. Non esiste altra bandiera al mondo che faccia bella mostra di un’arma moderna. L’istruzione e l’agricoltura si uniscono dunque alla difesa del Paese, illuminati e guidati dalla fede nel socialismo.

Sono trascorsi 10 anni da quando l’opposizione politica del Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana) ha proposto la modifica della bandiera con l’eliminazione tanto della stella socialista quanto del kalashnikov. Finora, però, il Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo), il movimento armato filo-marxista che detiene il governo dal 1975 ininterrottamente fino a oggi, non accenna ad accordare alcun cambiamento in tal senso e si accinge piuttosto a festeggiare il quarantesimo anniversario dell’indipendenza nazionale. Come per le altre colonie africane del Portogallo (Angola, Guinea Bissau, Isole di Capo Verde, São Tomé e Príncipe), il Mozambico fu tra gli ultimi territori al mondo ad ottenere l’indipendenza coloniale nella metà degli anni ’70 dopo una sanguinosa guerra di liberazione nazionale che costituì un nuovo braccio di ferro, sul campo di battaglia, fra i due blocchi della guerra fredda. Il Portogallo, il Paese che per primo conquistò porzioni del territorio dell’Africa dal XV secolo, fu l’ultima potenza europea ad accettare l’emancipazione delle sue colonie, inasprendo la repressione dei movimenti di liberazione nazionale supportato, in questa folle quanto anacronistica lotta, dai finanziamenti ma soprattutto dalle armi della NATO. Solo la transizione democratica interna a seguito della Rivoluzione dei garofani indicò a Lisbona la strada da percorrere per riposizionarsi nell’alveo degli Stati democratici e il Paese procedette rapidamente alla decolonizzazione dei propri possedimenti coloniali. Il Mozambico divenne indipendente il 25 giugno 1975.

Appare davvero curioso che oggi, a distanza di appena 40 anni, i portoghesi abbiano ripercorso la strada fino alla loro ex colonia per cercare una via di uscita alla crisi economica che li affligge. Dopo il boom dell’Angola, l’emigrazione dei portoghesi verso il Mozambico non deve affatto stupire tenendo conto di una crescita del Paese pari al 7-8% annuo e alle buone prospettive per un impiego o un investimento. Dal 2012 i voli aerei tra Portogallo e Mozambico hanno avuto un’impennata del 26% e le cifre ufficiose parlano di un aumento esplosivo dei residenti portoghesi nell’ex colonia, passati da 4mila a circa 25mila. Cifre da capogiro che fanno registrare anche la posizione irregolare di diversi immigrati portoghesi che si trattengono sul territorio mozambicano fingendo un soggiorno turistico o ancora ottenendo illegalmente i visti di accesso e mentendo sulle ragioni del soggiorno. Un dato che imporrebbe un cambio di prospettiva a quei tanti cittadini europei che immaginano l’immigrazione in un’unica direzione.

Le recenti scoperte di giacimenti di gas naturale e di carbone nella regione settentrionale del Paese, le concessioni minerarie e forestali, la necessità di costruzione di servizi per uno Stato in forte crescita e fino a pochi anni fa tra i più poveri del mondo non possono che incrementare questo flusso di investitori, di manodopera e di lavoratori specializzati o di alta formazione. Anche il suolo fertile e le condizioni climatiche ideali per l’agricoltura rendono i suoi territori appetibili, tanto che il Mozambico è uno dei principali Paesi interessati dal fenomeno del landgrabbing. La concessione di terre coltivabili agli investitori stranieri passa anche attraverso la promessa della fornitura di servizi quali ambulatori medici, scuole, pozzi per l’acqua potabile. Impegni spesso saldati più con l’“oliare” gli ingranaggi della corrotta macchina amministrativa mozambicana che con l’effettiva realizzazione delle opere. Nel 2009 il governo ha inoltre firmato un colossale accordo con Brasile e Giappone per sviluppare un progetto agricolo chiamato ProSavana, che destinerebbe ben 14 milioni di ettari del Mozambico settentrionale (un territorio più grande della Grecia) alla produzione di soia su scala industriale. Un progetto che sta provocando ampie reazioni di protesta tra i 4 milioni di mozambicani che abitano quel territorio e che coltivavano quelle terre, ora espropriate.

A distanza di 40 anni dalla cessazione della colonizzazione portoghese, il Mozambico oggi è questo: una terra di conquista e di immigrazione di investitori stranieri alla ricerca di opportunità, una regione africana in cui le condizioni delle piccole comunità agrarie continuano a essere di estrema povertà e fragilità, e infine un Paese amministrato sempre dalla stessa classe dirigente che ha abbandonato il modello socialista per abbracciare una spregiudicata forma di capitalismo.

Uno status quo che appare inaccettabile alla maggioranza della popolazione del Mozambico. Libro, zappa, kalashnikov: quale strumento sarà utilizzato come forma di difesa?

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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