Mondo: 76 sindacalisti assassinati nel 2008, in Colombia 49 casi

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Sono stati 76 i sindacalisti uccisi nel 2008 nel mondo per le loro azioni in difesa dei diritti dei lavoratori e molti di più sono stati percossi o hanno subito persecuzioni, intimidazioni o arresti da parte delle autorità. E' quanto emerge dal Rapporto annuale sulle violazioni dei diritti sindacali dell'Ituc, dove sono riportate in dettaglio le violazioni dei diritti sindacali fondamentali in 143 paesi. Il numero di omicidi è calato dai 91 dell'anno precedente.

In Colombia, che è noto come il luogo più pericoloso sulla terra per i sindacalisti, è invece cresciuto a 49 casi – dieci in più rispetto all'anno precedente. La recrudescenza di omicidi ha avuto luogo nonostante le assicurazioni da parte dell'amministrazione del presidente colombiano Alvaro Uribe che la situazione era migliorata. Nove sindacalisti sono stati assassinati in Guatemala, che negli ultimi anni ha visto un aumento di violenti attacchi contro i rappresentanti sindacali e gli iscritti.

Quattro sono stati uccisi nelle Filippine e in Venezuela, in Honduras tre, due in Nepal e uno ciascuno in Iraq, Nigeria, Panama, Tunisia e Zimbabwe. In un certo numero di casi – denuncia l’Ituc -, i governi sono stati direttamente o indirettamente coinvolti in omicidi. Un totale di 50 gravi minacce di morte sono state registrate in sette paesi, con circa 100 casi di aggressioni fisiche in 25 paesi.

I governi in almeno 9 paesi – prosegue il Rapporto - (Birmania, Burundi, Cina, Cuba, Iran, Corea del Sud, Tunisia, Turchia e Zimbabwe) sono stati responsabili di aver incarcerato i sindacalisti in considerazione delle loro legittime attività a sostegno dei lavoratori. “Il fatto che alcuni paesi, come la Colombia, Guatemala e le Filippine appaiano, anno dopo anno, sull’elenco degli omicidi dimostra che le autorità non sono, nella migliore delle ipotesi, in grado di garantire la protezione e, in alcuni casi sono complici di datori di lavoro privi di scrupoli”- ha dichiarato il segretario generale dell’Ituc Guy Ryder.

Circa 7.500 casi di licenziamento di lavoratori coinvolti in attività sindacale sono stati registrati in un totale di 68 paesi, compresi 20 paesi nella sola Africa. Questi casi sono, tuttavia, solo la punta di un iceberg, con un gran numero di licenziamenti non registrati. Il paese con il peggior record di licenziamenti è stata la Turchia (2 mila casi), seguita dall’Indonesia (600), Malawi, il Pakistan, Tanzania e Argentina. In Birmania, Cina, Laos, Corea del Nord, Vietnam e un certo numero di altri paesi, è permesso solo il sindacato sotto il controllo statale, mentre in Arabia Saudita una vera e propria attività sindacale è ancora effettivamente impossibile. Resta pesante interferenza del governo nell’attività sindacale anche in Bielorussia.

L'impatto della situazione economica mondiale sui diritti dei lavoratori è stato determinante in molti paesi. In tutta l'Africa, in particolare, i governi reagiscono duramente nei confronti di lavoratori che cercano di migliorare i salari, dopo che la crisi alimentare a livello mondiale ha impoverito un numero crescente di nuclei familiari non più in grado di nutrirsi adeguatamente. Nel 2008 gli effetti della crisi finanziaria mondiale hanno messo ulteriore pressione sulla sicurezza del lavoro, sui salari e sulle condizioni di lavoro.

La tendenza allo sfruttamento dei lavoratori nelle zone franche d’esportazione è peggiorata nel 2008. “Centinaia di milioni di persone che lavorano nei paesi in via di sviluppo e nei paesi industrializzati, si vedono negare i diritti fondamentali alla libertà di associazione e di contrattazione collettiva – dichiara ancora Ryder. La mancanza di rispetto per i lavoratori ha aumentato le disuguaglianze nel mondo, e la disuguaglianza ha accelerato la recessione mondiale”.

Il Rapporto individua anche “inquietanti tendenze sui diritti del lavoro nei paesi industrializzati, dove è sempre maggiore il ricorso ad agenzie di lavoro in affitto, con la conseguente erosione di salari, diritti e condizioni di lavoro. L’Ituc chiude però con “una nota più positiva”, sottolineando come “i cambiamenti di governo in Australia e negli Stati Uniti abbia portato la promessa di nuove tutele per i lavoratori in due paesi dove negli ultimi anni i risultati in tal senso sono stati molto scarsi”.

Fonte: Rassegna.it

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