Migranti. No scorciatoie ma buona politica

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La passione per i più poveri e sofferenti è nel cuore del carisma comboniano. Ecco perché ci rattristano e indignano la grettezza e l’insensibilità con cui l’Europa sta affrontando l’emergenza immigrazione. Dopo avere accettato la proposta di ripartire per quote tra diversi paesi i richiedenti asilo che sbarcano per lo più sulle coste italiane, gli stati membri della Comunità europea – uno dopo l’altro, eccezion fatta per l’Italia – si sono messi a fare marcia indietro, rinnegando le promesse fatte. Con queste premesse sarà difficile che il 16 giugno il Consiglio dei ministri europei arrivi a raggiungere quella maggioranza qualificata necessaria ad approvare le quote di accoglienza degli immigrati.

Ma l’Europa ha il dovere – facciamo nostre le parole del presidente Sergio Mattarella – di farsi carico «collettivamente di un dramma umanitario senza precedenti, con spirito di solidarietà e disponibilità all’accoglienza».

Si tratta di fare la nostra parte verso uomini, donne e minori che scappano dall’incubo delle guerre, da crisi umanitarie, da dittature, da persecuzioni politiche e religiose. O che hanno lasciato le loro terre in cerca di un lavoro e di una vita migliore.

Dobbiamo essere anche consapevoli che soltanto una minima parte dei 56,7 milioni di rifugiati e profughi nel mondo è ospitata dai paesi cosiddetti sviluppati, mentre la maggior parte si trova in campi situati nei paesi d’Africa, Asia e Medio Oriente, dove le disponibilità di accoglienza sono incomparabilmente inferiori rispetto alle nostre.

Alla delusione per una possibile chiusura della “fortezza Europa” di fronte a questa emergenza si aggiunge un’altra preoccupazione: la proposta di un intervento militare, presentata di recente all’Onu dall’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, con il sostegno del governo italiano. Operazione con la quale si vorrebbe sgominare la rete criminale che organizza e lucra sul traffico di esseri umani, andando a distruggere i barconi nei porti libici, prima che si carichino di tanti sventurati e prendano il largo.

All’intervento militare si oppone naturalmente il governo di Tobruk, l’unica autorità libica riconosciuta internazionalmente. E lo stesso segretario generale Ban Ki-moon ha espresso riserve sulla proposta della Mogherini.

Lo vogliamo affermare in modo inequivocabile: siamo contrari all’intervento militare. E ci associamo alla protesta di tante associazioni per i diritti umani e ai movimenti per la pace che hanno levato la loro voce per opporsi alla ventilata operazione militare, assurda e inutile. Che rischia di alimentare ulteriormente il conflitto in Libia. E poi, l’eventuale distruzione delle imbarcazioni – ammonisce Amnesty International – lascerebbe migliaia e migliaia di migranti intrappolati in una Libia in condizioni disperate. Ma forse è proprio quello che l’Europa vuole: far sì che il problema rimanga nella sponda sud del Mediterraneo.

All’Europa e all’Italia chiediamo, invece, un rinnovato impegno che aiuti la Libia ad «arrivare alla pacificazione» e «porti alla creazione di un governo di unità nazionale tramite la mediazione del rappresentante dell’Onu Bernardino Léon», come ha auspicato espressamente il presidente Mattarella.

Chiediamo inoltre che l’Ue e l’Italia rendano effettivo l’embargo sulla vendita di armi ai vari “signori della guerra” in Libia; che si impegnino ad allestire campi di raccolta e di riconoscimento in paesi come la Tunisia e l’Egitto, dove con l’Acnur  (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) si possano vagliare situazioni e storie per decidere là chi ha diritto a ottenere l’asilo in Europa; che si adoperino ad aprire canali umanitari e vie d’accesso legali al territorio europeo, unico modo per evitare “viaggi di morte”; che si sospenda il regolamento di Dublino, consentendo ai profughi e ai migranti di scegliere il paese dove potersi inserire.

L’emergenza immigrazione è un fenomeno complesso cui si può rispondere solo con una risposta necessariamente complessa, ma usando gli strumenti della politica, del diritto internazionale, della diplomazia e della collaborazione internazionale delle forze di pace. Si tratta di scongiurare, una volta per sempre, la scorciatoia dell’intervento bellico che – lo dobbiamo ripetere – porterà solo altre distruzioni e altre violenze.

Da Nigrizia.it

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