Messico: tra narcoviolenza e militarizzazione del territorio

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“Cosa volete da noi? Spiegateci cosa volete che pubblichiamo e cosa no, per sapere come comportarci. Voi siete in questo momento le autorità di fatto di questa città, dato che i leader istituzionali non hanno potuto fare niente per impedire che i nostri colleghi continuino a morire”. Erano alcune righe di un provocatorio editoriale del Diario di Ciudad Juarez di fine settembre, all'indomani dell'ennesimo omicidio di un giornalista nella città di frontiera, una delle più violente del mondo, dove tutti i giorni i cittadini devono fare i conti con una vera e propria guerra tra bande di narcotrafficanti, e tra queste e le forze dell'ordine.

“Qui si vive sempre nella paura, nessuno si sente sicuro - aveva affermato il Procuratore dello stato di Chiuhahua Jorge Gonzales - aggiungendo che le cifre dimostrano che le politiche si sicurezza del governo Calderon non sono efficaci”. Secondo molti abitanti dello stato di Chihuahua, da quando il Governo federale ha inaugurato la strategia “Todos Somos Juárez” (tutti siamo Juarez) dispiegando circa tre mila soldati solo nella città di frontiera, gli omicidi sono aumentati in media da 10 a 12 al giorno.

Ma Juarez è solo la punta dell'iceberg. Tutto il paese centroamericano, considerato “il cortile di casa” dagli Usa è da anni in preda a quella che ormai è stata definita “narcoviolenza”. Un termine che dà subito l'idea del fenomeno. La violenza legata al narcotraffico ha superato le 28 mila vittime dal dicembre 2006 - data di inizio del governo di Felipe Calderon - a oggi, senza risparmiare rappresentanti delle istituzioni, forze dell'ordine, ma anche giornalisti sempre - più in difficoltà a svolgere il loro dovere di cronaca - migranti, donne, bambini.

Difficile avere cifre ufficiali, dato che il governo tende a sottostimare i dati o ad attribuire gli omicidi a fatti di violenza ordinaria. La Commissione Nazionale per i Diritti Umani parla di 1700 donne assassinate da gennaio 2009 a giugno 2010, dove oltre al narcotraffico si somma un triste primato di femminicidi, e anche qui Ciudad Juarez è in testa. Altre cifre ufficiose parlano di 4 mila bambini rimasti uccisi in questa assurda guerra negli ultimi 3 anni.

E' di pochi giorni fa l'ultimo attacco alla stampa: un commando ha assaltato la redazione del Diario del Sur di Acapulco. A inizio settimana si è contato il quattordicesimo sindaco messicano assassinato, mentre la settimana scorsa era toccato a un gruppo di turisti, trovati in una fosse comune nei pressi di Acapulco e a un gruppo di sette giovani assassinati nel centro di Città del Messico. Ancora di qualche settimana fa alcune feste tra giovanissimi sono finite nel sangue, e l'elenco potrebbe continuare.

Secondo gli analisti, il governo è lontano dal vincere la guerra contro il traffico di droga. Questo tipo di scontri è diventato parte della vita quotidiana dei messicani, soprattutto nelle città del Nord, dove i cartelli della droga sono in lotta per le rotte verso gli Stati Uniti, generando paura tra la popolazione. Il presidente messicano Felipe Calderon alcuni mesi fa aveva ammesso in un discorso agli operatori del turismo, che la nazione ha pagato un alto prezzo per la violenza dovuta al narcotraffico.

Il discorsi del presidente aveva scatenato molte polemiche per aver minimizzato sulle morti, affermando che in effetti ai civile toccava la parte minore, solo il 5% del totale. ''E 'deplorevole che il presidente dia questo genere di giudizi. Ogni morte di un essere umano è riprovevole. Il disprezzo della vita umana è un peccato, perché ci sono stati decessi di bambini, donne e uomini innocenti ", aveva dichiarato il deputato di opposizione del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), Manuel Garcia.

E l'ondata di violenza non sembra diminuire anzi, tutti sono convinti che il bilancio delle vittime aumenterà. Le previsioni dicono che il 2010 potrebbe stabilire un nuovo record. A partire dal 2009 Calderón ha dichiarato guerra ai cartelli della droga impiegando più di 50 mila soldati come supporto alla polizia nei vari stati della federazione. Questa operazione ha consentito di catturare o uccidere almeno venti leader dei cartelli della droga e ha permesso l'arresto di centinaia di responsabili intermedi, ricevendo gli elogi da parte dagli Stati Uniti.

Nonostante questi risultati, le misure adottate dal Calderón sono state giudicate da molti controproducenti perchè di fatto hanno esacerbato il conflitto. “Ci sono colpi contro i cartelli, come gli arresti e il crollo di alcuni leader, è vero, ma è anche vero che la violenza non si ferma, e tende addirittura ad aumentare, nonostante la militarizzazione del conflitto e questa è un'indicazione che siamo lontani da una soluzione”, ha detto Raul Benitez, ricercatore universitario sulla sicurezza nazionale e le relazioni con gli Stati Uniti. “Negoziare con i cartelli è sbagliato, è anche difficile legalizzare la droga, ma la strategia del governo non ha il sostegno che pensava di avere. Vi sono ampi segmenti della popolazione che non sono d'accordo con la militarizzazione del paese, che finora portato solo altra violenza”, ha detto Benitez.

Il 23 marzo scorso il segretario di Stato, Stati Uniti, Hillary Clinton in visita in Messico ha rilanciato la Merida Initiative, un piano di finanziamento tecnologico che Washington promuove dal 2007 con il pretesto di ridurre la criminalità organizzata e il traffico di droga nel paese vicino. Secondo Carlos Fazio, analista politico messicano ed editorialista per il quotidiano La Jornada, l'Iniziativa Merida è un “salto di qualità” nello sforzo americano per istituzionalizzare un controllo del paese.

Ma forse qualcosa sta cambiando, poche settimane fa Felipe Calderón, ha accusato pubblicamente gli Stati Uniti di essere i maggiori consumatori di droga al mondo e i principali fornitori di armi e denaro alle bande criminali che operano in America Latina, una presa di posizione importante per un presidente che si è sempre dimostrato un fedele alleato Usa. Ma non basteranno le dichiarazioni, serviranno fatti concreti anche alla luce di questa presa di coscienza, se davvero si vuole far uscire il paese dalla narcoviolenza.

Elvira Corona (inviata di Unimondo)

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