Messico, se si “asfaltano” i diritti delle comunità indigene

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Querètaro (Messico) - Il 22 e 23 settembre scorso si è tenuta a New York, presso la sede dell’ONU, la prima conferenza mondiale sui popoli indigeni. In tale occasione è stata presentata una relazione della CEPAL (Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e il Caribe), secondo la quale i conflitti socio-ambientali che coinvolgono i popoli indigeni latinoamericani sono in costante aumento. Tra il 2010 e il 2013, ad esempio, ci sono stati più di 200 conflitti legati ad attività estrattive di idrocarburi e prodotti minerari in territori indigeni. 

In un precedente articolo avevo accennato al mega-progetto di infrastrutture legate al turismo che sta per essere implementato nello stato messicano del Chiapas. L’opera che sembra più prossima alla realizzazione è l’autostrada Palenque-San Cristóbal, amministrata dall’impresa CAS (Concesionaria de Autopistas del Sureste) di cui il gruppo spagnolo Aldesa è azionista maggioritario.

L’autostrada andrebbe ad unire due delle mete turistiche più importanti e visitate dello Stato. Ora chi volesse raggiungere la città coloniale di San Cristóbal de las Casas dopo aver visitato le imponenti rovine maya di Palenque, impiegherebbe cinque o sei ore di strada stretta, con molte curve e circa 500 “topes”, i dossi rallentatori maledizione di ogni automobilista. Il tutto per un percorso di soli 200 km. Aggiungiamo che ultimamente, soprattutto nei viaggi notturni, sono stati registrati vari assalti a scopo di furto di denaro e altri preziosi. La nuova autostrada permetterebbe di risparmiare 2 ore di tempo ed il cammino sarebbe più lineare, dato che parte dell’autostrada verrebbe costruita su viadotti.

Ma allora perché le comunità indigene della zona si oppongono a questo progetto, che sulla carta e nella propaganda del governo messicano pare essere portatore di sviluppo e progresso economico? È una questione di mentalità arretrata, di attaccamento eccessivo alle tradizioni, o c’è invece qualcosa di più?

Prima di tutto, è da segnalare la violazione del diritto al consenso libero e informato e alla  consultazione preventiva delle comunità indigene sui cui territori verrebbe costruita l’autostrada, diritto sancito dalla Convenzione n. 169 dell’ILO, ratificata dal Messico e legalmente vincolante. Fino ad ora nessuna consultazione pare sia stata realizzata, mentre alcune comunità si sono riunite spontaneamente per dichiarare il loro no al progetto, senza che questa decisione sia stata in alcun modo presa in considerazione dalle autorità pubbliche. Consenso libero e informato implica anche che l’informazione sui progetti avvenga nella lingua locale, consultando le autorità tradizionali, e in conformità con gli usi e costumi di ogni popolo indigeno. L’aspetto della lingua è particolarmente importante, dato che non tutti i membri delle comunità indigene chiapaneche sono bilingui, e la maggioranza di essi non ha una padronanza dello spagnolo paragonabile a quella della lingua materna.

“La strada passerà nei municipi dove la gente la lascerà passare, per questo non dobbiamo smettere di lottare”, ha detto un partecipante ad una manifestazione di opposizione all’autostrada avvenuta lo scorso luglio, secondo quanto riportato da Otros Mundos Chiapas.

Di fatto le marce, le cerimonie, le assemblee comunitarie si stanno moltiplicando nei vari municipi presso i quali dovrebbe passare l’autostrada. Il 17 settembre scorso, ad esempio, è stata diffusa la “Dichiarazione della Laguna Suyul”, laguna che rappresenta un territorio sacro per i popoli tsotsil e tseltal che vivono nella zona degli altopiani del Chiapas. In essa si sottolinea il fatto che la “madre non si vende, la terra non si vende e non ha prezzo”. Si dice che la madre terra è un “regalo millenario”, che gli antenati hanno sempre difeso e protetto, di generazione in generazione, e ora gli abitanti delle comunità locali sono disposti a difenderla ancora, anche a costo della vita. Si rifiuta totalmente il progetto dell’autostrada, perché non farebbe altro che impoverire ulteriormente le comunità presso le quali passerebbe. Si lancia inoltre l’allerta per la repressione che potrebbe derivare dal mancato consenso all’opera, e che certo non è nuova da queste parti. Anche in questo caso, infatti, le minacce non sono mancate, come riportato nel precedente articolo. Più di 2700 persone hanno partecipato all’incontro della Laguna Suyul e ne hanno sottoscritto la dichiarazione: si tratta principalmente di membri delle comunità indigene, ma anche di collettivi, di organizzazioni per la difesa dei diritti umani e di mezzi di comunicazione alternativi.

Dunque l’aspetto ambientale, innanzitutto, cioè l’impatto che l’autostrada avrebbe su foreste, sorgenti d’acqua, coltivazioni. Ma anche l’impatto sociale che la costruzione avrebbe sulle comunità le cui abitazioni si trovano lungo il percorso dell’autostrada, e che verrebbero irrimediabilmente espropriate, assieme ai campi coltivati, fonte irrinunciabile di sussistenza quotidiana per le donne e gli uomini di mais. L’importanza dell’aspetto ambientale deriva anche dalla relazione che i popoli indigeni mantengono con la terra, che è di natura spirituale. A questo proposito ricorderò sempre ciò che mi disse il socio indigeno di una cooperativa di caffè: prima di cominciare a lavorare la terra i campesinos organizzano una cerimonia per ringraziarla e per chiederle perdono.

Un’ulteriore preoccupazione è che l’autostrada faciliti l’ingresso di progetti estrattivi di sfruttamento del suolo, favorisca la costruzione di dighe e di impianti produttivi e contaminanti. Un esempio è quello della località di Huixtán, dove gli abitanti temono l’installazione di un’impresa della Coca-Cola Company che sfrutterebbe una locale sorgente d’acqua.

Dal Messico a latitudini a noi più familiari, come la Val Susa o la Sicilia dei No Muos, le comunità locali in resistenza ci ricordano l’importanza della difesa del territorio. Giacché, come affermò il geografo Eugenio Turri, citato da Wu Ming 2 ne “Il sentiero degli dei”, “ogni atto sul territorio è un atto politico”.

Michela Giovannini

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