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Messico: l’incubo narcotraffico sulle prossime elezioni
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L’immagine ha fatto il giro del mondo, riportata sulle testate di tutti i maggiori quotidiani. Si tratta di una scena altamente choc quella che proviene dal Messico. Purtroppo, non una rarità. Appesi ad un ponte a Nuevo Laredo, nove cadaveri. Nove corpi di uomini e donne impiccati e messi in mostra. Un monito, un avvertimento, una macabra prova di forza finalizzata a mettere le cose bene in chiaro. É questo lo stile dei narcotrafficanti messicani. L’interferenza, lo sgarro della banda rivale, il tradimento, il tentativo di arresto o di denuncia si pagano non solo con la vita ma anche con la pubblica umiliazione.
L’assassinio di Nuevo Laredo, quasi al confine con il Texas, porta la firma del temibile gruppo dei Los Zetas. Per scoprirlo non servono le indagini, la firma é stata posta su di lenzuolo direttamente dai carnefici stessi, accanto ai corpi attaccati alle corde. I cadaveri appartengono al cartello rivale, quello del Golfo.
É in questo macabro scenario che si sta svolgendo la campagna elettorale che il prossimo primo di luglio porterà all’elezione del presidente della repubblica in Messico, assieme a 500 deputati della camera e 128 senatori. Intendiamoci, i fatti di Nuevo Laredo non hanno una matrice politica ma é fuori di dubbio come nel paese che vanta uno dei più elevati tassi di omicidi al mondo, l’ombra del narcotraffico influenzi tutto il tessuto politico e sociale. Da una parte, perché la lotta alla criminalità organizzata é nodo centrale del programma di ogni coalizione politica; dall’altra perché in più occasioni, nel corso di passate elezioni, sia nazionali che locali, si sono registrare infiltrazioni e pressioni di uomini legati ai cartelli della droga all’interno dei partiti.
Proprio la lotta al narcotraffico è stato il punto centrale del programma del presidente uscente, il conservatore Felipe Calderón Hinojosa, del Partido Acción Nacional (PAN). Eletto capo dello stato nel 2006, Calderón ha subito impostato il suo programma di governo all’insegna della mano dura contro i gruppi delle narcomafie. Se da un lato la tolleranza zero ha portato a risultati importanti, come la cattura dei super ricercati Ricardo Fuentes Pérez Sánchez, detto El Mostachón e di Carlos Martinez Escobedo, detto El Fabiruchius, dall’altro la repressione governativa ha ulteriormente innalzato il grado di violenza delle diverse bande: dal 2006 a oggi si contano 41 mila morti negli scontri tra militanti narcotrafficanti e forze di sicurezza. Un numero impressionante, frutto di alcuni episodi eclatanti di cronaca nera, come l’uccisione, in un solo colpo, di 72 immigrati che avevano rifiutato l’arruolamento nelle bande dei criminali.
Secondo Andrés Manuel López Obrador, il candidato alla presidenza in rappresentanza del Partido de la Revolución Democratica (PRD), la mano dura di Calderón non ha fatto che aumentare l’escalation di violenza ed il potere dei signori della coca. Pur ponendo anch’egli al centro della sua campagna elettorale la lotta al narcotraffico, il progressista López ha fatto sapere che punterà su non meglio precisati metodi soft. Proprio López fu sconfitto di misura da Calderón nelle elezioni del 2006 ma il PRI non riconobbe mai l’esito delle urne, denunciando il PAN di palesi brogli.
Altra candidata alla poltrona di capo di stato é Josefina Vázquez Mota, del PAN, il partito attualmente al governo. Già ministro delle politiche sociali e dell’istruzione, la Vazquez sarebbe, in caso di vittoria, la prima donna a ricoprire la carica di presidente della repubblica in Messico. Il PAN raccoglie le preferenze di buona parte del mondo cattolico, che in un paese conservatore come il Messico può fare la differenza. Secondo molti, la recente visita di Papa Ratzinger nel paese centroamericano va letta come un vero e proprio appoggio a Josefina Vázquez.
Infine, il favoritissimo Enrique Peña Nieto, dello storico Partido Revolucionario Institucional (PRI), al governo in Messico in maniera ininterrotta dal 1929 al 2000. Secondo i sondaggisti, il vantaggio di Peña é tale da rendere le prossime elezioni una pura formalità, anche perché il PRI gode del fondamentale appoggio delle principali emittenti televisive nazionali. La sua coalizione, “Compromesso per il Messico” comprende anche l’atipico Partido Verde, l’unico tra tutti i partiti ambientalisti nel mondo ad essere apertamente favorevole alla pena di morte.
Sondaggi a parte, chi sarà il prossimo inquilino della Residenza de Los Pinos (la “Casa Bianca” messicana), lo deciderà il popolo nelle elezioni del prossimo primo di Luglio. È certo che i tre maggiori candidati (che in comune hanno alcuni punti fermi come il divieto d’aborto e dei matrimoni gay e la penalizzazione delle droghe) dovranno fare i conti con il potere e gli interessi dei narcos. La paura di spedizioni punitive è tale che al termine di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, i governatori dei 31 Stati federali che costiuiscono la Repubblica messicana hanno chiesto ed ottenuto da Calderón un accordo che prevede di fornire protezione personale a tutti i candidati che ne facciano richiesta. Negli ultimi cinque anni sono stati giustiziati a morte 28 sindaci.
Ma non è solo la classe politica a trovarsi nel mirino della criminalità organizzata; il Messico é il paese più pericoloso al mondo nel quale esercitare la professione di giornalista. Chi denuncia o indaga sulle attività illecite dei narcos rischia la vita. Dal 2002, i giornalisti freddati dai proiettili sono 72. Un passo in avanti verso la tutela ed il rispetto dei diritti (e della vita) dei giornalisti é costituito dalla presentazione in parlamento della legge che prevede come i reati contro la libertà di espressione ed il diritto di informazione possano essere perseguiti dalla magistratura. Un buon inizio, ma la battaglia è tutt’altro che vinta e la strada è ancora lunga.