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Messico: gli indignados per la libertà di informazione
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Primavera messicana? Indignados del Centroamerica? Chiamateli come volete ma i 131 universitari della Iberoamericana, che stanno sconvolgendo la campagna elettorale messicana hanno centrato uno dei maggiori problemi della società attuale, e non solo di quella messicana: il monopolio dell’informazione.
Nel pieno di una corsa alla ricerca di voti che si concluderà il 1 luglio prossimo con l’elezione del presidente dello Stato Federale messicano, succede che lo scorso 11 maggio, durante un comizio proprio all’università Iberoamericana di Città del Messico, il candidato del PRI (Partido Revolucionario Institucional) Enrique Peña Nieto viene contestato, dichiarato ospite non gradito e invitato ad andarsene da un folto gruppo di studenti. Sopratutto dopo alcune dichiarazioni sui fatti di Atenco. Nelle prime file solo i suoi seguaci - alcuni dicono -lautamente pagati per stare lì e non fare domande scomode, sulle retrovie chi si indigna per le bugie e i soliti meccanismi ingannatori da campagna elettorale. Niente di particolarmente strano se non fosse che una volta rientrati a casa e accesa la TV il telegiornale di Televisa uno dei più grandi e potenti gruppi editoriali dell’America Latina riporta l’intervento del leader del PRI come un evento di successo nonostante un piccolo gruppo di persone infiltrate che hanno cercato di boicottare Peña Nieto, definiti come infiltrati e neppure studenti, mandati dal suo avversario Andres Manuel Lopez Obrador del Partido de la Revolucion Democratica.
La notizia fa anche il giro dei quotidiani la mattina dopo. È qui che i giovani si indignano davvero e dopo essersi ritrovati nei social network come Twitter e Facebook mandano su youtube un filmato dove ognuno di loro compare ed esibisce il tesserino universitario a dimostrare che non sono infiltrati, ma tutti studenti regolarmente iscritti all’Università nella quale il candidato ha fatto il comizio. E non sono un manipolo, sono 131 quelli che si autoidentificano, “ ma in realtà siamo molti di più” affermano, da qui il nome di quello che ormai è un movimento che sta crescendo giorno dopo giorno e sta superando le frontiere del Districto Federal : Yo soy el 132, cioè io sono il centorantaduesimo.
Un atto di cittadinanza attiva coraggioso, che ha catalizzato la simpatia di molti altri cittadini messicani stanchi della politica tradizionale che ha ormai solo lo scopo di distribuire benefici a pochi in un paese militarizzato, teoricamente per contrastare il narcotraffico e la violenza che ne deriva, ormai fuori controllo.
Da lì adesioni a catena che superano non solo i cancelli della Iberoamericana ma anche i confini di Città del Messico. Università private e pubbliche, istituti tecnologici, scuole d’arte, un movimento eterogeneo: “È un movimento apartitico e pluralista ma non apolitico” afferma uno dei portavoce. “Non vogliamo che il PRI torni a governare il Messico, questo lo abbiamo ben chiaro, però non vogliamo nemmeno supportare uno degli altri partiti come PRD, PAN o Panal. Crediamo nel voto informato e nella partecipazione cittadina attraverso il suffragio” spiegano i rappresentanti del movimento che si oppongono allo strapotere mediatico dei due potenti gruppi editoriali Televisa e Tv Azteca, ma non solo.
Secondo Raul Romero, sociologo della UNAM la società messicana si trova di fronte a una situazione di emergenza nazionale. “Il conto della guerra di Calderon ne sono una prova: 60 mila morti, 20 mila desaparecidos e oltre 120 mila sfollati dalla guerra. A questo si somma l’impunità, l’ingiustizia e la corruzione che hanno invaso quasi tutte le istituzioni del paese.” Non solo, per Romero allo stesso tempo ci si trova di fronte a un disastro nazionale provocato da 30 anni di politiche neoliberali con la conseguente distruzione dello Stato messicano.
In un paese dove quasi 20 anni fa iniziò la rivoluzione neozapatista, in una delle zone più povere ed emarginate del Messico,che chiedeva dignità per i popoli indigeni e si opponeva al NAFTA - il trattato di libero commercio che entrava in vigore proprio nel 1994 - oggi si solleva una protesta trasversale, che ha come obiettivo principale la richiesta di democratizzazione dei mezzi di comunicazione e la fine del monopolio dell’informazione. Si cerca di informare i cittadini messicani sulla parzialità che esiste sopratutto nei canali più importanti del paese - “vogliamo notizie non telenovele” è uno degli slogan contro queste emittenti - ma anche far conoscere la corruzione che esiste nell’attuale sistema politico. La richiesta è chiara: partire dall’informazione per far si che i cittadini messicani siano ben informati sui principali problemi del paese e sulle diverse soluzioni che offrono per risolverli i diversi candidati alle presidenziali.
Ma ormai il movimento a più di tre settimane dalla sua nascita, va oltre il problema della campagna elettorale, trova consensi giorno dopo giorno in altre fasce della società e mira a creare un grande movimento nazionale che permetta di creare nuovi spazi di dialogo e la costruzione di alternative. “Non solo il voto può aiutare il Messico a crescere, possiamo fare molto di più”. E questo è solo l’inizio dicono gli studenti da Città del Messico a Puebla, Toluca, Oaxaca, Pachuca, Guadalajara. Anche se la scintilla è stata una manifestazione contro il potere mediatico in periodo prelettorale questo movimento sembra voler andare oltre il 1 luglio. Dopo gli Indignados spagnoli, gli studenti cileni, gli “Occupy” newyorkesi, gli attivisti di tutta Europa che hanno manifestato a metà maggio a Francoforte, arrivano i ragazzi messicani. E lo slogan della Iberoamericana lascia ben sperare: “gente che cambia il mondo”.
Elvira Corona (autrice di Lavorare senza padroni, Emi edizioni)