Medio Oriente: Cipmo, un canale informale verso la pace

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Il seminario riservato fra personalità israeliane e palestinesi, "Riprendere il cammino verso una pace piena e complessiva", promosso dal CIPMO, finanziato dal Ministero degli Esteri, dal Comune di Milano e dalla Fondazione CARIPLO, si è svolto a Milano dal 1° al 4 settembre. Si è trattato di un avvenimento non ordinario, che ha richiesto oltre tre anni di preparazione ed ha superato molti ostacoli e ripetute cancellazioni anche all'ultimo minuto. Il seminario ha avuto un carattere "formal-informal": quasi tutti i delegati ricoprivano cariche ufficiali, ma non avevano un mandato formale dal governo. Durante l'incontro, le parti hanno comunicato al CIPMO che questo è l'unico canale informale di questo genere attualmente operante, e si sono impegnate a dargli seguito. La peculiarità dell'incontro è stata sottolineata dalla stessa composizione delle due delegazioni: non si è trattato solo degli abituali esponenti del Peace Camp israeliano e palestinese.

Sul versante palestinese, capo delegazione era Fares Kaddoura, il parlamentare vicino a Marwan Barghouti ed espressione della nuova generazione di dirigenti di Al Fatah, insieme ad esponenti della ANP e ad altre personalità della stessa area e della sinistra laica. Su quello israeliano, erano presenti parlamentari ed esponenti di governo del Labour, del Likud e dello Shinui, guidati da Colette Avital, Vice Presidente della Knesset e responsabile internazionale del Labour. Il tentativo, quindi, è stato quello di allargare l'area degli interlocutori, di creare nuovi canali di dialogo e di contatto. Un tentativo che, dall'andamento del Seminario, è certamente uscito confermato e rafforzato. La discussione è stata di una grande franchezza e molto sincera e appassionata. Alcuni dei presenti, come i due rappresentanti del Likud, partecipavano per la prima volta a un incontro di questo genere, e hanno dichiarato che per loro è stata una esperienza fondamentale.

L'incontro si è tenuto in un momento di svolta nel conflitto, al termine della evacuazione di tutti i coloni israeliani insediati nella Striscia di Gaza e di alcuni insediamenti in Cisgiordania. Ritiro certo non facile, che ha simboleggiato comunque la rottura di un tabù: mai nessun dirigente israeliano, prima, aveva smantellato insediamenti in Palestina. La situazione tuttavia può evolversi verso scenari diversi e potenzialmente anche opposti: lo stabilirsi di un nuovo status quo, in prospettiva sicuramente pericoloso; o invece la utilizzazione del ritiro da Gaza come importante "Confidence Building Measure" per facilitare una ripresa del Processo di Pace, andando oltre l'iniziale impostazione unilaterale israeliana. I presenti erano consapevoli della necessità di non perdere il momentum, questa possibile ma non permanente finestra di opportunità.

Sono state naturalmente sottolineate le diverse posizioni di principio: da parte palestinese, la necessità che il ritiro da Gaza non porti al rafforzamento dell'occupazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e all'estensione degli insediamenti ivi esistenti; la richiesta agli israeliani di bloccare da subito gli insediamenti e di interrompere la costruzione del muro; l'improrogabile necessità di creare uno Stato Palestinese vitale, basato sui confini del 1967 e non frammentato in cantoni.
Da parte israeliana, la necessità di bloccare definitivamente il terrorismo e la violenza e di smilitarizzare le fazioni armate palestinesi, cogliendo l'occasione del ritiro israeliano da Gaza; e in una prospettiva più generale quella di garantire la sicurezza per lo Stato di Israele.

Larga concordanza è stata registrata sulla esigenza prioritaria di favorire la ripresa economica, in particolare a Gaza, anche attraverso investimenti straordinari della Comunità Internazionale, nonché sulla necessità di assicurare i collegamenti fra la Cisgiordania e Gaza, evitando di trasformare la Striscia in un ghetto chiuso. La ripresa dell'economia, in particolare a Gaza ma anche in Cisgiordania, è essenziale per aiutare la leadership palestinese a fronteggiare gli estremisti e la stessa sfida politica di Hamas alle prossime elezioni. I partecipanti hanno altresì avanzato alcune idee circa l'opportunità di organizzare una conferenza internazionale alla presenza del Quartetto e delle due parti, per creare un'atmosfera positiva e stabilire una generale griglia di azione per il completamento del Processo di Pace, e hanno sottolineato l'importanza di un ruolo sia ufficiale che informale delle terze parti. Ma il momento forse più interessante e produttivo è stato quando la discussione è venuta concentrandosi sulla esigenza e sulla possibilità di farsi carico gli uni dei problemi degli altri, aiutando le due parti a sconfiggere le aree più estremiste dei rispettivi campi.

Di fatto, si va a un periodo di doppia transizione, verso le prossime elezioni palestinesi, fissate per il 25 gennaio 2006, e verso probabili elezioni israeliane anticipate. In Palestina, si avvia il processo di ricambio della leadership di Al Fatah, tra la giovane e la vecchia guardia (con una alleanza trasversale tra Abu Mazen e i giovani contro l'altra parte dei vecchi leader). E, con le prossime legislative, Hamas parteciperà alle elezioni, come già ha fatto per le municipali con grandi successi, accentuando la sua trasformazione in Partito politico.
In Israele, Sharon può restare in minoranza nel Likud, che rischia la spaccatura, con un possibile sconvolgimento di tutto il panorama politico tradizionale. Un periodo complesso, in cui comunque le rispettive leadership saranno impegnate a rassicurare e conquistare il proprio elettorato, e poco disposte a fare concessioni all'altra parte sui temi fondamentali attinenti il Final Status. Una situazione in cui le posizioni espresse possono anche essere solo propagandistiche, o mutare radicalmente in un diverso contesto; in cui una parte influenza l'altra, in senso positivo o negativo, con le rispettive dichiarazioni, con le iniziative ed i fatti concreti, sul terreno.

Si è perciò esaminata, anche in dettaglio, la possibilità di misure unilaterali ma di fatto concordate, che procedano in qualche modo in parallelo ma indipendentemente, per costruire la fiducia e rafforzare la sicurezza reciproche, allargando i punti d'intesa e l'appoggio alle forze di pace nei due campi. È importante sottolineare che su molte di queste idee si sono realizzate ampie aree di convergenza tra le parti, e che i presenti si sono impegnati a sottoporle alle rispettive leadership, ai più alti livelli, al loro rientro. Queste alcune delle iniziative suggerite dai palestinesi agli israeliani: il rilascio dei 600 prigionieri detenuti nelle carceri israeliane, una detenzione che non ha più motivo di essere, dopo il completamento del ritiro; la rimozione dei blocchi stradali interni alla Cisgiordania, che non consentono efficaci collegamenti fra le città e i villaggi palestinesi; l'interruzione della costruzione e dell'ampliamento degli insediamenti.

Per converso, gli israeliani hanno auspicato che la tregua concordata fra il Presidente Abbas e le diverse fazioni armate palestinesi diventi un cessate il fuoco permanente, con la conseguente possibile trasformazione di tali fazioni armate in partiti politici disarmati, nel quadro dell'Autorità Nazionale Palestinese. I partecipanti hanno espresso il desiderio e la volontà di mantenere contatti diretti tra loro, costituendo nei fatti un network di collaborazione per la pace, e di incontrarsi nuovamente nei prossimi mesi, a Gerusalemme e in Italia, per dare un seguito all'incontro di questi giorni e per ricercare insieme nuove proposte in grado di sostenere la realizzazione di un accordo di pace vero e duraturo.

di Janiki Cingoli, Direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

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