Marocco, se ne parla troppo poco

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Se non teniamo conto delle petromonarchie della penisola arabica, rette con il pugno di ferro e sempre sull’orlo del vulcano, l’unico Paese che non è stato attraversato dalle tensioni note come “primavera araba” è stato il Marocco. E questo è un buon segnale. Significa che ci troviamo di fronte a un contesto in cui le riforme economiche e sociali – necessarie per il miglioramento del sistema democratico – sono già state avviate da anni. Significa che la monarchia, uno dei pilastri del Paese, non si è chiusa in se stessa, non ha coltivato la propria rendita lasciando al popolo le briciole.

Il Marocco è in primo luogo un esempio di stabilità per tutto il mondo arabo. Ciò si comprende analizzando la storia antica e recente del Paese: in un passato lontano il Marocco ha conservato sempre una sua autonomia e una sua fisionomia ben definita. A differenza di Stati come la Libia, l’Algeria, la Siria, il Libano che sono stati “inventati” dalle potenze Europee, il Marocco ha una sua tradizione statuale che affonda nei secoli le sue radici. Il secondo punto fondamentale riguarda l’atteggiamento della monarchia (la dinastia regnante oggi è al potere da circa 350 anni) ai tempi della “colonizzazione” spagnola e francese: il Regno è stato sempre dalla parte del popolo senza cedere a compromessi con gli europei conquistatori. Ciò ha dato prestigio e autorevolezza alla dinastia Alaouita (non c’entra nulla con gli alaouiti in Siria). Le successioni al trono sono state tranquille, senza tensioni e violenze. Ora il Re Mohamed VI, cinquantenne, succeduto al padre defunto nel 1999, amato dai marocchini sta gestendo bene il suo potere: in questi anni è stata cambiata la Costituzione nel senso di una progressiva cessione di competenze dalla monarchia al Parlamento agli enti locali. Un cammino certo lento, inevitabilmente lento, ma che sta dando frutti. Il simbolo più evidente è la nomina regia della prima donna governatrice di regione. Zineb El Adaoui, già magistrato, ora governa la Regione di Kenitra dove gestirà per esempio la sicurezza, rappresenta un esponente di quella che chiameremmo “società civile”, segno di un miglioramento generale dell’educazione e dell’istruzione pubblica.

Un’altra notizia che è rimbalzata sui media europei, poco su quelli italiani, è il varo di un provvedimento legislativo volto a “sanare” i casi di immigrazione clandestina in Marocco. Il Paese infatti attira molti migranti provenienti dall’Africa subsahariana: alcuni giunti per motivi di studio cercano di rimanere per migliorare la propria condizione economica; altri, con l’intenzione di transitare per il Marocco per poi giungere in Europa, si fermano per vari motivi. Fin qui tutto normale. Quando però i clandestini sono europei, in particolare spagnoli, i conti sembrano non ritornare più. Invece la crisi economica e il sorgere di nuove opportunità nella sponda sud del Mediterraneo hanno finito per creare un flusso inverso a quello che si immagina essere prodromo alla presunta invasione di immigrati. Quindi il Re ha voluto intervenire con una specie di sanatoria.

I numeri parlano di circa 15-20 mila spagnoli irregolari in Marocco: una cifra non tanto alta, ma che qui in Italia genererebbe subito allarme. Ma più che una questione di ordine pubblico ciò dimostra il dinamismo dell’economia marocchina, certo ancora arretrata, ma comunque ricca di stimoli.

L’innovazione parte per lo più dal centro, su forte iniziativa della monarchia. Come si sa il Marocco – a differenza dei Paesi limitrofi – grandi risorse minerarie o di idrocarburi: per questo si punta alle energie alternative. Ovviamente il sole non manca e quindi l’energia solare rappresenta la prima fonte da utilizzare. Così, entro quest’anno, dovrebbe concretizzarsi un grande progetto che prevede la realizzazione della centrale solare di Ouarzazate (una città a ridosso del deserto), che occuperà un'estensione di 460 ettari, garantirà al Marocco una capacità di 160 MegaWatt, che dovrebbe coprire il 40% del fabbisogno energetico del Paese.

Le buone intenzioni ci sono tutte. Restano i problemi, spesso alimentati dai vicini. Non è un mistero che l’Algeria dei generali soffi sul fuoco della disputa con i sahraoui: ancora una volta gli appetiti energetici giocano a sfavore di una soluzione concordata che non sarebbe così difficile da mettere in campo. Il punto fondamentale per una solida crescita economica e sociale sta nell’organizzazione dello Stato: il Marocco è molto dipendente dalle decisioni della monarchia, mentre a livello più basso ognuno si arrangia come può, in una confusione creativa che però genera anche scompensi.

Presto per dire se il Marocco possa diventare un modello per l’area. Ma il fatto che si parli poco del Paese è un segnale inequivocabile che il Regno alaouita è sulla strada giusta.

Hicham Idar

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