Macinato… di pulcini? No grazie!

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È di poche settimane fa la notizia che la Germania è intenzionata a interrompere la pratica di triturare milioni di pulcini vivi. Già, questo è quello che accade, anche se l’omertà delle coscienze e delle industrie si guarda bene dal confrontarsi con queste informazioni. Perciò sì, scandalizzatevi, perché è una pratica diffusa e succede praticamente ovunque: i pulcini sono quei “fastidiosi” prodotti di scarto della produzione industriale delle uova, sia che si tratti di allevamenti in batteria che di allevamenti all’aperto. Un argomento di cui non si parla volentieri? Non c’è nulla da stupirsi… Chi di noi comprerebbe una confezione di uova per le torte o le frittate se, una volta sollevato il coperchio, trovasse all’interno immagini come questa?

La realtà accuratamente celata dietro la produzione di uova è però che milioni di pulcini maschi, inutili e commercialmente improduttivi, sono triturati vivi o soffocati ogni anno. Si tratta di “ordinaria amministrazione”, dovuta al fatto che le galline da uova non generano uccelli da carne e i pulcini maschi non crescerebbero comunque abbastanza velocemente per essere venduti come polli e garantire all’industria un rapporto favorevole tra costi di produzione e indotto. Nella catena di montaggio - e smontaggio - per la produzione di uova, quindi, solo le galline selezionate (femmine e sane) possono sopravvivere, anche se in condizioni che, eufemisticamente, chiamiamo discutibili. Con un’aspettativa di vita di circa 12-18 mesi (in condizioni normali è di circa 10 anni), le galline vivono in spazi ristrettissimi senza quasi mai vedere la luce se non nel momento in cui vengono stipate nelle ceste che le condurranno al macello una volta esaurito il loro compito di “macchine da uova”; durante la loro breve vita vengono fin da subito sovranutrite, perché crescano 3 volte più rapidamente rispetto alla norma. Così si impedisce il corretto sviluppo degli arti e si rendono quindi estremamente difficili i movimenti, anche i più semplici come mangiare o avvicinarsi alle vasche d’acqua per bere.

Se le galline non se la passano affatto bene, torniamo ai maschi, che non possono sperare in niente di meglio. Perché il passaggio dei pulcini triturati pone, oltre che un problema di ordine etico, anche interrogativi di ordine ambientale. Quei pulcini che prima diventavano farine animali per nutrire capi di bestiame negli allevamenti intensivi, dopo l’allarme BSE (morbo della mucca pazza) e le ricerche che hanno confermato il nesso tra alimentazione animale anomala ed encefalopatia spongiforme bovina, sono diventati “scarti di produzione” che non possono essere riutilizzati. E’ la stessa normativa europea che ne impone lo smaltimento classificandoli come rifiuti ad alto rischio - come lo sono d’altronde tutti gli animali morti prima della macellazione.

La speranza che questa pratica brutale e dagli elevati costi per la collettività possa giungere a termine ci viene appunto dalla Germania, dove scienziati e sostenitori dei diritti animali hanno lavorato in squadra per trovare un’opzione alternativa al massacro di massa di circa 45 milioni di pulcini ogni anno. E sembra che siano proprio le nuove tecnologie a fornire il loro contributo: se utilizzate per determinare il sesso dell’uovo fecondato prima che il pulcino si sviluppi renderebbero possibile la selezione quando le uova sono ancora nell’incubatrice. Del fatto che questa pratica (una sorta di aborto eugenetico) possa diventare l’alternativa necessaria alla macinazione dei pulcini vivi ne è convinto il Ministro dell’Agricoltura tedesco Christian Schmidt il quale, lo scorso marzo, ha dichiarato che dal 2017 la Germania intende essere il primo Paese a interrompere questo processo insostenibile.

Molti sono gli interrogativi, legati a ragioni etiche, economiche e di salute, che rimangono aperti in relazione al delicato argomento dell’alimentazione, riguardanti da vicino abitudini e tradizioni legate al nostro quotidiano e al nostro rapporto con il cibo e con gli altri esseri viventi, umani o animali che siano. In attesa di vedere se e come queste promesse si evolveranno in maniera convincente e replicabile su larga scala, qualcosa lo possiamo fare noi. Ad esempio possiamo acquistare meno uova e sostituirne l’uso seguendo gli utili consigli di siti come questo: una torta dove l’uovo sia sostituito dalla banana o da un giusto equilibrio di farina e latte (magari di riso o soia) o una frittata con la farina di ceci non hanno nulla da invidiare alle ricette tradizionali!

Se proprio non riusciamo a rinunciare a gusti ed abitudini, possiamo però comprare le uova nei mercati locali, ormai molto diffusi anche in contesti urbani, nell’ottica di valorizzare le agricolture di piccole dimensioni, negli ultimi anni brutalmente estromesse dalla produzione di uova da parte di grandi aziende e multinazionali che hanno determinato non solo un abbassamento degli standard di allevamento, ma anche un generale impoverimento delle comunità rurali (perdita di posti di lavoro e di profitti). Recuperare invece un rapporto più autentico tra produttore e consumatore, che garantisca qualità nella produzione e nella relazione, rappresenta per ora la migliore garanzia che ci possa essere offerta nell’acquisto di un prodotto rispettoso dei diritti di ognuno.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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