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Lotta all'Aids: bocciato Big Pharma
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I "voti" vanno da 1 a 5, dove 5 corrisponde all'adesione alle migliori pratiche. La "classe" è composta da quindici soggetti: le maggiori imprese produttrici e distributrici di farmaci del mondo, nove delle quali statunitensi (Pfizer, Johnson & Johnson, Abbott, Merck, Bristol-Myers Squibb, Wyeth, Eli Lilly, Schering-Plough, Gilead Sciences), due britanniche (GlaxoSmithKline e AstraZeneca, che in realtà è anglo-svedese), due svizzere (Novartis e Hoffmann-La Roche), una francese (Sanofi-Aventis) e una tedesca (Boehringer Ingelheim). Le "materie" sono dodici e vanno dalla produzione di pillole "tre in uno" contro l'Aids ai programmi di ricerca per le malattie trascurate come la malaria, dall'accessibilità dei farmaci pediatrici all'apertura del monopolio sui brevetti, dalla comunicazione agli azionisti alla trasparenza verso il pubblico. I valutatori sono raggruppati in un'organizzazione con sede a New York, l'Interfaith Center on Corporate Responsibility (Iccr), coalizione di 275 investitori responsabili statunitensi, prevalentemente di ispirazione religiosa, che gestiscono fondi per 110 miliardi di dollari. I risultati di questo esame sono stati pubblicati ad agosto nel rapporto "Benchmarking Aids. Evaluating Pharmaceutical Company Responses to the Public Health Crisis in Emerging Markets". E non sono affatto lusinghieri per Big Pharma.
La pagella di Iccr
Nel lavoro curato da Dan Rosan, Kieran Hartsough e Lisa Sachs, la media complessiva di tutte le aziende su tutte le materie è pari a 2,7, che non sarebbe la sufficienza neanche nel tradizionale voto scolastico su base dieci. In questo caso, tuttavia, siamo in presenza di alcune tra le più tecnologicamente avanzate e, contemporaneamente, tra le più redditizie imprese mondiali e quindi l'attesa era di uno standard molto più elevato. Invece nessuna delle quindici raggiunge la media del 4, sei hanno appena la sufficienza con medie fra 3 e 3,5 e le altre sono decisamente insufficienti. Il miglior risultato è quello della Sanofi-Aventis, la compagnia francese che ha assorbito anche la tedesca Hoechst: la media è pari a 3,5, sostenuta soprattutto, spiega il rapporto, da un ottimo posizionamento nella ricerca e produzione di medicine per malattie trascurate come malaria e tubercolosi e da una politica di prezzi differenziati per reddito del paese ricevente. Tuttavia Sanofi non produce farmaci per l'Aids e quindi la sua valutazione è solo parziale.
Tra le aziende impegnate sull'Aids e che hanno avuto voti su tutte le materie, le migliori sono risultate la britannica GlaxoSmithKline (Gsk) e la statunitense Merck, entrambe a 3,2. Gsk risulta con buone pratiche nella registrazione dei farmaci in tutti i paesi in cui occorrono e nei programmi di ricerca sulle malattie trascurate. Molto meno bene, ad esempio, sulle "combinazioni in dose fissa", cioè appunto i tre principi attivi in una sola pillola che aiutano la somministrazione nei paesi poveri e nelle zone rurali, e soprattutto sulla scottante questione della registrazione dei brevetti, e quindi della protezione monopolistica dei farmaci, nei paesi in via di sviluppo. Anche Merck, che si segnala per la produzione pediatrica e i prezzi differenziati, prende un 1 sui brevetti. Questa è decisamente la materia in cui l'industria farmaceutica va peggio: la media delle quindici aziende è pari a 1,6. Tra i risultati complessivi peggiori, quello della maggiore impresa mondiale del settore, la Pfizer (Usa), che si ferma a 2,2.
Battaglia legale in India
Sui brevetti continua la battaglia. Novartis, la compagnia farmaceutica svizzera nata dall'aggregazione di Ciba Geigy e Sandoz che ha anche stabilimenti in Italia, tra cui quello di Rovereto (Trento) dove si producono "generici", ha presentato a maggio un ricorso all'Alta corte di Chennai (Madras) contro la decisione dell'ufficio brevetti dell'India che aveva respinto la registrazione del brevetto su un farmaco impiegato contro il cancro con la motivazione che si tratta della nuova forma di una sostanza già conosciuta. Il tribunale, dopo una prima udienza a settembre, si è aggiornato alla fine di gennaio 2007. In gioco è la nuova legge indiana sui brevetti, che pure è stata approvata nel 2005 a seguito degli accordi internazionali in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, Wto), i Trips, Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights. L'accordo Trips è sotto accusa in quanto in diversi casi tutela, più che i diritti di chi ha inventato un nuovo prodotto, posizioni di monopolio o oligopolio di grandi imprese. Uno dei casi più controversi è proprio quello sui farmaci.
Le medicine protette da brevetti sono particolarmente costose. Il detentore del brevetto ha il monopolio del farmaco per almeno vent'anni e in questo periodo ne trae il massimo profitto. Quando il brevetto scade, il farmaco può essere prodotto liberamente in forma "generica" - per intenderci: acido acetilsalicilico invece che Aspirina - e il suo prezzo diminuisce di parecchio. In India la legge precedente, il Patent Act del 1970, consentiva di produrre farmaci generici che altrove erano ancora protetti da brevetto. In tal modo negli anni scorsi l'industria farmaceutica indiana, a partire dalla Cipla di Yusuf Hamied, ha giocato un ruolo essenziale nella produzione ed esportazione di farmaci generici di qualità a buon mercato, come le terapie anti-retrovirali contro l'Aids, i cui prezzi sono passati dai 10 mila dollari l'anno per paziente del 2001 a 250-300 dollari l'anno. La nuova legge indiana, adeguata ai Trips, ha però introdotto misure di salvaguardia per i pazienti e criteri rigidi per stabilire quali invenzioni possano dirsi veramente innovative.
Fondi padroni
Per la grande industria farmaceutica e i suoi azionisti la partita riguarda un giro d'affari complessivo che supera i 400 miliardi di dollari, di cui oltre 300 miliardi per i farmaci, e utili netti di bilancio di oltre 50 miliardi di dollari l'anno. I primi dieci gruppi hanno movimentato nel 2005 un fatturato di 315 miliardi di dollari con 51 miliardi di utile, pari ad un margine del 16%. Ma chi sono i padroni di Big Pharma? Alcune famiglie storiche, come gli Hoffmann che controllano ancora la Roche, i Sandoz , ancora presenti in Novartis, gli svedesi Wallenberg in AstraZeneca, la fondazione Lilly in Eli Lilly, o gruppi multisettoriali, come la Total (famiglie Frère e Desmarais) e L'Oréal (famiglia Bettencourt e Nestlé), maggiori azionisti di Sanofi-Aventis.
Per il resto si tratta di investitori istituzionali, in primo luogo banche e fondi di investimento, per conto di migliaia di piccoli risparmiatori. Pochi operatori dominano le maggiori imprese: la britannica Barclays Bank , la statunitense State Street , alcune case di fondi come Fidelity , The Capital Group , Wellington . E nel 60-70% del capitale che fa capo a fondi o investitori di Borsa, non mancano gli operatori italiani. Le grandi aziende farmaceutiche, spesso in linee di investimento "salute e ambiente", sono in portafoglio ai maggiori gestori nazionali di fondi. Eurizon (gruppo Sanpaolo-Imi, ora Intesa Sanpaolo) ha, tra l'altro, Novartis come secondo titolo del fondo azionario internazionale etico. Nord Est Fund , delle Casse rurali trentine e Bcc del Triveneto, investe nelle farmaceutiche, GlaxoSmithKline e Schering Plough in testa, il 14% dell'azionario globale. Etica sgr , la società del risparmio gestito di Banca Etica, che aderisce a Iccr, ha in portafoglio Bristol-Myers Squibb, Johnson & Johnson, Sanofi-Aventis. Il rapporto di Iccr ha già messo in moto reazioni da vari fronti, ma il suo obiettivo più importante è influenzare il comportamento delle imprese a partire proprio dalla sollecitazione agli azionisti a compiere scelte responsabili.
di Francesco Terreri
Fonte: Microfinanza