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Lo zampino dell’uomo sull’evoluzione delle altre specie
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Foto: Unsplash.com
Kenya. Il 2021 ha visto i risultati del primo censimento nazionale del patrimonio faunistico selvatico. E non sono affatto dati confortanti quelli che emergono dall’operazione di più mesi coordinata dal Kenya Wildlife Service (KWS) insieme al Wildlife Research and Training Institute (WRTI), costata quasi 2 milioni di euro e con il coinvolgimento di ranger, ricercatori e membri delle comunità locali in un conteggio che ha avuto luogo sia via terra che per via aerea.
Cinque specie sono in pericolo critico di estinzione, una classificazione che nella scala definita dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) corrisponde al grado più alto di rischio, ovvero alla possibilità del 50% che quella specie possa estinguersi entro 10 anni o tre generazioni. Gli sfortunati protagonisti di questa classifica sulla vita vanno dai poco più di 1600 esemplari del cercocebo del fiume Tana, al rinoceronte nero (meno di 900 esemplari), al damalisco di Hunter, all’antilope nera e all’antilope roana (con appena 15 esemplari).
Altre nove specie sono state classificate invece come “in pericolo”, con un rischio comunque significativo (possibilità di estinguersi del 20% in 20 anni o 5 generazioni): l’elefante, il leone, il ghepardo, il rinoceronte bianco, il bongo, la zebra di Grévy, il licaone, la giraffa nubiana e il sitatunga, alcune delle quali specie iconiche non solo dei parchi del Kenya, ma di una buona parte del continente africano.
Su di loro incombono minacce che, guarda caso, hanno come protagonista l’uomo: la crescita demografica e l’urbanizzazione, la perdita di habitat causata dalla deforestazione e dall’aumento delle infrastrutture, la scarsità di risorse dovuta ai cambiamenti climatici e, non ultimo, il bracconaggio.
Su questo ultimo aspetto la questione dell’impatto dell’uomo sul destino dell’evoluzione delle altre specie supera i confini del Kenya e arriva anche in Mozambico, in particolare ai risultati di uno studio su decenni di bracconaggio a danno degli elefanti, per accaparrarsi l’avorio delle loro zanne che, soprattutto durante la guerra civile (1977-1992) era determinante su entrambi i fronti come risorsa per finanziare il conflitto. Gli elefanti senza zanne, a quel tempo più rari, non erano considerati redditizi e ciò generava, per queste eccezioni, una maggiore possibilità di sopravvivenza. Un paio di generazioni a seguire, gli effetti di questo periodo sono ancora visibili nella colonia di circa 700 elefanti che popola il Parco Nazionale di Gorongosa: i ricercatori, in uno studio pubblicato su Science, avrebbero evidenziato come negli anni ultimi anni di evoluzione della specie, si sia rilevato l’aumento di esemplari senza zanne, dando prova di come l’azione umana possa pesantemente influire non solo sulla vita ma anche sull’aspetto fisico delle altre specie. Robert Pringle, del dipartimento di ecologia e biologia evoluzionistica dell’Università di Princeton che ha guidato lo studio, ha dichiarato a The Guardian: “Penso che questo studio mostri più che semplici numeri. L’impatto che le persone hanno… stiamo letteralmente modificando l’anatomia degli animali.”
Grazie al sequenziamento del genoma degli elefanti (soprattutto femmine) con e senza zanne, i ricercatori hanno trovato una differenza tra i due gruppi che riguarda la presenza di cromosomi legati allo sviluppo della dentatura nei mammiferi. Una mutazione che ha come risultato quello di proteggere le femmine senza zanne dai bracconieri, ma che risulta fatale per gli elefanti maschi, che non hanno uno sviluppo regolare nel ventre materno. Un fenomeno che i ricercatori considerano reversibile, a fronte però dell’implementazione di aree protette e di progetti di conservazione e tutela che stanno dando i primi risultati. Uno spiraglio di luce che vale la pena sottolineare, soprattutto in un momento storico in cui, per molti animali e anche in Paesi poco distanti, sta suonando l’ultima chiamata – purtroppo spesso inascoltata – per la sopravvivenza.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.