Legge intercettazioni: la protesta delle riviste cristiane e dei settimanali cattolici

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"Non possiamo sperare di ricevere informazioni veritiere per sovrana concessione. Abbiamo il dovere di cercarle e, una volta trovate, di verificarle, di soppesarle, di confrontarle e di valutare se possano o meno avere una rilevanza pubblica. E quindi pubblicarle". Inizia così una nota riportata da Adista firmata da un ampio gruppo di riviste del mondo cattolico e delle altre chiese cristiane italiane riguardo al disegno di legge governativo sulle intercettazioni (la cosidetta "legge bavaglio") approvato con voto di fiducia al Senato e ora al secondo esame alla Camera dei Deputati.

Le riviste cristiane affermano quindi che "la responsabilità di chi fa informazione è grande", ma - sottolineano - "altrettanto grande deve essere l'autonomia e la libertà di cui i giornalisti devono godere in ogni Paese democratico. Lo dice l'art. 21 della Costituzione, sia quando garantisce che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, sia nella affermazione, appena precedente a questa, in cui si sancisce il diritto “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Un diritto che ne sottintende uno ancora più grande: quello di poter conoscere, per poi liberamente scegliere".

Per le riviste cristiane "Cercare informazioni è un lavoro difficile, ma significa cercare la verità, o almeno tentare di avvicinarsi ad essa il più possibile. Questa la missione del giornalista, questa la missione di ogni persona di buona volontà. Ma il disegno di legge governativo sulle intercettazioni pone alla ricerca della verità molte, troppe limitazioni che, impedendo di portare alla luce fatti e circostanze, compromette alla radice il perseguimento di quel bene comune che è, anche secondo il magistero sociale delle Chiese cristiane, il fine ultimo della politica".

"Mai - conclude la nota - come in questi ultimi anni la dimensione etica del tessuto sociale e civile, nel nostro Paese, è stata minacciata. La risposta non può essere un minore, bensì un maggiore senso della verità. E quindi una maggiore tutela della libertà di informazione. Oltre ai limiti posti alla magistratura e ai mass-media dal disegno di legge in discussione, l'aggressione alla libertà di informazione minaccia l'essenza stessa della democrazia. E l'essenza stessa del cristianesimo, per cui solo la verità fa veramente liberi".

Per difendere il diritto di conoscere, ma anche il diritto dovere dei giornalisti di divulgare le noitizie, anche numerosi settimanali cattolici diocesani hanno preso posizione nei confronti del disegno di legge sulle intercettazioni. Come riporta sempre Adista i settimanali sono intervenuti attraverso editoriali o articoli di commento per censurare unanimemente, con accenti diversi ma con identico spirito, un progetto di legge da tutti giudicato lesivo del diritto all’informazione e pericoloso per l’assetto giuridico e democratico del Paese.

In precedenza anche le Acli avevano espresso un giudizio fortemente critico sulla disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali. "L'Italia ha bisogno di trasparenza e legalità, non di segretezza" - ribadiva la nota del presidente delle Acli, Andrea Olivero. "La corruzione la vera emergenza del Paese, con ricadute gravissime non solo sul piano politico ed economico - l'evasione fiscale, il lavoro sommerso, lo spreco di denaro pubblico, le mafie e le clientele - ma anche sul piano sociale ed educativo: il venir meno del senso dello stato, della legalità, del bene comune. Per fare crescere finalmente la democrazia nel nostro Paese - concludeva il presidente delle Acli - avremmo allora bisogno di maggiore responsabilità e trasparenza, non certo di maggiore segretezza. E per far questo la libertà d'informazione non è solo un diritto fondamentale della Costituzione ma anche un dovere imprescindibile".

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) comunica che la Conferenza Nazionale dei Comitati di Redazione ha approvato un comunicato nel quale si denuncia con forza e indignazione l'imposizione del "silenzio di Stato". "Il disegno di legge impedisce ai giornalisti di dare notizie, a volte per anni, perché vieta la pubblicazione della cronaca giudiziaria fino alla conclusione delle indagini preliminari" - afferma la nota.

Approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri il 13 giugno 2008, il 30 giugno di quell’anno il testo venne presentato alla Camera, che lo approvò il 23 febbraio 2009 con 318 voti a favore, 224 contrari e 1 astenuto. Il 16 giugno scorso il provvedimento è arrivato in Senato dove è stato approvato con voto di fiducia. Attualmente è all’esame della Commissione Giustizia, in attesa di essere discusso dall’Aula di Palazzo Madama. [GB]

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