Le ragazze di Kabul che guidano i Pink Shuttle (per le altre donne)

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Si chiamano Razia, Parisa, Laila e Mahjabin. Hanno tra i 24 e i 36 anni. Vivono a Kabul. E fanno le autiste. Di un Pink Shuttle, che non è proprio una navetta rosa (è bianca), ma trasporta soltanto passeggere. Cento, per la precisione: studentesse dell’università o dipendenti dei ministeri che hanno aderito alla startup delle donne che trasportano le donne. Una iniziativa nata dalla collaborazione tra Nove Onlus, associazione non profit impegnata in Afghanistan dal 2014, e da Otb Foundation, la fondazione del Gruppo di Renzo Rosso che dal 2008 a oggi ha finanziato oltre duecento progetti di sviluppo sociale nel mondo. 

Chi sono le autiste

Razia è l’unica non ancora sposata. Ha 24 anni, è laureata in legge, e ammette con tranquillità due cose, via Skype, hijab color tortora sul capo e spilla Otb sul petto: «Il mio fidanzato vive in America e non gli ho detto che sto facendo questo lavoro, altrimenti non me lo avrebbe permesso. Quello dell’autista non è il lavoro dei miei sogni, ho studiato per fare altro, ma voglio prepararmi per quando lascerò il Paese». Mahjabin, sua coetanea, è vedova e ha una figlia di tre anni. Ha preso la patente quest’anno e a lei, invece, guidare piace molto. «Un giorno sarebbe bello avere una mia auto», dice. Parisa ha 36 anni e tre figli ormai grandi, di ventitré, venti e diciotto anni. Racconta: «Avevo preso la licenza di guida quattro anni fa, ma poi mi era scaduta. Quest’anno l’ho rinnovata. Ho sentito parlare del corso per autiste da alcuni amici, mio marito era contento, del resto anche prima lavoravo, facevo la giornalista». 

Il bando di concorso

Le ragazze di Kabul non sono state scelte per caso. «Il progetto del Pink Shuttle, tra i tre finalisti del nostro bando di concorso, era il più “brave”, il più coraggioso, perché fa leva sull’emancipazione femminile, un tema a cui siamo molto sensibili e che in Afghanistan non solo non è scontato, ma è fragile. L’idea di poter incidere in una cultura così diversa in modo concreto ci ha conquistati», racconta Arianna Alessi, vicepresidente di Only The Brave Foundation, la fondazione dedicata per definizione solo ai coraggiosi, che finora con il suo supporto ha lasciato una impronta nel quotidiano di duecentomila persone. Alessi va avanti: «Per noi era importante che l’iniziativa avesse un impatto diretto sulla vita delle donne, che fosse sostenibile e innovativa. Le difficoltà che abbiamo incontrato non sono state poche: banalmente non abbiamo potuto colorare di rosa gli shuttle, perché avremmo dato troppo nell’occhio inimicandoci una parte della popolazione... Ma la speranza è che presto le navette diventino più di tre e che l’esperienza possa essere esportata in altre città afghane». 

Come funziona

La guida di un’auto rappresenta un sicuro strumento di emancipazione, ed è per questo che Nove Onlus da tre anni ha avviato nella capitale afghana un programma di scuola guida femminile grazie al quale 195 donne hanno preso gratuitamente la patente (da quando è caduto il regime talebano, 18 anni fa, poco più di tremila donne hanno ottenuto la licenza di guida). Razia, Parisa, Laila e Mahjabin lavorano tutti i giorni della settimana, escluso il venerdì, dalle 7 del mattino alle cinque del pomeriggio, con quattro turni di «trasferimento» da e per università e ministeri. Ogni navetta può traportare otto passeggere, mentre le autiste sono ancora affiancate da un tutor, fino a marzo, quando terminerà la fase sperimentale. Guadagnano trecento dollari al mese, che è un salario medio. La sfida è che, superato il periodo pilota partito questa estate (i costi sono stati coperti da Otb Foundation e da USAid), il Pink Shuttle si trasformi in un vero e proprio servizio commerciale, gestito direttamente dalle afghane. 

A piccoli passi

«Dare opportunità alle donne che vivono qui di fare qualcosa di diverso, di sovversivo se si vuole, è estremamente importante», dice Alberto Cairo, socio di Nove Onlus e responsabile dei centri ortopedici della Croce Rossa in Afghanistan. «Naturalmente va fatto a piccoli passi, per non creare problemi alle donne stesse. A Kabul guido regolarmente e ne vedo pochissime al volante. Questo mi sembra decisamente un passo avanti».

Elvira Serra da Corriere.it

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