Laici cristiani al piano terra

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Una domanda che mi faccio spesso: come è possibile che tanti si dicano cristiani cattolici, anzi, rivendichino la qualifica di paladini della visione cristiana della vita e del mondo e poi sponsorizzano scelte politiche e amministrative che nulla hanno di cristiano? Ma i laici, quelli prefigurati dal Concilio Vaticano II, che leggono le realtà terrene (la politica, l'economia, l'amministrazione pubblica, la famiglia e le varie professioni), con il Vangelo in mano, dove sono? E perché, come è avvenuto in passato con i De Gasperi, i Moro, i Lazzati, non emergono?

Ci sono cascati anche vescovi e monsignori, convinti che la loro missione fosse quella di presidiare la cittadella della Chiesa favorendo anche quelli che si dichiarano non credenti, ma sono disposti a foraggiare gli enti ecclesiastici per averne in cambio l'appoggio nei loro disegni politici. Ed è nota la nuova creatura della “religione civile”, sostenuta da “atei devoti”.

E' vero, una responsabilità c'è anche nella gerarchia, che ha avocato a se stessa i rapporti con la politica e i problemi del Paese, ma non è una ragione sufficiente per spiegare il fenomeno. Una risposta l'ho trovata nell'intervento che Giuseppe Savagnone, direttore del Centro diocesano per la pastorale della cultura di Palermo, ha fatto alla Settimana sociale dei cattolici a Reggio Calabria.

Savagnone distingue anzitutto due piani: uno che chiama “nobile” è quello in cui si fanno convegni e documenti, l'altro è il “piano terra” dei gruppi e dei movimenti, delle parrocchie e della vita quotidiana. Tra i due piani, osserva il professore, non ci sono scale di comunicazione, non ci sono passaggi. E così, i bei documenti rimangono in biblioteca e non diventano fermenti di impegni al piano terra.

Ma ci sono altri due comportamenti stagni che Savagnone analizza e sono la chiesa, da intendere come edificio di culto e della Parola, e la vita fuori dalla chiesa, nelle case, nelle piazze e nei palazzi del potere. L'analisi è così acuta e pertinente che mi piace riportarla di sana pianta.

Dice Savagnone: “Quando il laico credente varca la soglia del tempio, si lascia alle spalle la sua esperienza civile, politica, culturale, professionale e familiare e diventa un accolito fedele, un lettore puntuale, una persona che distribuisce l'Eucaristia, che fa catechesi, diventando un 'vice prete'”. E decreta: “Questa non è laicità”. Perché il credente è veramente laico “se porta le esigenze e le situazioni di cui il mondo è pieno”.

Altro quadro: quello del laico credente quando esce dalla chiesa. Dice Savagnone con buona dose di ironia: “Torna ad essere l'uomo che nella società civile contribuisce al caos, all'illegalità, alla politica perversa, allo stile del disservizio e di incapacità di gestione, senza percepire minimamente il legame tra questo e la sua appartenenza ecclesiale”. E commenta: “E' una tragedia: clericali dentro, laicisti fuori”.

A me è toccato personalmente, dopo una messa con omelia sulla gestione dei beni terreni e sulla solidarietà, di sentirmi dire sul sagrato da un laico credente: “Queste prediche vada a farle in Africa”.

Saranno tinte volutamente fosche, dettate però da una passione ecclesiale e civile di chi vorrebbe finalmente veder ritornare alla ribalta laici maturi, che si prendano le proprie responsabilità e si considerino, come dice l'esortazione apostolica Christi fideles laici di Papa Wojtyla “chiamati a contribuire, quasi dall'interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo, mediante l'esercizio della loro funzione propria, e sotto la guida dello spirito evangelico”.

A leggere la situazione del nostro Paese oggi con il Vangelo in mano c'è da inorridire. D'altra parte, è una della possibili piste per aprire orizzonti di speranza.

Vittorio Cristelli da Vita Trentina

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