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La sfilata dei Grandi all’ONU
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Foto: Unsplash.com
Aspettative altissime quest’anno per la 76° Assemblea Generale dell’ONU. “Creare resilienza mediante la speranza – per riprendersi dall’epidemia di Covid-19, ricostruire in maniera sostenibile, rispondere ai bisogni del pianeta, rispettare i diritti delle persone e rivitalizzare l’Organizzazione delle Nazioni Unite”. Epidemia sanitaria (con conseguenze sociali ed economiche), cambiamenti climatici, diritti umani. C’è poi l’argomento per eccellenza: la governance globale. Che sia da intendere auspicabilmente in chiave multilaterale e come niente di altisonante e astratto: secondo il Segretario Generale dell’ONU Guterres, proprio l’emergenza dettata dal Coronavirus ha ampiamente dimostrato la sua necessità. Su questi macro-temi i 193 rappresentanti degli Stati membri dell’ONU saranno chiamati a dire la propria.
Anche gli Stati Uniti di Joe Biden, tornati all’ONU con la volontà di riprendere un dialogo multilaterale interrotto con la presidenza Trump. Ecco che allora i 15 minuti di palco convenzionalmente messi a disposizione diventano ben 35 quando il presidente ha presentato un ampio discorso che cuce insieme la volontà di lavorare per porre fine alle due emergenze globali: la pandemia e i cambiamenti climatici. Le ulteriori donazioni di 500 milioni di dosi di vaccino Covid-19 nei Paesi più poveri del mondo vanno quindi a braccetto con i generosi aiuti allo sviluppo per fronteggiare le emergenze collegate alle crisi climatiche.
Anche la Cina Popolare di Xi Jinping che, sempre in tema ambientale, ha annunciato che cesserà di finanziare progetti basati sul carbone all’estero così da incentivare le energie green; una promessa che è stata condivisa da Giappone e Corea del Sud e che quindi porterebbe a una riduzione del 95% dei finanziamenti di questo genere, nella speranza sia effettivamente realizzata. Dialogo e collaborazione internazionali sono le parole d’ordine del gigante asiatico all’ONU.
Anche il Regno Unito di Boris Johnson che ammonisce drammaticamente sui cambiamenti climatici. La prossima COP26 di Glasgow che si aprirà il 31 ottobre “è l’ultima occasione per l’umanità”; occorrerà capire quando dai toni drastici si passerà ad azioni altrettanto incisive per dare davvero seguito agli impegni sottoscritti: anche la COP21 del 2015 di Parigi era stata definita l’ultima possibilità prima del baratro ma ben poco poi è stato messo in atto da allora e nelle successive Conferenze per il clima.
Anche la Turchia del presidente Erdogan che ha annunciato la pressoché prossima “messa a disposizione dell’umanità” del vaccino turco Turkovac al Covid-19. L’attenzione è stata puntata poi non solo sull’Afghanistan ma su altre crisi ancora insolute: la questione israelo-palestinese, la guerra in Siria e la faccenda cipriota che vede Ankara chiedere un approccio più realistico consentendole di aprire un tavolo di dialogo proprio in sede ONU.
Anche l’Iraq di Barham Salih, che ha condiviso internazionalmente la lotta intrapresa dal Paese contro la corruzione dilagante, e il Libano di Michel Aoun che ha invece riposto l’attenzione sulla crisi attuale del Paese dei cedri, territorio centrale negli equilibri fragili del Medioriente.
Anche il Ciad di Mahamat Idriss Déby Itno e il Sudafrica di Cyril Ramaphosa che, insieme a tutti gli altri leader africani, hanno richiesto una più equa distribuzione dei vaccini anti-Covid19 per arrestare un virus che non conosce barriere. “Nessuno è al sicuro se non siamo tutti al sicuro” è lo slogan più volte scandito in Assemblea.
Anche la Slovacchia di Zuzana Čaputová e la Tanzania di Samia Suluhu Hassan che hanno ricordato quanto ancora oggi la mancata parità uomo-donna comporti disparità nello sviluppo e nel benessere globali. Non sono state le sole rappresentanti; tra queste anche Kersti Kaljulaid (Estonia), Sheikh Hasina (Bangladesh) e Jacinda Arden (Nuova Zelanda). In tutto sono 13 le donne che hanno preso la parola nella sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, pari a meno del 10% degli intervenuti. Certo meglio delle sole 9 rappresentanti della 75° Assemblea Generale ma di certo un segno evidente di quanto ancora deve essere fatto per colmare il gender gap.
Anche l’Italia con l’intervento in formato di videomessaggio del presidente del Consiglio Mario Draghi. Ripartendo da una linea tanto cara alla politica estera italiana del secondo dopoguerra, Draghi ha ribadito la necessità di rafforzare il multilateralismo e dunque il buon funzionamento delle organizzazioni internazionali per assicurare la pace e il benessere mondiali. “People, planet, prosperity” sono i 3 pilastri scelti dalla presidenza italiana del G20 che guarda al doveroso sforzo condiviso di responsabilità e di lungimiranza da parte della comunità internazionale innanzi alla pandemia globale, alla crisi economia e ai cambiamenti climatici in corso. Il discorso trae ampio spunto dall’intervento del Presidente al “Food Systems Summit” e al “Global Covid-19 Summit”, conferenze tenutesi entrambe ai margini dell’Assemblea Generale dell’ONU. L’impegno italiano per donare dosi di vaccini anti-Covid19 nei Paesi del sud del mondo, per arrestare i cambiamenti climatici e per depotenziare i rischi della crisi afghana in termini di sicurezza-terrorismo e di violazioni di fondamentali diritti umani si uniscono alla riflessione sulle missioni umanitarie, dato l’apporto numerico più alto dei caschi blu italiani fra i Paesi occidentali, e sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con un auspicato aumento dei membri a rotazione.
Anche l’Afghanistan a guida talebana che, a sorpresa, ha inoltrato di recente la richiesta a intervenire nel consesso internazionale al posto dell’attuale ambasciatore all’ONU, Ghulam Isaczai, nominato dal dissolto governo Ghani, che “non rappresenta più il Paese”. Un Comitato ad hoc si esprimerà al riguardo ma questa volta non è stato lasciato il palcoscenico mondiale a un movimento che figura nella lista ONU dei gruppi terroristici e che ancora nessun governo ha formalmente riconosciuto.
Niente sta scritto. Vedremo se gli impegni risuonati in Assemblea si tramuteranno in azioni reali.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.