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La salute traballante dell’economia italiana
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Foto: Unsplash.com
A frenare subito i precoci entusiasmi ci ha pensato direttamente lui, Mario Draghi, probabilmente molto più realista di tanti commentatori e giornalisti, che leggendo gli ultimi dati Istat sull’economia italiana, giá inneggiavano al miracolo economico post-pandemico. Quel +17,3% di PIL sul secondo trimestre del 2020 è un numero che va letto e presto dimenticato, perché il confronto é fatto rispetto a un trimestre buio della storia italiana e mondiale, tragicamente condizionato dall’offensiva del virus. L’Italia é semplicemente scivolata piú in basso degli altri nel 2020, e quindi ora deve recuperare più strada, non solo per tornare ai livelli di produzione pre-covid, ma per dare una scossa a 25 anni di stagnazione economica e cercare di essere il piú possibile competitivi con gli altri paesi. Insomma, c’è un rimbalzo positivo, ma niente di piú.
Un’altra doverosa considerazione da fare é che un trimestre non crea una tendenza, di conseguenza ogni interpretazione psicoanalitica di questi numeri lascia il tempo che trova, come i vari quotidiani che intitolavano “torna la fiducia” o “siamo i primi in Europa”, a voler rivangare la gloriosa estate sportiva italiana. Rispetto al trimestre precedente si evidenzia un +2,7%, del quale ben 2,6% proviene dalla ripresa dei consumi delle famiglie, in linea con le riaperture dell’economia, a discapito però di investimenti ed esportazioni, i cui risultati sono stati decisamente più modesti. Il rilancio dei consumi é certo importante, ma ampiamente atteso. Un esame piú robusto lo avremo sicuramente nel paragone col trimestre in corso, visto che nel periodo Luglio-Settembre del 2020 abbiamo galoppato.
Altro dato interessante è quello relativo alle ore lavorate. Da Aprile a Giugno 2021, l’incremento è del 3,9% per l’intera economia. Poiché tale variazione eccede quella del PIL reale la prima conclusione é che nei tre mesi in esame, nonostante un aumento dell’impiego generale, la produttività media è di fatto calata. I dati, solo moderatamente confortanti, ci mostrano una crescita del numero di occupati rispetto al primo trimestre di 338 mila persone (+1,5%). Un aumento che riguarda soprattutto i dipendenti a termine (+8,3%), e in minor parte i dipendenti permanenti (+0,5%) e gli indipendenti (+0,7%). Parallelamente si osserva un calo sia del numero di disoccupati (-2,2%) sia di quello degli inattivi di 15-64 anni (-2,4%) e un aumento dei posti vacanti (+1,8%). Tuttavia, giusto per raffreddare i bollenti spiriti, i dati mensili provvisori di Luglio 2021 rivelano già un arresto del trend positivo iniziato a Febbraio 2021.
Se da un lato il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 74 anni é sceso nel secondo trimestre del 2021 al 9,8% (-0,3% rispetto al primo trimestre e -1,7% sullo stesso periodo del 2020) dall’altro si é verificato una simultanea caduta del costo del lavoro del 3,1%, e quindi del livello di retribuzioni (-2,3%) rispetto al secondo trimestre 2020. Se poi dovessimo fare un paragone con il periodo pre-pandemico, rispetto al secondo trimestre del 2019 all'appello mancano ancora 678 mila occupati, in maggioranza donne.
I dati OCSE effettivamente mostrano una crescita più marcata dell’Italia rispetto agli altri paesi sviluppati, ed è probabile che si riuscirà a re-instaurare i livelli di PIL del 2019 già dalla seconda metà del prossimo anno, invece che a inizio 2023 come la stessa OCSE aveva precedentemente stimato. Ciò nonostante, saremo ancora lontani dai livelli toccati prima della crisi finanziaria del 2009. E questo a causa dei nodi strutturali che ancora minano la crescita italiana, dall’evasione fiscale alla burocrazia, dalla giustizia lenta e corrotta al crollo demografico, passando da una spesa pubblica tanto imponente quanto anomala e spesso inefficiente rispetto alla maggioranza dei colleghi OCSE - vedi spesa esosa per interessi e pensioni.
Nodi che prima o poi ritornano al pettine. Sebbene l’attuale governo, all’alba del suo insediamento avesse indicato i due macro-obbiettivi che si dovevano necessariamente raggiungere, la campagna vaccinale e la presentazione del PNRR su tutti, e che in definitiva questi obiettivi siano stati centrati, meno si è visto sulla risoluzione dei macro problemi che affossano il sistema italiano da decenni. O per lo meno sulla direzione che si vorrebbe intraprendere. Visto l’andazzo dei governi precedenti, una chance a questo governo la si potrebbe dare su temi profondi e delicati come la transizione industriale-ecologica, la riforma fiscale, le pensioni o la scuola. Fra meno di un mese si presenterà la nuova legge di bilancio e ancora non si hanno indizi sull’orientamento politico di queste manovre. Vero è che molte meno chiacchiere e sicuramente molti più distintivi parlano a favore del governo dei “migliori”.
É in ogni caso utopico pensare che il Recovery Fund possa risolvere questi problemi. Si tratta di aspetti culturali atavici legati all’Italia e agli italiani, che non vanno a braccetto col nuovo assetto solidario e innovativo Europeo, e non saranno certo le valanghe di spesa pubblica corrente a cambiarne radicalmente l’ossatura. Anzi, al contrario: i soldi del PNRR potrebbero incentivare gli amministratori a mantenere lo status quo, l’ordine malsano delle cose, ed accontentare corrotti e corrompibili. Grazie a finanziamenti e sussidi a raffica, elargiti senza meriti particolari e senza una struttura di controlli all’altezza. Soldi che poi ci scorderemo di dover ripagare, una pratica ormai assodata di questo paese, affidandoci alle infinite risorse dei Buoni del Tesoro ed ai mirabolanti effetti benefici dell’inflazione sui futuri pagamenti del debito sovrano.
Nel frattempo il fantasma dell’inflazione si è già materializzato, attestandosi al 2,1% su base annua ad Agosto 2021. L’industria si sta già vedendo obbligata a trasferire a valle il maggior esborso per le commodity con il rischio concreto di determinare rilevanti incrementi dei prezzi al consumo. Che poi andrebbero a congelare proprio il maggior fattore (la spesa delle famiglie) di aumento di PIL degli ultimi mesi. Sempre l’OCSE suggerisce una crescita per l’Italia nel 2021 che potrebbe sfiorare i 6 punti percentuali, insieme a un deficit che potrebbe fermarsi anche sotto il 10%, contro l’11,8% stimato dal Def in primavera. Ma, come sappiamo, con le parole si alimentano solo i falsi trionfalismi: i dati si devono leggere nella loro interezza, un passettino alla volta.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.