La più bella del reame… ma anche la più sana?

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“Metti il frutto nel veleno, fino a quando ne sia pieno…” Così la strega Grimilde prepara la mela avvelenata per Biancaneve. E non si può certo dire che nella realtà le formule magiche abbiano questo stesso potere ma… le scelte dell’uomo, purtroppo, sì.

E’ quanto emerge dal recentissimo rapporto (giugno 2015) redatto da Greenpeace e intitolato, guardate un po’, “Il gusto amaro della produzione intensiva di mele”. Il documento presenta nella prima parte i risultati delle analisi di 36 campioni di acqua e 49 campioni di suolo prelevati in dodici Paesi europei, tra cui l’Italia; nella seconda parte, invece, fornisce esempi di buone prassi agricole ecologiche per effettuare una produzione sostenibile senza contaminare l’ambiente.

I campioni, raccolti nei mesi di marzo e aprile 2015 e prelevati per analizzare eventuali residui di pesticidi, dimostrano un’ipotesi paventata ma, a quanto pare, diventata ormai tesi inequivocabile. Le mele provenienti da frutteti gestiti in maniera convenzionale offrono uno spaccato delle dinamiche che governano la produzione intensiva del frutto e dipingono un quadro a tinte fosche decisamente poco rassicurante: all’inizio del periodo della fioritura, su 85 campioni totali, è stata segnalata la presenza di 53 differenti pesticidi. Il 78% dei campioni di suolo e il 72% dei campioni di acqua contenevano residui di almeno un pesticida. Dal rapporto (qui in una versione di sintesi, mentre scaricabile qui nella versione integrale in inglese) emerge che i residui più frequenti, sia nel terreno che nelle falde acquifere, devono essere fatti risalire al boscalid, con livelli di concentrazione che arrivano a 3,6 mg/kg. Questo funghicida non è però il solo: si trovano anche il DDT, in forma di DDE e DDD fino a 0,4 mg/ kg e il clorpirifos etile fino a 0,26 mg/kg, senza contare il clorantraniliprolo (nel 40% dei campioni di acqua, fino a 2 µg/l). Tutti e quattro questi pesticidi hanno livelli di tossicità molto elevati e sette tra quelli rilevati non sono attualmente approvati nell’Ue, ma possono essere utilizzati solo grazie a eccezionali deroghe temporanee. Si tratta in ogni caso di veri e propri cocktail di veleni che evidenziano la dipendenza da prodotti chimici di sintesi tipica della produzione intensiva di mele in Europa.

Un problema che va dunque affrontato con serietà e urgenza. Proprio a questo argomento è dedicata la seconda parte del rapporto, che mette in luce l’impellente necessità di sviluppare e applicare metodi sostenibili di lotta ai parassiti. Nei campioni prelevati nei meleti convenzionali europei ben 2/3 contengono sostanze che non solo hanno elevati livelli di tossicità per gli esseri umani, ma sono anche un pericolo da non sottovalutare per l’equilibrio dell’ecosistema e per prevenire l’inquinamento delle acque. Non tutte le coltivazioni vengono però gestite allo stesso modo: nella sezione del rapporto dedicata a “Pratiche sostenibili e tecniche alternative per la gestione di parassiti e delle principali malattie nella produzione di mele” vengono illustrate alcune soluzioni possibili per la produzione di mele, esaminando approcci diversi per ridurre l’impiego dei pesticidi chimici.

Un sistema agroecologico equilibrato che riveste un ruolo fondamentale nell’aumentare la resilienza a malattie e parassiti e nel proteggere gli organismi benefici, sistema che, nella testimonianza di Danny Billens (p. 45), coltivatore belga con esperienza pluriennale nell’ambito della coltivazione biologica di mele, rende concreta la sfida di una produzione alternativa. Concimazione, gestione del suolo, colture di copertura e potatura stimolano la crescita e migliorano lo stato nutrizionale delle piante, riducendo al tempo stesso in maniera diretta e indiretta la suscettibilità dell’albero e dei frutti alle malattie. Un’alleanza che, vale la pena sottolinearlo, coinvolge come protagonisti anche i nemici naturali di alcuni parassiti (per esempio le vespe per il ragnetto rosso) e che tiene in considerazione aspetti fondamentali come la giusta consociazione di piante per favorire la buona salute del suolo.

La produzione sostenibile di mele offre soluzioni moderne e innovative per produrre frutta sana e saporita senza contaminare suoli e acque e segnala l’urgenza di investimenti in bioagricoltura: un impegno che, oltre ad essere richiesto ai governi e alle imprese, tocca da vicino anche noi consumatori, non solo per boicottare mele che, come quella di Biancaneve, nascondono con un sapore e un aspetto invitante pericoli per la nostra salute e per l’ambiente, ma anche preferendo un consumo diffuso di frutta biologica che induca le aziende a convertirsi a sistemi di coltivazione più sostenibili.

Da parte mia non sono ancora riuscita a raccogliere prove concrete che la presenza di residui di pesticidi sulle mele sia stata la causa scatenante di una fastidiosa allergia che ho sopportato per anni e che compariva sulle labbra e sul palato non appena addentavo una mela “qualsiasi”. Quello di cui sono certa è però che, da quando ho cominciato a consumare mele biologiche lo sgradito effetto collaterale è sparito, riconsegnando a questo frutto dissetante, versatile e ricco di proprietà benefiche, un sapore nuovo e decisamente meno amaro.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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