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La pandemia è storia
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Foto: Pexels.com
Dopo quasi due anni di pandemia che ha esacerbato più d’una spaccatura globale e i cui impatti restano ancora incerti una cosa è molto probabile: se ne parlerà, e per molto tempo. Auspicabilmente, anche se non è scontato, stiamo aprendo la porta a un lungo e articolato periodo di riflessione su quanto è successo, periodo nel quale l’urgenza del contributo medico-scientifico potrebbe lasciare spazio a letteratura, arti e scienze umane per un’interpretazione altrettanto interessante.
Fino a pochi mesi fa, la maggior parte delle persone che volesse leggere qualche pagina di qualunque libro o rivista relativa al tema “Covid19” cercava informazioni sull’efficacia del vaccino, sulle possibili conseguenze o sulle alternative, con un occhio attento e avido di notizie relative soprattutto alle cure che si prospettassero all’orizzonte. Informazioni che nel breve periodo appaiono fondamentali e indispensabili, ma che in un tempo più lungo si limiteranno a qualche riga concisa, tecnica e riassuntiva. Già, perché la storia delle pandemie va letta altrove, e se nei secoli gli aspetti medici sono stati affascinanti e preziosi, non sono stati certo quelli più critici.
Non sappiamo con certezza che cosa abbia significato la peste ateniese del V secolo a.C., né la devastante epidemia del II e III secolo a.C. nell’antica Roma. Le epidemie dal VI all’VIII secolo a.C. nell’Impero romano sono oggetto di qualche discussione, ma probabilmente esito di molteplici infezioni incrociate. Ma non è qui quello che vale la pena indagare.
La parte che da approfondire è la reazione umana e sociale a queste epidemie e come le cronache di ciascuna epoca hanno descritto queste reazioni. A partire da Tucidide, storico e militare ateniese che con il suo resoconto sulla virulenta epidemia del V secolo a.C. ha direttamente o indirettamente influenzato molti altri storici che gli sono succeduti. In qualche modo ha gettato le basi del racconto, un modello narrativo per dare conto dei sintomi, ma anche degli impatti sociali. Atene stava affrontando il secondo anno di quello che sarebbe diventato un conflitto pluriennale con Sparta. L’epidemia si diffuse in fretta e uccise ancor più velocemente. Alcuni ateniesi dimostrarono dedizione e cura per gli altri – dedizione che li condusse per la maggior parte al contagio e alla morte – ma molti invece si arresero, ignorarono la famiglia o i cadaveri e rincorsero piaceri di ogni tipo per godere del poco tempo che la vita stava loro concedendo. Quanto la peste – e i comportamenti innescati – modificarono Atene è ancora oggi oggetto di dibattito tra gli studiosi: certo, come lo stesso Tucidide sottolinea, la morte del carismatico leader Pericle a causa della peste alterò la natura della leadership, facendo venir meno alcune caratteristiche “moderate”. Si lascia intendere, anche se non si esplicita, che gli ateniesi abbiano in quegli anni perso più d’uno dei loro tradizionali valori di pietà e rispetto per le norme sociali. Fu la generazione che mise in discussione il ruolo e la natura delle divinità, ciò che si sapeva del mondo e come era il caso di vivere, ma che aprì orizzonti nuovi anche per un rinnovato militarismo e per la catastrofe finale: la vittoria di Sparta e la perdita dell’impero.
Lo storico bizantino Procopio di Cesarea, dal canto suo, superò la peste del VI secolo a.C. per raccontarci che furono in molti a diventare molto religiosi in quel periodo, ma appena il pericolo si fece meno minaccioso tornarono in fretta alle vecchie abitudini. La morte nera fu più che mai simbolo del fatto che i sistemi cadono in declino, ma le persone si adattano. E anche se la tentazione sarebbe quella di predire un completo sovvertimento dei comportamenti sociali come conseguenza della pandemia, la storia ci dice che sarà improbabile: gli stretti legami che tengono avvolta la nostra società come l’arrosto della domenica non sono così semplici da sciogliere.
I punti più critici restano nei nodi rappresentati dai Paesi impoveriti, dalla salute mentale sul lungo periodo e dagli impatti educativi e formativi, non solo sulle nuove generazioni. Sarà la pandemia più studiata dei nostri tempi, e quella più diffusamente raccontata: si pensi che la sola Università di Exeter, in un progetto dal titolo Pandemic and Beyond, ha mappato finora oltre 70 progetti nell’ambito delle Arti e delle Lettere che si occupano della narrazione della pandemia attraverso tecniche e linguaggi molteplici.
Cosa ci insegna la storia a questo proposito? “Look harder and dig deeper”, guardare in maniera più attenta e scavare in profondità. Perché la storia della pandemia non si esaurisce tra virus e vaccini, traspillover o spillback. Sarà invece il complesso intreccio di infinite dinamiche e letture, di come il fenomeno avrà intersecato i nostri comportamenti sociali, di come avremo scelto di reagire come individui e come nuclei familiari, come comunità e come politici, come nazioni e come agenzie globali.
Quello che gli storici, da Tucidide in poi, ci hanno sempre segnalato è l’inestricabile legame tra la biologia di un virus o di una malattia e la costruzione sociale della malattia stessa e del concetto di salute. E sappiamo quanto gli uomini siano poveri di strumenti, volontà e visione quando si tratta di pensare alle conseguenze. Una di quelle più spigolose di questa pandemia è il rapporto tra scienza e politica. Se dai tempi della peste di Atene la pandemia ha avviato giochi a rimpiattino tra religione e filosofia, medicina ed etica, questa “nostra” esperienza pandemica ha messo in luce una scienza di altissimo livello che ha trovato il suo palcoscenico proprio al centro delle decisioni politiche. Una condizione che, al fianco della molto più pericolosa crisi ambientale e climatica, ha indotto i decisori a “fidarsi della scienza”.Che però non parla con una sola voce, raramente offre soluzioni facili o inequivocabili e, a differenza della politica, resiste al breve periodo. Ecco perché capire gli impatti di questo virus nei risvolti culturali, sociali ed economici nei quali si situa, ci chiamerà ad ampliare anche la nostra visione della scienza in uno sguardo olistico e più generoso.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.