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La logica della guerra
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Foto: Pexels.com
Non si può accettare la guerra. Non si può accettare la violenza, la sete di potenza, di dominio, le aggressioni. Se la guerra continua a prevalere sul dialogo, sul desiderio di abitare insieme il nostro pianeta è perché non abbiamo fatto ancora abbastanza.
L’Europa, nata per la pace dopo i grandi massacri, è tor nata indietro, la guerra è scoppiata dall’oggi al domani: di sorpresa. Missili, carri armati, aerei da combattimento, corazzate, si sono rimesse in movimento per seminare dolore e sofferenza. Tutto ciò che si era raggiunto faticosamente, improvvisamente è svanito nel nulla: vite, abitazioni, legami, istituzioni.
La guerra si è affacciata ai nostri confini col suo volto mostruoso. Nasce sempre come violazione della libertà di stare al mondo, ha come unica arma la distruzione e la morte, non conosce colori né sfumature: solo grigio, nero e il rosso delle fiamme e del sangue. Chi uccide di più, chi distrugge di più, vince, non chi ha ragione.
La guerra è fondata sul mito della potenza e non sulla cura della res pubblica, non sulle regole del vivere civile: cancella volti, pensieri, affetti, uomini nella loro individualità e unicità: diventano numeri, nemici o amici, sacrificabili sempre. Le motivazioni belliche affermano le loro ragioni, e per queste ragioni, scelgono la via della cancellazione: di vite umane, di ambienti, di storia e cultura.
La guerra diffonde intorno a sé paura. Più la guerra uccide e riversa su di noi il terrore, più è efficace. I mass media in questo sono complici.
Anche il bombardamento senza scopo, fine a se stesso, ha un senso: “attenti, niente si salva dalla nostra furia metodica”, anche le cose più innocue e quotidiane; anzi soprattutto quelle rientrano nei piani di distruzione. “Guardate che cosa possiamo fare con la nostra forza, guardate bene, prendetene coscienza”, imparate cosa sappiamo farvi se solo vogliamo. Perché, infatti, si colpisce un ospedale? Perché si bombarda fino a smantellare una casa piano per piano? Perché si colpiscono i civili? È proprio la distruzione fine a se stessa, la fuga degli abitanti, la desertificazione del paesaggio, che si vuole mostrare non solo a chi è in guerra, ma anche e soprattutto chi non è (ancora direttamente) coinvolto. Noi europei, appunto.
Tutto avviene a due passi da noi, tutto ciò che vediamo, le immagini che scorrono davanti a noi, succede a gente che ci assomiglia, non a lontani paesi che non ci appartengono, non a persone che sono di un altro mondo, a cui, infatti, impediamo, indifferenti, di venire a “casa nostra”.
Quando migranti, arrivati da paesi lontani, sono stati ricacciati indietro con brutalità e senza pietà, nessuno ha indetto una marcia della pace. Nessuno ha invaso le piazze della nostra città per protestare a favore di quelle persone che cercavano solo di poter vivere. Eppure le loro immagini sofferenti sono scorse ogni giorno davanti ai nostri occhi.
No, è questa guerra che ci fa paura. È questa guerra che ci scuote, che riempie i nostri dibattiti, che ci mobilita...