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La felicità dei cittadini può essere al centro delle politiche globali?
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Foto di Yuyang Liu su Unsplash
Si potrebbe pensare che i Paesi più felici al mondo siano baciati dal sole. Niente di più lontano dalla realtà. Il Rapporto ONU sulla Felicità Mondiale 2024 traccia la top ten della felicità e incorona Stati felici ma quasi tutti ben conosciuti per gli inverni freddi, lunghi e bui: Finlandia - Danimarca – Islanda – Svezia – Israele - – Paesi Bassi – Norvegia – Lussemburgo – Svizzera – Australia. Però, gli stessi Stati possono vantare una economia solida, governi stabili, un limitato divario nella società tra ricchi e poveri, e cittadini che si prendono cura di se stessi e degli altri con un eccellente bilanciamento del proprio tempo tra lavoro e famiglia. Tutti elementi ben apprezzati dai cittadini in termini di felicità.
Ed è su questi dati che andrebbero fatte delle serie analisi nel momento in cui la felicità non corrisponde alla ricchezza complessiva del Paese. A titolo esemplificativo, i cittadini italiani intervistati hanno probabilmente valutato la propria condizione in maniera non eccellente, tanto da fa collocare l’Italia alla 41° posizione, scendendo di 8 posizioni rispetto alla passata edizione e ben al di sotto di un Kosovo al 29° posto. Lo stesso Kosovo che risulta il secondo Paese più povero d’Europa. Significativamente, quest’anno gli Stati Uniti sono usciti dalla top 20 per la prima volta da quando il World Happiness Report è stato pubblicato, soprattutto per “l’infelicità”, o meglio il forte calo di benessere, dei giovani statunitensi sotto i 30 anni. Se in classifica primeggiano sempre i Paesi del Nord Europa, l’Afghanistan resta in fondo all’elenco generale, con sopra, a una certa distanza, Libano e Lesotho.
Giunto alla sua XII edizione, il Rapporto è stato realizzato su 140 Paesi al mondo dal Sustainable Development Solutions Network (SDSN), una rete lanciata dall’ex Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon per proporre soluzioni percorribili per lo sviluppo sostenibile, nel rispetto dell’Agenda delle Nazioni Unite 2030 sulla sostenibilità e l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. L’obiettivo finale resta uno, il principale di sempre: supportare i Paesi nell’elaborazione di politiche volte a realizzare società (ossia cittadini) più felici.
È evidente che il Rapporto ONU sulla Felicità Mondiale fotografa una condizione di benessere percepito, laddove non è di certo il Pil del Paese di cui si è cittadino a determinare la soddisfazione per la propria vita. Lo studio tenta, infatti, di misurare il benessere soggettivo, o meglio la qualità della vita, prendendo in esame sei parametri: reddito pro-capite, sostegno sociale, aspettativa di vita alla nascita, libertà di compiere delle scelte di vita, generosità, corruzione. Il come farlo è sicuramente innovativo; gli studiosi hanno elaborato il report mediante tre principali indicatori di benessere “auto-valutati” dai cittadini: in primis sulla vita complessiva, in secondo luogo sulle emozioni positive e, infine, sulle emozioni negative. Sono gli esperti interdisciplinari (economisti, psicologi, sociologi e altri) a tentare di fornire spiegazioni di tali percezioni differenti tra Paesi e nel tempo, ovvero di chiarire i modelli di valutazione della vita nei diversi Stati, nonché tra le diverse fasce di età laddove la percezione della felicità cambia a seconda delle popolazioni più giovani, più anziane o intermedie.
Primo indicatore. Alla mano il Gallup World Poll come fonte, che chiede agli intervistati di valutare la loro vita attuale nel suo complesso utilizzando l'immagine di una scala, la cosiddetta “scala di Cantril”: le persone si possono posizionare da un 10, corrispondente alla miglior vita possibile, a uno 0, la condizione peggiore. Annualmente sono raccolte circa 1000 risposte numeriche che vengono utilizzate per costruire le medie nazionali dell’anno, rappresentative della popolazione in ogni Paese. Il Rapporto basa la classifica della felicità su una media triennale di queste valutazioni della vita, poiché la maggiore dimensione del campione consente di ottenere stime più precise.
Secondo e terzo indicatore. Come emozioni positive vengono esaminate risate, piacere e interesse, come emozioni negative preoccupazione, tristezza e rabbia. Se le emozioni positive sono in genere più del doppio di quelle negative (lo è stato rilevato incredibilmente anche durante gli anni più duri dell’epidemia di Covid-19), è l’autovalutazione della propria vita che fornisce il dato sulla qualità della stessa in maniera completa e veritiera, più di quanto lo facciano i resoconti emotivi emozionali influenzati dalle esperienze quotidiane.
Tutto il Rapporto serve, dunque, a indicare possibili strade. Come ha dichiarato Jan-Emmanuel De Neve, Professore di economia e scienze comportamentali alla Saïd Business School e principale attore nella redazione del Rapporto, “Mettendo insieme i dati disponibili sul benessere dei bambini e degli adolescenti in tutto il mondo, abbiamo documentato cali sconcertanti soprattutto in Nord America e in Europa occidentale. Pensare che, in alcune parti del mondo, i bambini stiano già sperimentando l’equivalente di una crisi di mezza età richiede un’azione politica immediata”.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.