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La blockchain a servizio del più vulnerabile
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Abbiamo spesso sentito parlare di blockchain, magari dalla bocca di santoni delle nuove tecnologie, che nascosti in qualche bunker enorme, nel nezzo di ghiacciai islandesi, si dedicano alla fabbricazione delle famose criptovalute. Ma può la blockchain avere anche una funzione sociale, aldilà della manipolazione e speculazione finanziaria che consegue alle attività di mininge trading? Può la blockchain essere uno strumento per favorire il riequilibro socio-economico di una popolazione, come motore di inclusione finanziaria? Questa è, secondo me, una delle grandi scommesse che si dovrebbe riporre in questa tecnologia, che più di altri mezzi di finanza digitale (le varie FinTechs, neobanks, le super piattaforme – i colossi Facebook e Amazon controlleranno quasi il 25% di tutti i dollari spesi per pubblicità digitale nel 2018 – l’intelligenza artificiale, i mobile network operators (MMOs) che proliferano soprattutto in Africa, come M-Pesa o M-Shwari), può democratizzare l’assegnazione e distribuzione delle disponibilità monetarie. Forse perché ancora non è stato corroso da una logica puramente capitalistica, ma sembra essere nato da un rigurgito modernamente ribelle, simil-anarchico che mira a svincolarsi e depurarsi dallo strapotere delle grosse società capitalistiche, dall’onnipresenza delle banche e la dipendenza delle caste. Con l’obiettivo di rendere tutti i processi più indipendenti, trasparenti, e combattere i sistemi organizzativi corrotti, come per esempio tanti apparati pubblici nei paesi in via di sviluppo.
In sintesi, la Blockchain è una struttura dati condivisa e immutabile, dotata di un registro digitale le cui voci sono raggruppate in forma cronologica, e la cui integrità è garantita dall’uso di formule crittografiche. Una sorta di database decentralizzato gestito da dei computer appartenenti a una rete peer to peer (P2P). Non solo per l’inclusione finanziaria, la blockchain è destinata ad avere un impatto rilevante in settori come le proprietà terriere, la filantropia, gli aiuti umanitari e le donazioni, la salute, l’agricoltura, la democrazia e i sistemi di governo locale, l’energia, il clima e l’ambiente. In tutti i casi utilizzando la stessa tecnologia di base. È altrettanto vero che ci vorrà pazienza: secondo l’organizzazione Blockchain for Social Impact circa la metà di queste iniziative non produrranno benefici concreti prima della fine del 2019, e il 30% mostrerà un impatto fra almeno 2 anni.
Nel mondo della microfinanza, lo stesso termine “microfinanza” sta diventando desueto, a favore dell’espressione “inclusione finanziaria”, che abbraccia un paradigma più ampio, che include le nuove tecnologie della finanza digitale. I tempi cambiano. Oggi un piccolo commerciante cinese può tranquillamente ottenere un prestito dal gigante dell’e-commerce Alibaba. Due amici di Nairobi possono chiedere un prestito di pochi euro con un messaggio di testo attraverso del loro operatore telefonico. In alternativa, possono decidere di rivolgersi a una start-up indipendente che utilizzerà algoritmi e big dataper valutare la loro affidabilità creditizia. E domani, il loro prestito può essere erogato in criptovaluta.
I primi esperimenti di successo di una blockchain privata a servizio dell’inclusione finanziaria risalgono al 2016, in paesi con alta domanda per servizi di microcredito, come la Birmania o la Somalia. BitPesa, fondato addirittura nel 2013 in Kenya, è stato uno dei progetti cresciuti più velocemente. Ma è il 2018 l’anno della svolta. In aprile 73 persone a Sindhupalpalowk, in Nepal, hanno ricevuto 583 mila rupie nepalesi (circa 5.500 dollari) utilizzando Sikka, un'applicazione finanziata e creata dal Nepal Innovation Lab della rete internazionale World Vision. Il team di World Vision ha sviluppato un contratto utilizzando la tecnologia blockchain e basato sul protocollo di scambio Ethereum, consentendo agli utenti di scambiare i propri token (o attività digitali, in pratica un’insieme di informazioni in grado di conferire un diritto di proprietà, e quindi scambiabili) sulla rete principale di Ethereum via SMS, dove il portafoglio dell'utente è associato al loro numero di telefono.In Brasile, Moeda, un'azienda di fintech, è riuscita a raccogliere 20 milioni di dollari per costruire un mercato per i pagamenti peer-to-peer, e permettere microfinanziamenti digitali e iniziative di crowdfunding. Una parte dei fondi ha poi sostenuto la nascita di un fondo per investimenti a impatto sociale, tra cui un prestito a una fattoria cooperativa nel Brasile rurale, uno dei primi denominati in una criptovaluta.
In poco tempo le iniziative a livello mondiale si sono moltiplicate. La piattaformacross-border Everex, maggiormente focalizzata al mercato delle rimesse, fornisce mezzi per immagazzinare e inviare fondi sulla rete Ethereum. Oppure in Cambogia, dove gli alti tassi d’interesse dell’industria microfinanziaria tradizionale affliggono ancora gran parte della popolazione, un gruppo di appassionati di tecnologia, di nome The Dapact, ha sviluppato un sistema di prestiti decentralizzato e supportato dalla tecnologia blockchain per tagliare radicalmente i costi.I fondi iniziali vengono raccolti tramite piattaforme dicrowdlending. I sottoscrittori dei prestiti o debitori vengono pagati in criptovaluta e tutte le transazioni sono supportate dalla blockchain di Ethereum.
Se da un lato è vero che la digitalizzazione di tanti processi ha permesso di raggiungere persone e comunità un tempo isolate, dall’altro è altrettanto vero che la riduzione dei costi conseguente ha aperto la concorrenza microfinanziaria a tanti soggetti bancari, guidati prevalentemente da una logica for-profit sui piccoli crediti. In quest’ottica la blockchain può effettivamente reimpostare il microcredito come un'opportunità per aiutare le persone a uscire dalla povertà in un’ottica di mercato, “ma non come un'opportunità per fare soldi con i poveri”, come sostiene Mr. Yunus, fondatore del microcredito moderno. Questa è la ragione per la quale è stata creata Uulala: un modo per riportare il microcredito alle sue radici, ma col vantaggio della tecnologia blockchain.
La blockchain aumenta la trasparenza e riduce significativamente i tassi di interesse. Lo fa grazie alla sua natura decentralizzata, senza la necessità di mediatori o autorità centrali. La maggior parte della magia della blockchain è, infatti, resa possibile dai contratti intelligenti: protocolli di transazione computerizzati che eseguono i termini di un contratto. Inoltre gli algoritmi proprietari contenute nelle appdi queste nuove aziende o piattaforme riescono a tracciare tutte le transazioni dei loro utenti, in questo modo prevedendo le effettive e reali capacità finanziarie e l'affidabilità creditizia dei propri clienti. Per questo motivo c'è meno bisogno di intermediari, riducendo il costo complessivo delle transazioni finanziarie, il che si traduce in tassi di interesse più bassi (o servizi migliori). In questo modo diventa possibile concedere microcrediti a basso interesse e alti tassi di rimborso.
Tuttavia è lecito pensare che la blockchain non si diffonderà così facilmente. Di per sé, la tecnologia è estremamente complessa, con elevate barriere economiche all'ingresso. Inoltre, la promessa di un mondo totalmente sicuro ha iniziato a traballare: i primi prototipi sono stati sottoposti a attacchi informatici e frodi per un totale di oltre 1,2 miliardi di dollari, in criptovalute, rubati finora. La sfida diventa ancora più complicata quando entrano in gioco i principi di protezione dei dati (come il Regolamento UE sulla protezione dei dati 2016/679), in quanto alcune caratteristiche essenziali della blockchain, quali l'immutabilità e la mancanza di responsabilità nei suoi registri, sono difficilmente compatibili con il regolatore Europeo.
In conclusione, pur non rappresentando la tanto attesa rivoluzione per la microfinanza, la blockchain dimostra innovazioni affascinanti e molta creatività, che avrebbero, sulla carta, il potere di capovolgere il dogma della finanza tradizionale: non sarà più il sign. Pincopallino del reparto crediti a decidere se darmi un prestito, ma un meccanismo diretto, neutrale e indipendente, basato sul mio comportamento, non più sulla mia classe sociale
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.