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L'università in montagna
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Malghe, rifugi, bivacchi: luoghi di montagna che appartengono al paesaggio e fortemente segnati dalla storia dell'essere umano e dalle sue necessità. L'evoluzione avvenuta in epoca moderna ha sicuramente portato a dei cambiamenti, che si riflettono nelle persone e nei luoghi che queste abitano. Le esigenze sono diverse, così come diversi sono i pensieri e le abitudini dell'essere umano moderno. Questi luoghi che, nella nostra percezione “ci sono sempre stati”, come vengono vissuti oggi? Cosa vuol dire comfort oggi, e cosa voleva dire 50 o 100 anni fa? Chi vive la montagna? Ne abbiamo parlato con il professore ed architetto Claudio Lamanna, concentrandoci su un'iniziativa che vede coinvolti giovani studenti del corso di laurea specialistica quinquennale in ingegneria edile – architettura dell'Università di Trento, in un progetto nato da una collaborazione dell'Ateneo trentino con l'Accademia della Montagna del Trentino, e la partecipazione della SAT, del CAI, e di proprietari di rifugi privati, professori, guide alpine.
Parliamo delle strutture di montagna.
Bisogna partire dall'area di media-alta montagna dove il sistema dei rifugi ha un ruolo molto importante, soprattutto in Trentino. Stiamo parlando di strutture che hanno diverse accentuazioni: dal bivacco, che è una forma di presidio di un territorio e di salvaguardia di chi frequenta l'alta montagna; a situazioni di media-bassa montagna dove ci sono rifugi di carattere escursionistico accessibili al turismo generalizzato. C'è un patrimonio che è molto importante, stiamo parlando di centinaia di strutture che presentano una certa socialità. Le potenzialità sono tantissime, perché abbiamo un patrimonio insediativo con una capacità di ospitare un numero di accoglienza anche molto cospicuo. E poi degli elementi critici; tra cui il primo: si tratta di strutture vetuste.
Mediamente quando sono stati costruiti i rifugi?
Hanno per lo meno un secolo, appartengono alla storia dell'alpinismo italiano; diciamo che le maggiori strutture nascono con l'avvicinarsi alla montagna nel primo dopoguerra: erano strutture militari che poi sono state recuperate. Alcune sono state ereditate dall'impero austroungarico con delle contese non solo di antagonismo militare, ma anche sportivo, di presenza sul territorio e quindi supporto a una certa socialità di montagna. Sono fatte per lo più recuperando case matte, oppure aggregando piccoli edifici esistenti.
Da quali riflessioni o nuove esigenze nasce l'iniziativa?
I rifugi presentano grosse potenzialità ma anche elementi critici: sono strutture create un po' alla volta, grazie ai sacrifici di chi va in montagna, ai gestori che sono guide alpine e che hanno cercato di implementarli e creare quel minimo di comfort. Tanti presentano problemi di ristrutturazione non da poco. L'altro problema grosso è la non conoscenza dei giovani di questa questione. I giovani non conoscono la montagna e per questo non la frequentano. Questo significa lavorare sulla sensibilizzazione, sulla conoscenza di questo patrimonio. Si dice: la montagna è paesaggio. Se non la frequenti no; è paesaggio quando ormai si è capito che fa parte del tuo patrimonio culturale, dell'ambiente antropico.
E quindi siete partiti.
Cinque anni fa abbiamo messo in piedi un gruppo di ricerca e di didattica, dopo aver accolto la proposta dell'Accademia della Montagna che aveva individuato il problema. Gli architetti tendono a comporre la situazione, non siamo una disciplina specialistica; teniamo insieme le questioni per impostare un tema di lavoro prima di risolvere il problema. Quindi abbiamo accolto questa proposta di capire quali potevano essere le vie di uscita e come mai il popolo che frequenta la montagna, e soprattutto la montagna alta, si sta estinguendo. Alla malga ci si va, è dalla malga al bivacco che c'è una differenza notevole.
Quindi portate gli studenti a dormire in rifugio.
Portiamo i ragazzi del quarto anno, si tratta dell'ultimo progetto prima della tesi. È un corso dedicato a questo tema; ogni anno ne scegliamo uno applicativo da portare avanti. Era un esercizio ed è risultato così interessante da essere ripetuto per cinque anni, diventando poi un gruppo di ricerca dal nome Rifugio Plus .
Qual è il riscontro da parte degli studenti?
Sono entusiasti. L'escursione è nella prima settimana: li portiamo subito in rifugio. Poi dopo questa primissima fase c'è da capire come possono creare un progetto attraverso le lezioni. Ogni anno individuiamo uno o due esempi specifici di strutture problematiche su cui si discute.
Chi vi segnala i rifugi?
Ci confrontiamo prima di tutto con l'Accademia della Montagna e la SAT. Poi individuiamo il problema di cui spesso nemmeno il gestore del rifugio è cosciente o è in grado di formulare: dobbiamo quindi individuarlo. Successivamente, ci dedichiamo ai temi specifici, e solo poi interveniamo: ciascun gruppo composto da 2-3 studenti individua delle proposte che riguardano la ristrutturazione o i modi della possibile trasformazione della struttura per renderla più efficace e più accogliente.
Riassumendo il percorso prevede: visita e pernottamento, lezioni, gruppi che presentano progetti. Poi?
Alla fine abbiamo circa 30-40 progetti che si confrontano e che con questi superano o meno l'esame del corso. Con i risultati organizziamo sempre una mostra: all'inizio erano esposizioni interne con discussioni e dibattiti, da 3 anni a questa parte siamo sempre invitati del Trento Film Festival, che è un luogo storico di confronto di culture della montagna ma anche di altri settori dell'arte tra cui l'architettura. La mostra dello scorso hanno ha girato 9 sedi in tutta Italia; siamo stati anche alla Biennale di Venezia.
I progetti poi vengono implementati?
Finora abbiamo parlato di didattica: studenti che discutono, ed apportano alle discussioni generali. I ragazzi conducono il lavoro con i presunti committenti che simulano una situazione lavorativa reale. Questi progetti sono stati la base per impostare un problema specifico rispetto a dei bisogni che non è facile formalizzare, cogliendo anche un tema identitario. Si riesce così a dare delle indicazioni alla SAT; poi gli studenti si fermano e rimaniamo noi con il gruppo di ricerca Rifugio Plus.
Progetti futuri?
Proseguiremo con la parte della didattica; quest'anno siamo scesi molto di quota e parleremo di malghe. Quindi primo punto di arrivo: lo spopolamento di una certa montagna, l'alpeggio che non c'è più, malghe che non hanno più i malgari. Che fare? Questo è il tema di quest'anno. C'è poi un dottorato di ricerca con l'architetto Riccardo Giacomelli che si sta formando per la carriera accademica. Ha realizzato un'importante ricerca su tutti i rifugi del Trentino con un lavoro straordinario di schedatura che per ciascun rifugio individua le caratteristiche e le potenzialità di sviluppo.