L’architettura in Cina: consumismo e desiderio di bellezza

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Non è semplice definire un linguaggio architettonico contemporaneo in un paese come la Cina, dove stanno prendendo forma spazi atti a rappresentare la dinamicità della complessa società e dove il recente intreccio storico, socialista e capitalista, fa da eco a future identità. Francesco Tarentini, noto architetto italiano a Shanghai, ha risposto ad alcune domande, offrendoci degli spunti di riflessione su come “viene percepito il bello” e come la richiesta galoppante della “middle class cinese” sia il motore della nuova estetica, legata al prezzo e ancora carente di una propria identità.

“Premetto che quanto racconterò si riferisce alla mia esperienza diretta, e con questo intendo che essendo la Cina un luogo e un momento in rapida evoluzione, le realtà che si possono incontrare possono essere molto diverse e talvolta diametralmente opposte.”

Se in Europa c’è una coscienza estetica condivisa, in Cina la situazione è differente. Nel primo caso il bello viene ritenuto tale da molti e “l’architettura è una pedina importante, dove città e paesaggi si sono formati in tempi lunghi e la coscienza di ogni atto architettonico ha e avrà un’influenza di lungo periodo”. In Cina invece questo oggi manca e l’assenza di un’identità propria è palpabile.

La debole identità storica dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese che ha cancellato – per un certo verso – molte identità estetiche, e assieme all’incredibile velocità dei mutamenti negli ultimi dieci anni, ha fortemente influenzato la coscienza estetica cinese.

“Più banalmente la percezione del bello cambia molto velocemente e non ha né una cultura né un’identità storica largamente condivisa da cui partire. Essendo il consumismo il principale motore del cambiamento è di conseguenza anche un importante fattore determinante per definire la percezione ‘del bello’.”

Il cliente che l’architetto abitualmente incontra, più che richiedere la creazione di un design pensato espressamente per lui, vuole che il progetto assomigli ad una rappresentazione forte, famosa nel mondo, per essere rassicurato dalla notorietà del riferimento che di volta in volta propone.

Continua Tarentini: “Non ritengo esista al momento uno ‘stile moderno cinese’ che possa definirsi tale e che abbia una sua indipendenza. Molti dei progetti che vedo, che possono essere percepiti come ‘cinesi’, in realtà hanno una componente di esotismo che essenzialmente è il risultato di come l’occidentale percepisce l’Oriente, piuttosto che come quest’ultimo si percepisce ed esprime.”

I palazzi, i grattacieli e gli spazi urbani non sono ancora disegnati a più mani. È ormai vanesio il ricordo del modus operandi di Giuseppe Castiglione, pittore, gesuita che si improvvisò anche architetto e che visse in Cina nel XVIII Secolo. Lui ascoltava ciò che la Cina aveva da dire, ricercando ogni volta di intrecciare le loro con le sue identità e progettualità artistiche. L’incontro di stili e linguaggi architettonici avviene sulla comunicazione, sul rapporto e sul modo di lavorare. L’architetto italiano o occidentale dunque deve essere un buon mediatore – come in molti altri casi e come lo era anche il gesuita –, ma con la differenza che la condivisione del gusto estetico finale fra artista e cliente oggi viene spesso a mancare.

“È la coscienza estetica che determina il linguaggio architettonico, così come qualsiasi altro linguaggio artistico.” In Cina, come sopra accennato, la benzina che lo alimenta è il consumismo, che ha “di fatto appiattito i linguaggi riducendoli e privandoli di specificità locali, in modo da poterli veicolare internazionalmente, imporli, renderli appetibili e venderli.

La lacuna di coscienza estetica, assieme alla sete di internazionalizzazione e modernità, il tutto condito da un pizzico di rivalsa storica, ha portato ad una sostanziale assenza d’identità da snocciolare ed interpretare nella rincorsa verticale dei piani di palazzi in fila delle città cinesi.

La difficoltà pare essere il vuoto di personalità cinese nella dialettica dell’atto architettonico moderno. “C’è una profonda necessità di stupire” per trasmettere il momento storico che la Cina sta vivendo, sia ai suoi abitanti che al mondo intero. Questo succede in una nazione dove le lacune degli strumenti culturali per comprendere ed apprezzare particolari linguaggi estetici sono ancora molte e l’arma di seduzione in un tempo che corre inafferrabile pare essere solo “il grande e il potente”.

Va da sé che il “bello è legato alla moneta” in un oceano dove l’arte d’ogni onda è ancora troppo nascosta agli occhi dei bagnanti della middle class, oggi protagonista di immaginari spesso stereotipati, sia fuori che dentro i confini cinesi. Indubbiamente lo status sociale, soprattutto in Cina, ha un’influenza enorme nel disegno delle nuove sacche urbane e parlando di bellezza architettonica il “bello” e il “brutto” in questo caso sono entrambi strettamente connessi al prezzo.

“C’è una grande necessità di acquisire un’identità e penso che la Cina stia vivendo la propria adolescenza consumistica, vorace e frenetica. Sono sicuro che anche questa adolescenza diventerà presto una maturità e la così detta classe media si evolverà velocemente verso altri valori che la rappresentino, come la cultura, il piacere per l’arte e l’attenzione ad una vita qualitativamente più alta”.

Nuovi concetti di disegno non sono ancora applicati alle città e il boom edilizio è il principale direttore nell’orchestra del paese di città “logiche” e “policentriche”, dove sovente i palazzi si inseguono identici, in uno spazio dove “l’importante non è il progetto, ma il costruire”.

Bioarchitettura e bioedilizia esistono, ma sono creature neonate, impacciate in questa maratona di costruzioni. L’architetto afferma che prima è necessario regolare l’impatto ambientale drammatico dei processi di produzione industriale ed aspettare che i germogli delle prime identità estetiche cinesi incontrino nuove primavere, in un cambio di stagioni vivace dove adesso è impossibile comprendere se la rapidità sia davvero un valore o uno svantaggio nella definizione dell’anima cinese.

C’è da chiedersi fin dove il limite fra boom edilizio e sostenibilità riuscirà a contenere o dirigere questo sviluppo, ancora privo di un’autentica identità ma rigoglioso nella sua corsa verso il cielo.

Francesca Bottari

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