www.unimondo.org/Notizie/L-anno-nuovo-nel-segno-dello-tsunami-59710
L'anno nuovo nel segno dello tsunami
Notizie
Stampa
Che la nostra madre Natura sia in collera? Se è così, ha le sue buone ragioni. Le proporzioni inconcepibili della tragedia umana in Asia ci offrono l'occasione più seria, da decenni a questa parte, per riflettere profondamente e pietosamente sul nostro modo di agire, su quello che facciamo e sulle priorità che stabiliamo sulla nostra Terra comune. Se, invece della sicurezza militare, il nostro paradigma principale fosse stato la sicurezza umana, è probabile che non avremmo assistito a nulla di simile a questo grado di morte e di distruzione. Se i governi avessero potuto disporre di un'analisi ragionevolmente obiettiva di ciò che minaccia non solo i loro propri paesi, ma il genere umano e la Terra intera, e si fossero preparati in vista di questo pericolo, l'opera di soccorso sarebbe stata predisposta assai meglio. Se la politica e l'economia si occupassero degli esseri umani e del loro benessere, e non del potere e del profitto, un maggior numero di persone sarebbero ancora vive oggi.
E se il mondo operasse meno sulla base del pensiero dominato dai maschi, è probabile che ci sarebbe stata una comprensione più chiara della insostenibilità della cosiddetta "razionalità del sistema" e che si sarebbe posto, invece, maggiormente l'accento sulla razionalità umana in quanto tale.
Madre Natura ha tutte le ragioni di essere in collera, perché stiamo facendo le cose sbagliate sia nei suoi confronti che nei nostri rapporti reciproci (o, per dirla altrimenti, facciamo del male a lei e ci facciamo del male fra noi). Che lo tsunami sia un segno di ciò che sta per arrivare, un avvertimento precoce a tutti noi che dobbiamo cambiare strada e maniere, e smettere, una buona volta, di essere così miopi e così ottusi? Un segno, dato giusto alla fine del vecchio anno, che, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo cambiare le nostre priorità e le nostre politiche, e renderle compatibili con la Terra, con la stabilità, con la permanenza, e non con la volatilità dell'effimero?
La sicurezza umana come alternativa alla sicurezza militare
Le potenze grandi e opulente sono pronte a combattere qualsiasi guerra, comprese quelle nucleari, con pochi minuti di preavviso. Ma non c'è stato nessun preavviso per la povera gente dell'Asia, nessun pensiero per la loro sicurezza umana. Sentiamo parlare di interventi umanitari e del "bisogno" di soldati che ci aiutino o aiutino altri ad uscire da catastrofi umanitarie. Ma la maggior parte dei governi non sembrano avere la minima idea del modo in cui fronteggiare qualcosa di simile a questo tsunami né, tanto meno, di venire a capo delle sue conseguenze.
Mentre il mondo, e gli Stati Uniti in particolare, spendono somme fantastiche per "combattere il terrorismo" - che non è mai stato un grande problema in termini di perdite umane -, e non fanno che produrre, così facendo, una quantità maggiore di terrorismo, non rivolgono alcuna seria attenzione al problema della povertà e a quello della sicurezza ambientale. Spendono risorse scarse (e cioè preziose) per gli armamenti e riducono i bilanci del "welfare" nazionale solo per favorire o per compiacere i "complessi militar-industriali" e senza curarsi minimamente dei bisogni umani che si manifestano altrove (e cioè in altri campi della vita sociale o in altri paesi).
Non c'è nulla di simile alla sicurezza umana di cui abbiamo parlato in nessun luogo sulla terra. E perché? A causa del nostro paradigma di sicurezza militare che reca l'impronta del dominio maschile. A causa delle nostre priorità totalmente sbagliate. A causa dei nostri cicli elettorali disperatamente quadriennali che rendono impossibile ogni tentativo di pensare in grande e a lungo termine intorno al futuro della Terra. Perché non ci sono diritti umani di cui si tenga il minimo conto per i poveri né per coloro che non sono ancora nati.
Compassione e disposizione ad aiutare
Per fortuna, la compassione umana ha mostrato ancora una volta di essere illimitata. In tutto il mondo persone di buon cuore aiutano le organizzazioni umanitarie a raccogliere denaro e a regalare articoli di ogni genere per le vittime, e manifestano la loro volontà che i rispettivi paesi accolgano di buon grado presso di sé questo tipo di vittime. E si servono di Internet e della posta elettronica per suscitare e promuovere questa consapevolezza. Le persone si aiutano reciprocamente in tutti i modi possibili nelle regioni devastate dallo tsunami.
Tutto ciò è profondamente commovente. Non c'è dubbio che la compassione umana, la capacità di immedesimazione e l'amore siano tra le forze più potenti che operano sulla Terra - sempre che si permetta loro di fluire liberamente. E questa condizione, di regola, non è, purtroppo, presente.
Uno tsunami al giorno - e pochi se ne preoccupano!
Ma aspettate un momento! La compassione fluisce liberamente solo quando è diretta ad una sofferenza che non è prodotta da cause politiche. Se essa ha a che fare con l'economia o con la politica, ciò non si verifica più. Circa il 50 per cento delle persone che vivono sulla Terra - circa tre miliardi - vivono ancora con meno di due dollari al giorno (mentre 300.000 americani muoiono ogni anno perché mangiano troppo o perché mangiano cibo di cattiva qualità). A livello mondiale, fra 60.000 e 100.000 persone muoiono ogni giorno a causa della povertà, di malattie potenzialmente curabili, di AIDS, di mancanza di cibo o di acqua pulita, di riparo o di abiti, di medicine o di educazione).
Nel momento in cui scriviamo, questa cifra è quasi pari a quella dei morti vittime dello tsunami (120.000!).
Le persone innocenti che muoiono in occasione di catastrofi naturali toccano i nostri cuori. Quelle che muoiono, ugualmente innocenti, a causa del capitalismo globale, dei giochi di potere, delle guerre e dell'iperconsumo (o dello spreco) militare, non toccano i nostri cuori. Perché? Probabilmente perché sappiamo, nel profondo del nostro essere, che muoiono per colpa nostra, - a causa dei privilegiati, dei ricchi, della loro avidità, della loro autoprotezione mentale e dei loro svaghi. Essi muoiono perché debbono morire - altrimenti tutti gli altri, tutto il resto di noi, non potrebbero nuotare nel denaro, nel materialismo e nel militarismo.
Per consolarci, abbiamo inventato il concetto di sviluppo sostenibile. Ma naturalmente sappiamo bene che tutta la faccenda è totalmente insostenibile anche a breve scadenza. E temiamo fortemente che le cose non cambieranno in virtù di un'azione volontaria, ma solo in seguito a un crescente collasso globale di tutto il sistema. Ogni idea di ridurre il consumo dei ricchi è respinta con l'obiezione che allora (e cioè in questo caso) il sistema crollerebbe! Abbiamo bisogno di consumare sempre di più e di una disuguaglianza sempre crescente - per poter sopravvivere! Ma la gente muore proprio a causa della sopravvivenza di questo sistema intrinsecamente inumano! Uno dei maggiori enigmi del nostro tempo è che la gente non si sia ancora ribellata su scala mondiale contro questa teoria autodistruttiva, irrazionale e immorale!
Anche le guerre non toccano i nostri cuori allo stesso modo
Non molto tempo fa, la rivista inglese più rispettabile, "The Lancet", ha pubblicato uno studio che dimostrava che circa 100.000 iracheni sono morti dall'invasione e dall'occupazione del paese. Prima di allora, le organizzazioni delle Nazioni Unite avevano calcolato che le sanzioni contro il popolo iracheno - la metà del quale è composta da fanciulli e fanciulle al di sotto dei 16 anni - sono costate le vite di una somma da 500.000 a un milione di cittadini di questo paese.
Tutto ciò non ha attirato neppure la metà dell'attenzione rivolta ora agli effetti dello tsunami. Non è sconcertante pensare che prestiamo un'attenzione molto minore ai disastri combinati dall'uomo e manifestiamo una compassione molto minore per i loro effetti - quando invece, in realtà, essi dovrebbero suscitare una quantità maggiore sia dell'una che dell'altra dal momento che sono quelli che potremmo prendere misure per evitare o per alterare essendo noi stessi che li causiamo?
Il sistema bellico, inoltre, distrae somme inimmaginabili dall'aiuto che dovremmo portare ai dannati della terra; i governi di tutto il mondo spendono attualmente una somma molto vicina a mille miliardi di dollari all'anno per la produzione di armamenti. La guerra in Iraq costa, ai soli Stati Uniti, un miliardo di dollari la settimana! Un sistema di allarme contro gli tsunami, come quello messo in opera dal Giappone, è detto costare, a quanto sembra, circa 20 milioni di dollari.
Virgil Hawkins, nella sua tesi di dottorato recensita in altro luogo di questo sito, ci dice quanto segue a proposito delle guerre recenti.
L'89 % dei morti in guerra negli anni '90 sono stati registrati in Africa, il 5 % in Europa, il 4 % in Asia, l'1 % nel Medio Oriente e l'1 % nelle Americhe. Più di 5 milioni di persone sono morte nelle guerre combattute in Africa, di cui un milione e trecentomila nella Repubblica Democratica del Congo e un milione e centomila nel Sudan soltanto. Dice Hawkins: "Conflitti costantemente presentati nei media come fatti di grande importanza, come quello che ha avuto luogo nel Kossovo (da 8 a 9.000 decessi, 2.000 dei quali hanno avuto luogo prima che avessero inizio i bombardamenti della NATO), fra Israele e la Palestina (2.710 decessi), a Timor Est (1.000 decessi), l'Irlanda settentrionale (meno di 400), sono stati di fatto, relativamente parlando, molto più esigui nei loro effetti". Chi si è preoccupato realmente delle vere, grandi perdite di vite umane che hanno avuto luogo in questo periodo? I media e gli uomini politici del mondo occidentale, quanto meno, non lo hanno fatto.
Denaro e follia
I notiziari riportano che i maggiori esperti di meteorologia della Tailandia erano in riunione il mattino dello tsunami. Essi non diffusero un allarme sull'arrivo imminente dello tsunami perché - se avessero sbagliato - temevano che il governo li avrebbe licenziati e avrebbe chiuso il loro istituto. Perché? Perché il turismo è la fonte di reddito più importante per la Tailandia.
Uno può scegliere di biasimarli, oppure può dire: "Così grande è il potere del denaro!". Questa era l'immagine implicita della dirigenza tailandese, che ha speso somme ingenti nella "lotta contro i mussulmani" nella parte meridionale del paese e per ucciderli in nome della guerra contro il terrorismo. Essa ignorava completamente la questione della sicurezza umana come pure di quella ambientale. Nello stesso modo si sono comportati i governi dell'Indonesia e dello Sri Lanka (e cioè di Ceylon), che hanno dilapidato anch'essi così a lungo le loro risorse in diverse guerre, grandemente aiutati, in questo, dai trafficanti di armamenti di tutto il mondo.
Quale vita migliore sarebbe stata quella che la povera gente di questi paesi - ora colpiti, per giunta, da questa catastrofe - avrebbe potuto condurre se i loro governi avessero operato sulla base di valori più umani e meno mascolino-militaristici!
Speranze, nonostante tutto!
Lo tsunami è una tragedia umana che supera i confini della nostra comprensione. Ma è anche un segnale d'allarme e un monito urgente per noi tutti. L'una accanto all'altra, e dandosi per così dire la mano, la sicurezza umana e la sicurezza ambientale devono prendere ora il posto della sicurezza militare. Abbiamo bisogno di un set completamente diverso di priorità e di un'etica globale della premura nei confronti degli esseri umani, per non dire, anzi, che è di questo che dovrebbe occuparsi, in primo luogo, la cosiddetta globalizzazione.
Il nuovo anno sarà difficilmente un anno felice per il mondo. Se non usiamo costruttivamente la tragedia dello tsunami per comprendere e rispettare l'interrelazione reciproca di tutte le cose - e per capire quanto sia tarda l'ora che si è fatta sulla Terra, i prossimi anni potrebbero benissimo dar luogo a un'oscurità sempre crescente. Ma non dobbiamo, d'altra parte, abdicare alla speranza che ci sia una quantità sufficiente di saggezza e di coraggio accumulati tutt'intorno ad uso e consumo dell'umanità perché sia ancora possibile, per quest'ultima, addivenire alla pace con la propria madre, la Natura, e, al proprio interno, fra le varie parti e componenti di essa.
di Jan Oberg & Gudrun Schyman del Comitato Direttivo della TFF
Christina Sp㤀nnar, cofondatrice della TFF
Fonte: Transnational Foundation