L'Unione europea e la prevenzione dei conflitti violenti

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Il primo luglio è iniziato il semestre italiano di presidenza
dell'Unione europea. Si trattera' di sei mesi assai importanti: all'interno dell'Unione ci si prepara ad accogliere i nuovi membri e a redigere la nuova Costituzione che ne regolera' il funzionamento in futuro. Inoltre continua a farsi sentire la lacerazione tra i paesi contrari alla guerra in Irak e quelli che invece si sono schierati con gli Stati Uniti.

Come gia' da qualche anno a questa parte, le organizzazioni non governative International Alert e Saferworld hanno pubblicato un rapporto in cui vengono indicate le priorita' da affrontare nel corso dei semestri di presidenza greco e italiano per migliorare la capacita' dell'Unione europea nella prevenzione dei conflitti violenti (in inglese sul sito
www.international-alert.org). Entrambe le organizzazioni sono attive da diversi anni nel campo della trasformazione nonviolenta dei conflitti, e si occupano in particolare di analisi, individuazione delle cause strutturali, progetti di dialogo e peacebuilding.
In Italia, il Centro studi difesa civile ha deciso di promuovere la
traduzione del "presidency paper", in modo da favorire anche nel nostro paese un dibattito sulle possibilita' di sviluppo delle capacita' di prevenzione da parte dell'Unione europea che coinvolga sia i cittadini e la societa' civile che i decisori politici e i funzionari pubblici incaricati di mettere in atto l'agenda politica del nostro paese nel corso della presidenza. La traduzione sara' anche disponibile in internet sul sito
www.mediazioni.org

Nel recente passato, l'Unione Europea ha compiuto numerosi passi avanti nel campo della prevenzione, sia a livello di dichiarazioni di principio, sia nel campo dell'istituzione di concreti strumenti di politica. L'Unione ha riconosciuto il nesso tra poverta', sottosviluppo e conflitti, ed il ruolo centrale della cooperazione allo sviluppo nella prevenzione dei conflitti
violenti. Si tratta ora di fare in modo che la prevenzione e il
peacebuilding diventino un elemento portante della politica estera comune:
in altri termini, e' importante che tali obiettivi diventino parte
integrante dell'azione dell'Unione Europea in tutti i settori di sua competenza, dal commercio, all'azione dell'economia privata. Inoltre, le pratiche di prevenzione dei conflitti violenti devono sempre tenere conto dei cittadini e della societa' civile dei paesi a cui sono dirette. Nello studio si propone di investire nella formazione del personale comunitario che si occupa del tema della prevenzione e dei temi ad esso correlati; di sviluppare piu' efficaci strumenti di valutazione di impatto sulla pace e sui conflitti; di aiutare i paesi partner a cooperare piu㭀 efficacemente con l'Unione nella progettazione di politiche di prevenzione; di creare forme di monitoraggio dell'esportazione illegale di beni destinati a finanziare conflitti armati (come si e' iniziato a fare con i diamanti nel cosiddetto "Kimberley process").
Inoltre, occorre che l'elaborazione di risposte comuni alle crisi
internazionali sia strettamente collegata a strategie di prevenzione della violenza e costruzione della pace nel medio e lungo termine. Prevenzione e peacebuilding vanno anche considerate la risposta piu' efficace nel lungo termine al problema del terrorismo internazionale.
Attenzione particolare e' dedicata ai rapporti tra l'Unione europea e i paesi del continente africano. Lo studio di Saferworld e International Alert propone di monitorare l'impatto degli accordi commerciali tra Ue ed Africa sul livello di poverta' e sui conflitti presenti in questi paesi, e di destinare risorse adeguate allo sviluppo della societa' civile di questi
paesi nello sviluppo di strategie congiunte di gestione dei conflitti violenti.
La prefazione, curata dal Centro studi difesa civile, si occupa di cio' che l'Italia puo' fare per colmare il divario con gli altri paesi europei in tema di prevenzione e di peacebuilding: oltre a una nuova attenzione per le politiche di prevenzione, il testo chiede un salto di qualita' nell'impegno per la soluzione di crisi e conflitti di lunga durata, seguendo l'esempio di paesi come la Norvegia e la Svizzera. Nell'ottica della prevenzione possono
essere inserite la creazione in Italia di un Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e la pace e l'istituzione di un Corpo civile di pace.
Oltre che per i contenuti, credo che la pubblicazione in italiano del "Presidency paper" sia importante per il processo che speriamo di innescare: ovvero di muovere il dibattito sul tema della pace dalle dichiarazioni di principio al concreto "che fare", qui e ora, delle agenzie governative e della societa' civile. Al di la' delle contingenze della politica italiana, un contributo a una cultura del dibattito e della proposta costruttiva.

di Gianni Scotto

[Ringraziamo Giovanni Scotto (per contatti: e-mail:
[email protected], sito: http://userpage.fu-berlin.de/~gscotto/) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso su "Azione nonviolenta" del giugno 2003. Giovanni Scotto e' uno dei piu' importanti studiosi italiani nell'ambito della peace research, studioso e amico della
nonviolenza; ricercatore presso il "Berghof Research Center for Constructive Conflict Management" di Berlino; collabora con l'"Institute for Peace Work and Nonviolent Settlement of Conflicts" di Wahlenau e con il "Centro studi difesa civile" di Roma. Tra le opere di Giovanni Scotto: con Emanuele
Arielli, I conflitti, Bruno Mondadori, Milano 1998; sempre con Emanuele Arielli, La guerra del Kosovo, Editori Riuniti, Roma 1999]

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