L’Ucraina e noi

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Foto: Unsplash.com

La Russia, cioè le forze armate della Repubblica Federale Russa, su ordine di Putin hanno aggredito l’Ucraina, ne hanno invaso buona parte del territorio, hanno bombardato infrastrutture, fabbriche e abitazioni, hanno ucciso diverse migliaia di ucraini, sia militari che civili, hanno costretto a fuggire dal paese più di due milioni di profughi e continuano nella loro avanzata. 

L’Ucraina resiste e contrasta questa avanzata. Resistono le forze armate del paese e molti civili, prima riuniti in gruppi spontanei e per niente, o molto male armati – con la partecipazione di molte donne, persino nella preparazione di bottiglie molotov da opporre ai blindati russi – poi inquadrati, con la coscrizione obbligatoria per tutti gli uomini tra i 18 e 60 anni, nelle file delle forze armate. All’interno di esse sono state da tempo inserite, con un ruolo di primo piano nella guerra contro le contrapposte milizie del Donbass, che durava da otto anni, numerosi elementi di organizzazioni legate alla Nato e di chiaro orientamento nazista, come la cosiddetta Brigata Azov, responsabile anche delle sparatorie durante la rivolta di piazza Maidan (ma i nazisti sono da tempo largamente presenti anche nelle milizie avversarie del Donbass).

Non c’è alcun dubbio che l’aggressore sia l’esercito russo e che la resistenza armata dei combattenti ucraini sia una più che giustificata risposta a questa aggressione. Ma se le cose stanno così, perché non mandare armi al governo e ai combattenti ucraini che le chiedono? Perché mandare armi per rafforzare la resistenza è alternativo a qualsiasi tentativo di far cessare questa guerra con un negoziato. O si fa una cosa o si fa l’altra. E falso che una resistenza più forte, perché meglio armata, o più prolungata perché in grado di ritardare maggiormente l’avanzata russa, migliorerebbe la posizione dell’Ucraina in un negoziato. È vero il contrario. Molti non si chiedono quale potrebbe essere l’esito del conflitto, ma è lì che bisogna guardare: come e quando potrà cessare questa guerra?

Con la resa del governo ucraino e l’instaurazione forzata di un governo fantoccio filorusso? Sembra altamente improbabile. Con un’occupazione del paese da parte dell’esercito russo destinata a protrarsi nel tempo in presenza di una resistenza armata che continuerà a dargli del filo da torcere? È improbabile che Putin possa accettare una prospettiva del genere senza adottare gli stessi metodi con cui ha a suo tempo raso al suolo Grozny e sterminato buona parte della popolazione cecena.

È però difficile che ciò possa avvenire nel cuore dell’Europa senza coinvolgere in modo molto più intenso i suoi avversari, cioè la Nato: aprendo così le porte a una guerra mondiale. Oppure si punta a un logoramento di Putin, nella speranza che nei piani alti del potere russo si faccia strada un’alternativa disponibile a trattare: non con l’Ucraina, o non solo con l’Ucraina, ma con chi dell’Ucraina ha fatto da tempo la posta in gioco di un confronto molto più ampio? O, ancora, che la guerra logori talmente non solo il potere di Putin, ma la coesione stessa della Federazione Russa, trasformando il suo immenso territorio in centinaia di Libie, di Iraq, di Sirie, con un patrimonio sterminato di risorse ancora da saccheggiare?

A giudicare dal comportamento delle parti in causa, che sono molte, sembra che la soluzione a cui si affida l’esito dell’invio di armi all’Ucraina sia una di queste due ultime.

Ma non è l’invio di armi a rendere impraticabile un negoziato; è esattamente il contrario. È la mancanza di qualsiasi serio tentativo di mediazione che spinge coloro che (per motivi politici o personali) non possono dichiararsi indifferenti a ripiegare sull’invio di armi senza interrogarsi sulle sue conseguenze.

Manca la mediazione, la proposta di una soluzione che accontenti, senza peraltro soddisfare, entrambe le parti – evitando “umiliazioni” che indurrebbero a perseverare nel massacro in corso – perché manca il mediatore. È mancato fin da prima dell’aggressione, quando pure i tamburi di guerra stavano già suonando (li suonavano a toni alti sia la Nato che il presidente degli Stati Uniti Biden, mentre Putin lavorava in sordina). E questo mediatore non poteva – e non può ancora – che essere l’Unione Europea, che però non può assumere quel ruolo perché tutta la sua politica estera – e la posta centrale di ogni politica estera che è pace o guerra – è inesistente, completamente sdraiata sulle decisioni, i dictat e gli interessi degli Stati Uniti, che da questa terribile vicenda hanno molto meno da perdere (e molto di più da guadagnare) di tutti i governi dell’Unione europea messi insieme...

L'articolo di Guido Vitale segue su Comune-info.net

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