L'UE taglia di un terzo i fondi per la riabilitazione alla tortura

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Fuggono da guerre, dittature, carestie e catastrofi (a volte naturali e a volte provocate). Lasciano i loro Paesi poveri o impoveriti dalle politiche neo-coloniali decise altrove. Abbandonano luoghi dove avanza il deserto perché dietro lo spreco di retorica (profuso ogni giorno da istituzioni che si definiscono globali) non esistono geo-politiche che contrastino il degrado ecologico. Scappano con i loro figli perché là dove sono nati si muore di malattie curabili ma per le quali non ci sono i farmaci o costano troppo per chi è povero. Le definizioni puntigliose li vogliono ora profughi, ora richiedenti asilo, ora rifugiati. Si precisa persino che scappare da dittature e guerre è legittimo mentre lo stesso non vale per le catastrofi "ecologiche". Il 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, la redazione di Migra ha deciso di pubblicare, accanto ad altri documenti, denunce e testimonianze anche la traduzione di questo articolo di Stephen Castle (da The Independent) sulla decisione dell'Unione europea di tagliare un terzo dei fondi destinati alla riabilitazione delle vittime di tortura. Questo "taglio" mostra in maniera esemplare la schizofrenia dell'Occidente che da un lato dichiara (giustamente) come la difesa dei diritti umani sia una scelta non negoziabile e dall'altra continua a ignorare che le vittime di queste violazioni (spesso per la coraggiosa difesa contro le violazioni di quei diritti) sono qui, fra noi, a chiedere aiuto. Lo ricorda Jean Zigler nel suo La privatizzazione del mondo (appena tradotto da Marco Tropea editore): non siamo senza colpa per quelle dittature, quelle torture, quei profughi disperati... Anche perché le banche (svizzere e non solo) traboccano di soldi che dittatori e torturatori hanno sottratto ai loro popoli.

I finanziamenti dell'Ue per la cura delle vittime di tortura sono stati tagliati di un terzo. Le associazioni per i diritti umani hanno dichiarato ieri che la decisione minaccia i centri specializzati di riabilitazione in varie parti del mondo. Circa 30 centri situati in Europa centrale e orientale, Africa, Asia e America latina potrebbero essere costretti a tagliare alcune loro attività fondamentali, che vanno dall'assistenza medica a quella psicologica. La riduzione degli aiuti finanziari solleva preoccupazione poiché conferisce bassa priorità alla protezione delle vittime di tortura, proprio mentre i governi occidentali dedicano sempre più energia alla sicurezza e alle attività anti-terroristiche sull'onda degli attentati dell'11 settembre 2001.
Alcune associazioni per i diritti umani ritengono anche di essere in difficoltà a causa delle nuove inflessibili politiche contro i richiedenti asilo e di una generale riluttanza a finanziare gruppi che si occupano di asilo e rifugiati.
La Commissione europea ha dichiarato che nel 2001 sono stati spesi circa 12 milioni di euro per la riabilitazione delle vittime di tortura. Ma un portavoce ha affermato che per il 2002 e il 2003 la spesa media annuale si aggirava intorno agli 8 milioni. La riduzione risale al maggio 2001, quando è stata assunta la decisione di spostare le risorse economiche dal trattamento degli effetti della tortura al tentativo di evitare che essa abbia luogo.
I gruppi attualmente finanziati dall'Ue comprendono alcune organizzazioni non governative che seguono le tracce del commercio di strumenti di tortura. Ricevono fondi anche un progetto di formazione di giuristi in Turchia (360.000 euro l'anno) e un progetto di formazione di agenti di polizia in Georgia (per 300.000 euro). Gli attivisti per i diritti umani riconoscono che l'Ue appoggia alcuni validi progetti, ma al tempo stesso chiedono che questi progetti non vengano sostenuti a spese delle vittime di tortura.
Sherman Carroll, responsabile delle relazioni pubbliche della "Fondazione medica britannica per la cura delle vittime di tortura", ha affermato: "La tortura esiste oggi come ieri. Credo che l'Ue abbia spostato le proprie priorità un po' troppo velocemente. Togliere fondi alla riabilitazione per aumentare quelli della prevenzione (invece di accrescerli entrambi) è una mossa miope da parte dell'Ue".
I centri e i programmi di riabilitazione per le vittime di tortura e altre violazioni dei diritti umani forniscono servizi sanitari, psicologici, sociali e legali. Tra coloro che fanno campagna contro la riduzione dei fondi vi è anche il premio Nobel per la pace Carlos Ximenes Belo, già nunzio apostolico della Santa sede a Timor Est.
Una dichiarazione congiunta di 34 organizzazioni che operano in tutto il mondo afferma: "Questi servizi sono nati con grande difficoltà e spesso operano confrontandosi con l'opposizione dei governi. Se ora vengono chiusi per mancanza di fondi, è piuttosto improbabile che vengano nuovamente aperti. A parte il limitato supporto delle Nazioni Unite, vi sono pochissime altre fonti di finanziamento. Perciò, questo cambiamento di rotta da parte della Commissione europea ha seriamente messo in pericolo queste iniziative, che si sforzano di porre rimedio alle conseguenze di gravi violazioni dei diritti umani".
Dick Oosting, direttore dell'European Union Office di Amnesty International, ha dichiarato che, a causa del mancato aumento del bilancio complessivo dell'Unione europea, "sono stati reindirizzati alcuni dei finanziamenti in passato assegnati ai centri di riabilitazione delle vittime di tortura. Questa mossa ha colto piuttosto di sorpresa tutto il sistema della riabilitazione". Oosting ha dichiarato inoltre che "i centri per le vittime di tortura svolgono un ruolo importante nell'assistenza di persone che richiedono asilo".
Una portavoce di Chris Patten, commissario europeo per le relazioni esterne dell'Ue, ha affermato che il cambiamento di politica era contenuto nella "Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani". Ella ha dichiarato: "È vero che vi è stato un cambiamento di strategia nel modo in cui spendiamo il nostro denaro, ma ciò non vuol affatto dire che ci importa di meno o che siamo meno attivi nel campo della prevenzione della tortura nei Paesi in cui è applicata". E ha proseguito: "In tutto il mondo, ciò che facciamo è impiegare i nostri fondi cercando di impedire che la tortura venga usata come mezzo di oppressione. È molto meglio prevenire che curare".
Glenys Kinnock, deputata laburista inglese e attivista per i diritti umani, ha dichiarato che i progetti finanziati dall'Ue nello scorso anno possono essere stati inferiori a quanto previsto perché molte richieste di finanziamento pervenute non corrispondevano agli standard europei. Ma ha aggiunto: "La Commissione deve porre rimedio. È chiaramente inaccettabile spendere meno nei confronti delle vittime di tortura e repressione".

Dove va il denaro
Il pesante taglio dei fondi europei alla Fondazione medica britannica per la cura delle vittime di tortura non poteva avvenire in un momento peggiore.
In autunno, la Fondazione - che l'anno scorso si è occupata di 3.000 nuovi casi di vittime provenienti da 83 Paesi - si sposterà nei nuovi locali a Finsbury Park, nel nord di Londra, appositamente progettati per gli uffici e il centro medico e costati più di 5 milioni di sterline. I nuovi ambulatori sono stati progettati più grandi del normale perché alcune vittime di tortura avevano sottolineato che le attuali stanze ricordavano una cella di prigione e provocavano loro attacchi di panico.
La Fondazione fornisce aiuto sanitario, legale e psicologico non soltanto alle vittime di tortura, ma anche alle persone traumatizzate dalla violenza organizzata, come a esempio dalla pulizia etnica avvenuta nei Balcani.
"Uno dei nostri metodi di maggior successo è la terapia di gruppo, che unisce persone che hanno avuto esperienze simili" ha affermato Andrew Hogg, un portavoce della Fondazione: "È una terapia che riduce il loro senso di isolamento e di vergogna".
Nata nel 1985, la Fondazione ha assistito più di 35.000 persone. "Per le persone spesso la possibilità di raccontare la propria storia è importante quanto il trattamento sanitario" ha detto Hogg. "Il nostro personale ... può decidere se sottoporre i pazienti a psicoterapia. Ciò può coinvolgere anche l'intera famiglia, come nei casi in cui una donna è stata stuprata e il marito o il figlio faticano ad accettare la cosa". La Fondazione lavora con vittime provenienti da Paesi come Sri Lanka, Pakistan, Algeria, Sierra Leone e Turchia. Si occupa anche di ex prigionieri di guerra dei giapponesi e persone vittime di pestaggi punitivi nell'Irlanda del nord.

(*)da The Independent, 11 giugno 2003

Migra ringrazia Alberto Autelitano per averci consentito di utilizzare questa traduzione.

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