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L'Onu? Mi appartiene
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"Mai più". La Società delle Nazioni, prima, e le Nazioni Unite, poi, sono state fondate su questo imperativo. Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità.
L'Onu, quindi, come strumento sovranazionale che i popoli si sono dati per prevenire la guerra come summa dell'antipolitica, dell'afonia del dialogo che incombe costantemente sulle relazioni internazionali.
Non solo guerra ed i suoi secolari strascichi di bombe e mine esplose, rifugiati ed economie azzerate. Altri conflitti violenti affliggono l'umanità come la fame, le calamità naturali, l'assenza d'acqua, la miseria che consegue l'ipernatalità o la corruzione, il "mercato iniquo", la deregolazione dei territori, l'analfabetismo e conseguente violenza sulle donne. Tutto ciò ha provocato la Comunità Internazionale ad istituire molte agenzie specializzate, dipartimenti ed uffici in grado di rispondere sia ad emergenze che a problemi complessi e talvolta strutturali.
I timidissimi trend di miglioramento degli otto obiettivi del Millennio (1) o, meglio, la difesa di ciò che sin d'ora è stato raggiunto come la capacità d'intervenire in ogni emergenza per assistere profughi, sfollati ed affamati o, all'origine, l'aver favorito il cammino verso la libertà di molti popoli sono l' "evidence based" che l'architettura dell'Onu non va demolita ma migliorata. Resa più efficiente. Nei principi e negli obiettivi la Carta delle Nazioni Unite conserva la sua validità dal punto di vista giuridico, politico e morale ed ha dato inizio al codice di diritto panumano, ormai patrimonio comune della "famiglia umana".
In poco più di sessant'anni abbiamo un patrimonio di conoscenze che viene diffuso e cadenzato sia attraverso gli anni internazionali (microcredito, genere, ambiente, sviluppo, desertificazione, etc.) che nei rapporti annuali. Le tre agende del Segretario generale: l'Agenda per la Pace, lo Sviluppo e la Democrazia hanno fatto sintesi politica e prospettato le riforme necessarie. Una fotografia puntuale sulla nostra umanità e sullo stato di salute del pianeta.
Ma la riforma procede a rilento. S'è perso inutilmente una generazione. 1989: la caduta del muro di Berlino aveva offerto circostanze idonee per avviare una ri-progettazione o, meglio, una piena applicazione della Carta, ma s'è perso tempo come se la storia non si ripresentasse puntualmente con i suoi drammi. Gli anni '90 del secolo scorso sono stati segnati da un crescendo di guerre, genocidi, pulizia etnica, violenza diffusa che hanno minato la credibilità dell'Istituzione.
Le diverse guerre del Golfo dal '91 ad oggi, il genocidio rwandese ed i massacri nei Grandi Laghi, Srebrenica ed i campi di concentramento nei Balcani, forniscono l'evidenza del fallimento non del sistema sopranazionale deputato alla "sicurezza umana" ma degli attori statuali, deputati al suo governo, rei di non concedergli sovranità, uomini e mezzi per arrestare la vergogna. Termini come diritti umani, principi dello stato di diritto, sussidiarietà, democrazia partecipativa per le popolazioni che hanno subìto questi drammi umanitari e per tutta la famiglia umana risuonano a vuoto.
A Srebrenica i militari dell'Onu sono stati addirittura inconsapevoli complici dei genocidari. 5.000 caschi blu avrebbero potuto fermare il genocidio rwandese, poi prolungatisi nella Repubblica Democratica del Congo quadruplicandovi i morti. Una doppia sconfitta per gli attori deputati al governo del Palazzo di Vetro il quale ha il diritto dovere d'interposizione per fini di polizia internazionale. Un'onta per l'umanità tutta, e non solo per le Istituzioni, drammaticamente divisa tra precarietà ed indifferenza.
Ma è proprio da un'ennesima tomba dell'Onu che la Politica sembra aprirsi un interstizio. In Iraq, gli stati più forti, capaci di fare la guerra, stanno dimostrando di non essere capaci di vincerla. A detta dello stesso pentagono la fine del 2006 è stato il periodo peggiore del conflitto armato. Entrati unilateralmente i paesi anglofoni capeggiati dal congresso Usa vorrebbero uscirne sovranazionalmente sperimentando, per altro, forme di presenza sul territorio non violente ed a favore della popolazione. Di tutt'altro avviso la Casa Bianca che ha aperto in Somalia un terzo fronte di guerra.
L'Italia ha la storica "occasione cerniera". Forte della riuscita diplomazia tra Israele e Libano e conseguente voto quasi unanime dell'Assemblea Generale che la rende membro del Consiglio di Sicurezza potrebbe realmente rappresentare un'inedita politica europea di Pace (2). Una politica riformatrice che non può esimersi dal perseguire una rappresentanza democratica di vaste aree del pianeta nello stesso Consiglio di sicurezza. Accanto all'Unione Europea, quindi, la Lega Araba. Ciò servirebbe, se non altro, a bilanciare la presenza "cristiana" (3) o meglio l'assenza di grandi aree religioso/culturali in seno allo stesso Consiglio.
Quanto a riforme l'Italia istituzionale discorda dall'Italia "non governativa" (4) sull'abolizione del potere di veto e quindi sulla moratoria del suo esercizio. I compromessi sono più che comprensibili, soprattutto in un sistema di relazioni internazionali così complesso, ma la speranza è che vengano realizzati al più alto livello possibile.
C'è, quindi, urgenza di un sistema di sicurezza collettiva (human security) sotto autorità "sopranazionale" multidimensionale che si traduce in "sicurezza della gente" (people security). Tradotto significa cibo, ordine pubblico, giustizia sociale ed economica, salvaguardia dell'ambiente al fine di garantire "tutti i diritti umani per tutti" (all human rights for all): questi sono politici, economici, sociali, culturali, alla pace, allo sviluppo umano, all'ambiente, fra loro interdipendenti e indivisibili.
Il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, Ecosoc, quindi, non dovrebbe esser da meno del Consiglio di Sicurezza e pertanto disporre del potere di orientare l'economia non solo delle multinazionali che trasformano i territori dei paesi più poveri in monoculture ma anche di Banca Mondiale e Fondo Monetario le quali macropolitiche hanno talvolta frenato processi reali di sviluppo endogeno. Quest'ultimo, tra microcredito alla Yunus e sviluppo locale promulgato dall'Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano) assieme all'istruzione diffusa dall'Unesco sono armi per frenare l'ignoranza, la miseria, le conseguenti migrazioni e le guerre tra paesi poveri guidati da dittatori senza scrupoli.
A tutt'oggi, in tutte le ipotesi di riforma (5), molte proposte sono condivisibili. La scelta non casuale del nuovo Segretario Generale Ban Ki Moon che proviene da un'area geopolitica scottante dimostra che si sta, in primis, perseguendo la "sicurezza umana". Ma in alcun documento il potere dell'Ecosoc viene rafforzato e non c'è traccia di rappresentatività di organizzazioni transnazionali ed autorevoli di società civile come, a titolo di esempio, Amnesty International. Le ipotesi di rappresentatività "una testa - una percentuale di voto" avanzate da autorevoli Istituti di Peace Research sembrano non andare verso una maggior democraticità in quanto gli Stati di mezzo mondo (Asia e Africa) sono per lo più democrazie solo dichiarate e non di fatto.
Il pericolo reale è una riforma in senso peggiorativo. L'interpretazione estensiva dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite: agli stati sarebbe concesso, senza l'obbligo di ricorrere previamente al Consiglio di Sicurezza, di usare la forza in presenza non soltanto di una minaccia 'in atto' ma anche di una minaccia 'imminente' o addirittura 'latente' sarebbe un drammatico ritorno al passato.
Invece di dire che occorre rafforzare l'autorità e il potere del Consiglio di Sicurezza, dotando questo, come previsto dall'articolo 43 della Carta, delle necessarie capacities (strutture, risorse umane, strumenti) di polizia militare e civile internazionale, si mira a trasformare la ragion d'essere dell'autotutela degli stati, da "eccezione" rispetto al divieto dell'uso della forza, in "norma generale".
La riforma dell'Onu ci riguarda. Peraltro da vicino. Al di là della valdastico, il raddoppio della base militare Usa a Vicenza sembra andare maggiormente verso un'interpretazione estensiva dell'articolo 51 che all'applicazione dell'articolo 43 della Carta. Il Comune di Vicenza ha appena dato il suo benestare. Ora tocca al governo italiano con la sua politica cerniera ad alto compromesso dimostrare che la strada della forza e della presenza militare non è l'unica possibile. Tocca alla società civile sostenere percorsi virtuosi, coraggiosi ed inediti che riducano il militarismo, gli 854 milioni di affamati, le conseguenti migrazioni aumentando solo la speranza.
di Fabio Pipinato
Tratto da la rivista "Il margine" (Mensile dell'associazione culturale Oscar A. Romero)
Note
(1) Patto tra paesi poveri e paesi ricchi ove i paesi poveri si sono impegnati a:
╀ promuovere riforme a livello nazionale
╀ incanalare gli aiuti per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
╀ migliorare la governance ed eliminare la corruzione
I paesi ricchi si sono impegnati a
╀ incrementare l'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) - sino a portare allo 0,7 la percentuale del prodotto interno lordo (PIL) destinata all'APS
╀ migliorare la qualità degli aiuti, per esempio mettendo al centro l'Africa Sub-Sahariana
╀ investire in servizi sociali di base
╀ eliminare distorsioni quali l'aiuto legato che favorisce le imprese del paese donatore anziché aiutare a far crescere le strutture locali
╀ promuovere la cancellazione del debito
╀ adottare regole di scambi commerciali internazionali eque, fondate su principi di giustizia, affinché si mantengano le promesse di sviluppo a beneficio dei paesi poveri
(2) Dichiarazione Congiunta tra l'Unione Europea e l'ONU sulla gestione delle crisi, firmata a New York il 24 settembre 2003 dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in rappresentanza dell'Ue, e dal Segretario Generale dell'ONU, Kofi Annan
(3) 4/5 degli aventi diritto di veto
(4) Tavola per la Pace
(5) In particolare al Rapporto del Segretario Generale Kofi Annan ed il Rapporto del "Panel" di alto livello il cui contenuto è stato in buona misura recepito dal primo.