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L’Ocse all’Italia: senza “volontà politica” non si fa cooperazione
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In genere il nostro Paese non va tanto d’accordo con esami e raccomandazioni da parte di organismi internazionali, e le bacchettate sono sempre dietro l’angolo. Per una volta, però, dei passi avanti sono stati fatti, almeno per quanto riguarda la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo. Anche se la strada da fare è ancora lunga. Lo sottolinea il nuovo rapporto “Peer Review 2014“ a cura del Comitato per l’aiuto pubblico allo sviluppo (Dac) dell’Ocse, presentato questo mese a Roma, alla presenza del presidente Erik Solheim.
Che, nonostante le nostre mancanze, ha elogiato l’Italia per il cambio di rotta innescato a partire dal governo Monti, attraverso la ripresa di un processo virtuoso di aumento delle risorse. Prima di allora, infatti, l’Italia in questo senso stava colando a picco, a causa della crisi ma non solo: tra il 2008 e il 2012 la nostra quantità di risorse destinate agli aiuti allo sviluppo è passata dai 4,86 miliardi dollari ai 2.74 miliardi (dallo 0,22 % al 0,14% del PIL). In pratica, si è quasi dimezzata, portando l’Italia dall’ottavo al dodicesimo posto nella classifica dei paesi Ocse, e fallendo così miseramente l’obiettivo proposto dalla UE dello 0,56% entro il 2010. Per quanto riguarda il nuovo obiettivo, lo 0,7% entro il 2015, siamo sempre lontani anni luce, ma qualcosa sembra essersi mosso.
“La mancanza di stabilità politica e un impianto legislativo obsoleto non aiutano” spiega Solheim, che però riconosce i progressi fatti, come il cammino verso la nuova legge sulla cooperazione e la leadership conquistata in materia di sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile: insomma, si comincia a intravvedere quella “volontà politica” che secondo il presidente dell’Ocse-Dac è da sempre l’arma indispensabile per arrivare finalmente a dei risultati concreti. “Come è accaduto in Gran Bretagna – spiega – dove il governo, pur in un’epoca di grande austerità, ha portato la spesa per l’aiuto pubblico allo sviluppo allo 0,72%, diventando così l’unico paese del G20 ad aver raggiunto il grande obiettivo del 2015”. Solheim porta anche l’esempio della Turchia, che in quanto a spesa ha superato molti altri paesi, compresa, naturalmente, l’Italia, in un trend positivo che si rispecchia a livello globale.
“I politici, gli attivisti, i media di tutto il mondo ci dicono che quando c’è una crisi si ha un calo nell’aiuto pubblico allo sviluppo – spiega – Questo però non sempre è accaduto, e lo scorso anno abbiamo registrato una spesa complessiva record di 134,5 miliardi di dollari di aiuti”. Un enorme sforzo in denaro che comunque ha sempre un suo tornaconto, “a beneficio dell’economia, dell’immagine del paese donatore e della sua capacità di avere un peso in altre parti del mondo”. Opinione condivisa anche dal vice ministro italiano degli Esteri Lapo Pistelli, secondo cui il senso della cooperazione non è quello di un “obolo domenicale per sentirci più buoni col mondo, ma di un investimento sullo sviluppo umano, sulla pace e sulla sicurezza“, che il nostro paese deve intraprendere attraverso il coinvolgimento dei ministeri, delle università, degli enti locali, delle Ong e del sistema italiano della cooperazione nel suo complesso. “Se si riuscisse a far capire questo – continua – cambierebbe anche l’atteggiamento dei parlamenti nell’assegnazione delle risorse”.
Anche perché, secondo Solheim, il momento sembra essere quello giusto, nonostante tanti problemi non siano ancora stati risolti. “Siamo la generazione più fortunata non solo perché stiamo meglio, ma anche perché abbiamo la possibilità concreta di porre fine alla povertà estrema” spiega, e porta l’esempio dell’Etiopia, dove la mortalità infantile si è notevolmente ridotta, o il Vietnam, che per quanto riguarda l’istruzione starebbe facendo “addirittura meglio della Norvegia”, o la Corea del Sud, uno dei paesi più poveri negli anni ‘50, mentre oggi “se misuriamo i dati pro-capite del Fondo Monetario Internazionale, scopriamo che è più ricco dell’Italia”.
Per quanto riguarda quest’ultima, il presidente Ocse-Dac ribadisce l’opportunità di fare tesoro dei consigli della Peer Review, utile strumento di valutazione e buone pratiche per migliorare la quantità e la qualità dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Tra gli obiettivi assegnatici in questo quadriennio: l’incremento del volume delle risorse, “che costituisce il solo modo per ottenere un impatto più incisivo degli aiuti”; la definizione di una “chiara strategia per la cooperazione italiana che coinvolga tutti gli attori”; la già citata “modifica del quadro normativo”. Ancora, l’Italia deve fare di più per i cosiddetti stati fragili, ad esempio nel Nord Africa e nel Corno d’Africa, sempre guidata dal principio secondo cui “è impossibile immaginare la pace e la prosperità solo a livello nazionale”.
Per ottenere tutto questo, l’ingrediente principale è soprattutto uno: “Sappiamo quali politiche funzionano perché le abbiamo viste – ribadisce Solheim – e abbiamo tutte le risorse. Dobbiamo solo trovare la volontà politica per poter prendere le giuste decisioni e ottenere dei risultati. E dobbiamo farlo tutti”.