L'Afghanistan ci ha insegnato, definitivamente, che la guerra non funziona

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Foto: Pixabay.com

«Uno straordinario successo»: così il presidente Joe Biden ha definito l'operazione di evacuazione da Kabul parlando di «una missione di compassione». E ha poi aggiunto: «La scadenza del 31 agosto per il ritiro dall'Afghanistan non era una data arbitraria ma una data per salvare vite americane», precisando che «era ora di finire questa guerra. C'è un mondo nuovo e dobbiamo difendere gli Usa da nuove minacce. La nostra strategia deve cambiare. Non avevamo bisogno di continuare una guerra di terra». 

Personalmente, ciò che ho trovato sorprendente è stato questo passaggio del suo ragionamento: «Il mondo sta cambiando; dobbiamo affrontare le sfide di questo secolo e la competizione con la Cina o la Russia, continuando a combattere il terrorismo». Ora io mi domando: se dopo 20 anni di guerra contro i terroristi, questo è il risultato, aveva proprio ragione Gino Strada nel dire: «C’è un dato inoppugnabile. La guerra è uno strumento, ma non funziona; semplicemente non funziona».

Per capire meglio lo stato dell’arte, proviamo ad andare indietro con la moviola della Storia. Come quelli della mia età ricorderanno, nonostante la mancanza di coesione all’interno dei mujaheddin, il 17 aprile 1992 questi signori proclamarono la nascita dello Stato Islamico dell’Afghanistan. E a seguito delle forti tensioni tra i loro comandanti vennero alla ribalta i talebani, una milizia composta da giovani afghani di origine pashtun provenienti dalle scuole islamiche del Pakistan e da mujaheddin delusi dai loro comandanti. Minoranza fino a quel momento conosciuta per il fondamentalismo religioso e l’arretratezza dei costumi.

Scrive sul Manifesto Enrico Calamai, diplomatico italiano nominato ambasciatore a Kabul nel 1987: «Valga a titolo di esempio quanto segue: usi a camminare scalzi, si vantavano del numero di chiodi che riuscivano a piantarsi nel callo sotto i piedi: quanti più chiodi, più macho. Radicalmente omofobi, consideravano la donna buona soltanto per la riproduzione e i giovanetti preferibili per il piacere. I loro notabili si mostravano spesso in pubblico (difficile che non continuino a farlo) con un ragazzo rapito o comprato alla famiglia, la cui sorte nel diventare adulto era segnata: respinti dalla famiglia, emarginati dalla società erano (probabilmente lo sono ancora) condannati alla prostituzione o a morire d’inedia. Quanto sopra per dire che era materialmente impossibile che nel giro di pochi mesi da tale stato di arretratezza culturale i talebani fossero arrivati a pilotare gli aerei e a guidare i carri armati con cui si espandevano a macchia d’olio, fino a impadronirsi del Paese. Più probabile che fossero i Pasthun dell’Isi (Inter-Services Intelligence) pakistano a provvedere alla bisogna, con accordo Usa e finanziamento saudita»...

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