Kobane città bandiera, libera ma assediata. Vera sconfitta IS?

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Kobane liberata è il titolo. Kobane, la metà della città che resta in piedi è controllato dai curdi che sono riusciti piantare il loro vessillo  sulla collina simbolo che sovrasta Kobane, Kaniya Kurda, dove è stata tolta la bandiera nera dello Stato islamico. Risultato simbolo dopo quattro mesi di durissimi combattimenti. Le ‘Unità di protezione popolare’ (Ypg) dei combattenti curdi, hanno ricacciato i miliziani jihadisti nei sobborghi est della città. Sulla città continuano intanto i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti che ha aiutato i curdi a fermare l’avanzata dei jihadisti.

Molto più prudenti le fonti ufficiali Usa. Secondo un portavoce del Dipartimento di Stato, ‘Le forze curde hanno fatto progressi, ma Kobane resta contesa. Non sono ancora in grado di dire che la battaglia è vinta, la battaglia continua, ha aggiunto’. Di fatto, che la liberazione di Kobane sia già avvenuta o stia per avvenire, non cambia di molto la partita complessiva con lo Stato Islamico. I miliziani del Califfato controllerebbero soltanto il quartiere di Kani Arabane ma la città resta totalmente assediata. Le forze dell’Isis su tutto il territorio siriano attorno e di fronte la non amica Turchia.

Va detto che le forze fresche messe in campo a Kobane dal Califfato erano composte soprattutto da giovanissimi poco addestrati. Una scelta tattica che potrebbe rivelarsi legata al ruolo importante, ma non decisivo, di Kobane nello scacchiere siriano. L’assedio di Kobane è iniziato a metà settembre 2014, quando lo Stato Islamico ha lanciato una campagna nel nord siriano conquistando centinaia di piccoli villaggi nella regione al confine turco, e costringendo quasi trecentomila curdi a fuggire in Turchia. Al loro posto, l’esercito del Kurdistan siriano e i Peshmerga dal Kurdistan iracheno.

A Kobane battaglie casa per casa, strada per strada. Oltre milleseicento morti dalle due parti dicono, ma sono molti di più. Vittime di una battaglia strategicamente inutile ma di pura immagine. Con costi militari -oltre che umani- folli. Secondo LookOut, 1.000 i morti tra i combattenti di IS e armi preziose come i tank M1-Abrams americani e i T-72 russi e artiglieria a lunga gittata presi da IS dopo la conquista di Mosul, persi sul fronte di Kobane dove tutti volevano dimostrare di saper vincere. 870 degli attacchi aerei della Coalizione sulla Siria, il 70 per cento su Kobane e dintorni.

Con la possibile malizia del califfato di aver costretto la coalizione a concentrare la gran parte degli sforzi su Kobane, ‘grandi mezzi aerei per un obiettivo minore’, come detto da un ufficiale Usa. Gli strike americani hanno colpito più duro a Kobane che a Raqqa, 12 chilometri di distanza, dove si ritiene che abbia passato molto tempo lo stesso capo di IS, al Baghdadi. Ciò avrebbe permesso agli uomini del Califfo di avanzare in altri teatri di guerra, raddoppiando i territori occupati giunti ormai a oltre un terzo del Paese. L’eroica Kobane fatta bandiera ma non risolutiva per le sorti della guerra.

Lo Stato Maggiore della Difesa americana ritiene più importante garantirsi l’Iraq che non lo stato siriano, segnato da una guerra civile incerta e un presidente scomodo come Bashar Al Assad, il solo con i curdi che sta segnando qualche vittoria contro le forse dello Stato Islamico. Un Siria futura difficile anche soltanto da prevedere, e le attenzioni sul Paese e su Assad che vengono dall’Iran e dalla Federazione Russa. Mentre già ora diventa sempre più evidente che solo le forze di terra potranno assicurare risultati definitivi nella lotta allo Stato Islamico. Come a Kobane ma in grande.

Ennio Remondino da Remocontro.it

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