www.unimondo.org/Notizie/Italian-Offshore-cosa-succede-sotto-le-piattaforme-ENI-158652
Italian Offshore: cosa succede sotto le piattaforme ENI
Notizie
Stampa
A distanza di quasi di 3 mesi dal referendum del 17 aprile, il tema dell’estrazione di idrocarburi sembra aver perso il suo appeal mediatico. Il documentario Italian Offshore, realizzato da Marcello Brecciaroli, Manuele Bonaccorsi e Salvatore Altiero, ci ripropone questa tematica in maniera approfondita. Un documento che testimonia la debolezza politica, tecnologica ed economica dello Stato italiano nei confronti delle grandi compagnie petrolifere. Abbiamo chiesto a Salvatore e Manuele di raccontarci la loro esperienza.
Salvatore, come nasce l’idea di questo documentario?
L’idea nasce circa un anno fa dal dibattito che si era creato intorno al decreto Sblocca Italia, che sostanzialmente aveva creato una nuova corsa agli idrocarburi nei mari italiani. Abbiamo quindi deciso in quel momento di capire meglio come funzionava questa industria e chi ne traeva i reali vantaggi.
Manuele, quali sono quindi i principali risvolti politici ed economici dell’estrazione di idrocarburi offshore?
Noi siamo partiti da una analisi economica ed ambientale e siamo arrivati a renderci conto che il problema principale di queste industrie, è l’incapacità dello stato di avere gli strumenti per esercitare un controllo.
Gran parte delle piattaforme ENI in Adriatico scaricano in mare le acque di strato, classificate come rifiuti industriali che in deroga alla legge vengono riversati in mare.
I dati riservati che siamo riusciti ad ottenere ci dicono che l’80% dei fondali delle piattaforme italiane ha problemi di accumulo di metalli pesanti, idrocarburi o oli minerali, paragonabili a quelli di porti industriali. Spesso questi dati però vengono sottaciuti e le indagini a riguardo affossate.
Viene da chiedersi quindi: ma l’azienda che ha prodotto questi danni come può averlo fatto essendo un’azienda parzialmente pubblica? E come può continuare ad avere pretese sullo sviluppo di questo settore se non è ancora riuscita a ripagare quei danni?
Quali sono invece in concreto i danni ambientali?
S: Noi non abbiamo calcolato i danni. Abbiamo provato piuttosto a descrivere un sistema. Nell’arco degli ultimi 6-7 mesi in Italia abbiamo avuto almeno tre casi esemplari, che ci aiutano a capire come funziona la gestione dei danni ambientali di quest’industria. Uno di questi è l’episodio che si è verificato nel canale di Sicilia, dove un’azienda, in questo caso Edison, che aveva appena subito un processo per smaltimento illecito di rifiuti, ha ottenuto una nuova concessione per estrarre.
Non si riesce a calcolare quale sia il reale danno ambientale. L’unica cosa che si riesce a calcolare è l’ingiusto profitto (profitto ottenuto in maniera illecita, ndr) che un’azienda guadagna tramite quell’attività. Si tratta di un settore che in molti casi basa la propria sostenibilità economica proprio risparmiando sulla gestione dei costi ambientali.
Qualcuno ha cercato di ostacolare le vostre riprese? Avete riscontrato delle opposizioni?
M.: Semplicemente non siamo riusciti ad ottenere una intervista ufficiale da ENI, Edison, Ministero dell’Ambiente, Ministero dello Sviluppo Economico. Nonostante decine e decine di richieste. Noi abbiamo portato l’inchiesta a compimento solo grazie ad alcune fonti anonime. Pubblicamente nessuno ci ha rivolto la parola. In una telefonata con il portavoce di un ministero ci siamo sentiti dire “non sappiamo se il ministro lo ritiene utile”. Come se l’intervista sia una concessione. Ma non è così. È un dovere dare alcune informazioni.
Quando sarà disponibile il vostro lavoro?
Ancora non lo sappiamo. Finora abbiamo riscontrato un grande interesse da parte di comuni cittadini con molta voglia di raccontare quali erano le conseguenze di queste attività sul loro territorio. Una parte del documentario è ancora in fase di lavorazione e ancora non abbiamo pensato ad una grande distribuzione.
Noi non ci siamo inseriti nella questione politica. Non si tratta di schierarsi necessariamente da una parte o dall’altra, bensì di avere chiare le dinamiche che stanno dietro l’industria dell’estrazione di idrocarburi. Si tratta di capire se il nostro paese è in grado di sostenere ancora, ecologicamente ed economicamente, queste attività.
Milena Rettondini – In Medias Res
In Medias Res

L'associazione In Medias Res nasce nel Luglio del 2015 a Trento come naturale prosecuzione del progetto di media-attivismo "Agenzia di Stampa Giovanile", realizzato da un collettivo formato da giovani con background e formazione differenti. Il progetto nasce in seno all'associazione Jangada nel 2012 e in collaborazione con l'associazione Viração Educomunicação in Brasile, in concomitanza con il Summit Rio+20 e cresce entrando in contatto e collaborando negli anni con diversi enti e associazioni a livello locale ed internazionale (tra gli altri l’Assessorato alla Cooperazione e allo Sviluppo della Provincia Autonoma di Trento, l'Universita di Trento, l'Osservatorio Trentino sul Clima, il consorzio dei Comuni della provincia di Trento BIM dell’Adige, la Fundación TierraVida in Argentina e la Rete+Tu). L'associazione si occupa principalemtene di divulgazione libera e indipendente di tematiche legate all'ambiente, alla società e all'economia attraverso la pubblicazione di articoli e video (negli ultimi anni ha realizzato reportages durante le Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici - COP18 di Doha, COP19 di Varsavia, COP20 di Lima), percorsi formativi nelle scuole e laboratori e eventi aperti alla cittadinanza.