Italia: tra stabilimenti balneari d'oro e rischio marea nera

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Se ne saranno accorti in molti in vacanza al mare per ferragosto nonostante il maltempo: l'Italia è il paese degli stabilimenti balneari. Sono ben 12mila sulle coste, pagano un canone di appena 50 centesimi al mese per metro quadro, ma hanno il privilegio di non dover rilasciare scontrini fiscali per le attività connesse e l’evasione fiscale è all’ordine del giorno. Lo denuncia il WWF che nei giorni scorsi ha reso noto il dossier “Sabbia: l’oro di tutti a vantaggi di pochi”.

Oltre allo scandalo delle concessioni il dossier evidenzia gli impatti sull’ambiente degli stabilimenti, spesso vere e proprie cittadelle di servizi e strutture permanenti - piscine, negozi, centri benessere, parcheggi - situati anche in ambienti delicatissimi come le dune costiere. "E così - commenta l'associazione - con l’obiettivo di “valorizzare”, ovvero guadagnare dalle coste italiane, questa speculazione ha irrimediabilmente compromesso l’inestimabile valore dei nostri litorali, alterando in maniera spesso irreversibile la loro naturalità e contribuendo a gravi impatti sull’ambiente come il fenomeno dell’erosione delle coste, che interessa ormai il 42% delle spiagge italiane".

A fronte di solo 103 milioni di euro d’incasso per lo Stato, gli introiti degli stabilimenti sono enormi e in gran parte irregolari. Il dichiarato è di circa due miliardi di euro, ma secondo l’analisi del WWF, che considera i 600mila lavoratori del settore dichiarati anche in rapporto al potenziale fatturato per singolo occupato, la cifra non è credibile, così come il WWF ritiene sottostimata l’ipotesi dell’Agenzia del Demanio secondo cui gli incassi sarebbero di quanto dichiarato. Secondo il WWF l’evasione è talmente clamorosa che potrebbe essere in qualche modo “programmata a tavolino”: dei 573 controlli svolti nel 2009 dall’Agenzia del Demanio 551 hanno rilevato irregolarità (nel 2008, le irregolarità rilevate sono state 403 su 439 controlli).

Ed anche i dati della Guardia di Finanza documentano una situazione di evasione diffusa: su 4000 controlli annui sul litorale laziale le irregolarità sono il 45%. Percentuale che sale al 61% se si considera solo la parte relativa agli scontrini fiscali (a cui gli stabilimenti sono tenuti per la somministrazione di bevande ed alimenti oltre che per la ristorazione). Così mentre lo Stato di media incassa per ogni metro quadro di spiaggia data in concessione meno di 50 centesimi di euro al mese (5 euro e 72 centesimi l’anno), i privati fanno affari d’oro sotto gli occhi di tutti. Mentre dall’altra parte viene programmato un taglio del 50% al contributo ordinario dei Parchi Nazionali (pari a 25 milioni di euro), che si sarebbe potuto ad esempio recuperare dal settore balneare chiedendo solamente il giusto e senza far torto a nessuno.

“La proliferazione degli stabilimenti, spesso irregolare e scandalosamente ‘economica’ per i gestori, insieme alla cementificazione selvaggia, agli abusi e alle situazioni di degrado che caratterizzano il litorale ‘libero’, hanno sottratto alla natura e alla libera godibilità di tutti le nostre bellissime coste, un vero e proprio ‘furto’ di ambiente e di paesaggio che hanno impatti e conseguenze spesso irreversibili – ha commentato Stefano Leoni, presidente del WWF Italia. Per fermare questo scempio, dobbiamo al più presto uscire dalla logica speculativa e privatistica con cui è stato gestito il patrimonio di tutti e rientrare nell’alveo dove le prime cose che si tengono in considerazione sono gli interessi collettivi e, tra questi, la tutela dello straordinario patrimonio ambientale costituito dalle nostre spiagge, che se vogliamo continuino a dare ricchezza devono essere ben diversamente tutelate”.

Intanto Legambiente ricorda la "marea nera" dei 343 milioni di tonnellate di idrocarburi movimentati ogni anno nei nostri mari. "Ogni anno verso le coste italiane viaggiano ben 178 milioni di tonnellate di petrolio, quasi la metà di tutto il greggio che arriva in direzione dei porti del Mediterraneo, crocevia delle petroliere di tutto il mondo - riporta Legambiente. Il nostro Paese poi, attraverso 12 raffinerie, 14 grandi porti petroliferi e 9 piattaforme di estrazione off-shore, movimenta complessivamente oltre 343 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi all’anno a cui vanno aggiunte le quantità di petrolio e affini stoccati in 482 depositi collocati vicino al mare, che hanno una capacità di quasi 18 milioni di metri cubi.

L'Italia inoltre è al centro di ben 10 rotte all’interno del bacino del Mediterraneo che praticamente includono nel traffico dell’oro nero tutte le Regioni costiere italiane. "Queste cifre - sottolinea Legambiente - dicono che l’Italia è una delle nazioni al mondo più esposte al rischio di incidente ambientale connesso allo sversamento di petrolio e una conferma di questo è anche il primato, detenuto dal nostro Paese, del greggio versato nei principali incidenti degli ultimi 25 anni". Sono ben 162.600, infatti,le tonnellate di idrocarburi finite nei nostri mari dal 1985 ad oggi, più della metà di tutto il petrolio finito nel Mediterraneo nello stesso periodo. E di queste la maggior parte (134mila tonnellate) a causa del catastrofico incidente del 1991 della petroliera Haven nelle acque antistanti Genova.

“La marea nera che da oltre tre mesi sta devastando i preziosi ecosistemi del Golfo del Messico e quella più recente di Dalian nel Mar Giallo – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – hanno riportato in primo piano il drammatico problema degli incidenti con sversamento da idrocarburi nei nostri mari. Se da un lato il sistema d’intervento italiano in mare è efficace, tempestivo e di alta qualità – ha aggiunto Cogliati Dezza - sul fronte della bonifica delle coste in caso di spiaggiamento di petrolio, c’è ancora molto da fare soprattutto da parte degli enti locali”.

Si conclude oggi a Capalbio il viaggio della Goletta Verde di Legambiente che anche quest'anno ha monitoriato lo stato di salute dei mari italiani, denunciando gli abusi e gli ecomostri del passato e in cantiere come il progetto del "Waterfront" di La Spezia. "Il nuovo Waterfront si prefigura sempre di più come una colata di cemento a fini speculativi più che una riqualificazione di una porzione importante della città; se venisse definitivamente approvato il disegno attuale si tenderebbe a creare uno scollamento con il centro urbano esistente - ha commenta Stefano Sarti, presidente Legambiente Liguria consegnando all'amministrazione comunale e all'Autorità portuale - di cui è presidente l'ex sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri - la Bandiera Nera di Legambiente. [GB]

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