Italia: appello per i visti negati e la guerra civile

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Continua il braccio di ferro con il Governo italiano in relazione ai visti negati ai relatori della conferenza di Chianciano promossa dai Comitati "Iraq Libero" per l'1-2 ottobre. Una prima spiegazione si trova nella forte pressione esercitata dagli Stati Uniti con una minacciosa lettera sottoscritta da 44 membri del Congresso americano. "Mentre il ministro degli esteri Fini ha deciso di negare i visti ai relatori iracheni, in Toscana autorevoli esponenti di Forza Italia in Consiglio regionale e nel Consiglio comunale di Firenze hanno presentato due documenti per impedire in tutti modi lo svolgimento della conferenza" commentano i Comitati "Iraq Libero" secondo cui in gioco ci sono le libertà democratiche e costituzionali, e lo stesso diritto alla libera espressione del pensiero. Per questo chiedono di fare pressione rifacendosi alla lettera sottoscritta da vari intellettuali tra cui il giornalista Giorgio Bocca, il filosofo Gianni Vattimo, Samir Amin e il teologo della liberazione Giulio Girardi. Gli organizzatori scendo sotto la sede del Ministero degli Esteri a Roma con uno sciopero della fame.

A sostegno delle richieste dei visti arriva l'appello di vari esponenti del movimento contro la guerra: da Albino Bizzotto dei Beati i costruttori di Pace a Piero Bernocchi dei Cobas, da Lisa Clark dei Beati i costruttori di Pace a Piero Maestri di Guerre&Pace. "In democrazia il ruolo dell'opposizione è altrettanto rilevante che quello del governo. Impedire la espressione delle opinioni equivale quindi a negare la stessa democrazia". Gli esponenti politici invitati in Italia per partecipare ad una conferenza pubblica sono parte, in alcuni casi significativa, della opposizione politica irachena viene precisato nell'appello secondo cui alcuni degli invitati sono firmatari di un appello con il quale un largo arco di forze di opposizione irachene chiedono la fissazione di un calendario per il ritiro delle truppe straniere e proponevano al governo transitorio l'avvio di un "dialogo nazionale" per porre fine alla violenza. "La costruzione della pace comprende la disponibilità al dialogo e all'ascolto. Non è questo l'impegno che ha preso il Governo italiano?" concludono gli esponenti della società civile.

Da parte del Comitato Nazionale per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq si parla di una grave scelta che contribuisce così a rafforzare l'immagine dell'Italia come di un paese complice della guerra e dell'occupazione dell'Iraq e dei crimini che lì vengono commessi dalle truppe occupanti. "In questo modo il governo espone ancora di più il nostro paese ed aumenta il carico delle proprie responsabilità nelle conseguenze della guerra sul nostro paese". Per il Comitato il divieto apposto dal governo italiano ai visti d'ingresso intende così impedire che l'opinione pubblica - già maggioritariamente schierata contro la guerra e per il ritiro del contingente militare italiano dall'Iraq - venisse a conoscenza di una realtà che il governo italiano intende continuare a nascondere sotto al tappeto, utilizzando come una clava la mistificazione delle "ragioni di sicurezza nazionale". Per questo si solleva l'invito a mobilitarsi per chiedere la revoca del divieto d'ingresso per la delegazione irachena.

Secondo l'Ong "Un ponte per" una guerra civile è già iniziata e sul fuoco delle tensioni interne si è giocata e si sta giocando una grossa partita. "La tragedia di oggi aumenterà le tensioni. Voci che accusano i sunniti 'saddamisti' legati ad Al Qaida di essere all'origine del falso allarme stanno già circolando anche nelle dichiarazioni del Ministro dell'Interno. Mercoledì abbiamo assistito a pesanti scontri in almeno otto città irachene tra i sostenitori sciiti di Muqtadr al-Sadr e quelli dell'altro leader religioso sciita al-Hakim, riferimento politico del Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica, partito uscito vincitore dalle elezioni di gennaio. Quanto sangue deve ancora scorrere prima che si affronti la questione irachena con lucidità politica e senza propaganda? Quanti morti dovremo ancora contare prima che si ammetta che il percorso politico scelto dalle potenze occupanti sta portando il paese al collasso? La politica deve tornare ad essere la protagonista, deve essere aperto un vero tavolo di dialogo nazionale che comprenda tutte le realtà politiche del paese e dove anche la resistenza abbia una sua rappresentanza" conclude "Un Ponte per"
[AT]

Fonte: Comitati Iraq Libero

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