Iraq, un paese che vive nel terrore

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Per la comunità sciita era un giorno importante si celebrava la ricorrenza della morte di Musa al-Kadhim. Un milione di pellegrini provenienti da tutta Baghdad e da altre zone del paese stava muovendosi verso lo storico quartiere di Khadamya alla moschea sciita che ospita la sua tomba e che rappresenta il terzo luogo santo dell' islam sciita.

Nei pressi della moschea, nella prima mattinata erano stati lanciati dei colpi di mortaio causando la morte di almeno 7 persone e il ferimento di altre 36. Elicotteri e mezzi di terra americani sono intervenuti sparando per arrestare i colpevoli, fonti militari dichiarano di aver arrestato più di 12 persone.

Intorno alle 11.00 sembra che un urlo 'c'è un kamikaze sul ponte pronto a farsi saltare in aria' abbia generato il panico tra la folla che ha cominciato a scappare. Le spallette del ponte hanno ceduto e la gente è precipitata nel Tigri, il panico si è diffuso travolgendo tutto e tutti. Il governo parla di circa 1000 morti e 500 feriti, ma il bilancio è provvisorio.

La tragedia testimonia del clima di terrore e paura che domina le menti e gli animi degli iracheni che quotidianamente fanno la conta dei loro morti. A quasi tre anni dalla 'liberazione' , a 7 mesi di governo eletto e con le trattative su una più che criticata e dubbiosa costituzione ancora in corso, il paese vive in uno stato di perenne caos, illegalità e paura: attentati, arresti indiscriminati, squadroni della morte più o meno legati al governo o ai rispettivi partiti di appartenenza, torture, esecuzioni, attacchi militari, gruppi fondamentalisti religiosi che minacciano e uccidono. La popolazione è schiacciata da violenza e paura.

Di fatto una guerra civile è già iniziata e sul fuoco delle tensioni interne si è giocata e si sta giocando una grossa partita. La tragedia di oggi aumenterà le tensioni. Voci che accusano i sunniti 'saddamisti' legati ad Al Qaida di essere all'origine del falso allarme stanno già circolando anche nelle dichiarazioni del Ministro dell'Interno.

Mercoledì abbiamo assistito a pesanti scontri in almeno otto città irachene tra i sostenitori sciiti di Muqtadr al-Sadr e quelli dell'altro leader religioso sciita al-Hakim, riferimento politico del Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica, partito uscito vincitore dalle elezioni di gennaio.

Quanto sangue deve ancora scorrere prima che si affronti la questione irachena con lucidità politica e senza propaganda? Quanti morti dovremo ancora contare prima che si ammetta che il percorso politico scelto dalle potenze occupanti sta portando il paese al collasso?

La politica deve tornare ad essere la protagonista, deve essere aperto un vero tavolo di dialogo nazionale che comprenda tutte le realtà politiche del paese e dove anche la resistenza abbia una sua rappresentanza.

Le Forze Multinazionali sono parte del problema e non della soluzione, devono presentare un calendario di uscita dal paese, devono abbandonare le città e cessare i bombardamenti e gli attacchi sulla popolazione. Anche in questi giorni è in atto una pesante offensiva militare nell'ovest del paese che sta causando un numero imprecisato di morti civili, oltre il collasso delle istituzioni e delle infrastrutture delle cittadine colpite.

Ci uniamo al lutto del popolo iracheno per i morti di oggi, per quelli di ieri e per quelli di domani. Sosteniamo il ritiro immediato delle truppe italiane e continuiamo con forza a chiedere che l'Iraq ritorni ad essere una priorità della comunità internazionale, del movimento pacifista, del mondo politico e sociale.

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