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Iran: in testa il partito dei delusi
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Venerdi prossimo oltre 40 dei 70 milioni di iraniani andranno a votare nelle oltre 42 mila urne disseminate nel paese, sotto gli occhi - ha fatto sapere il capo della polizia Eksandar Momeni - di 120 mila poliziotti e 20 elicotteri. Ma comunque vadano a finire, le elezioni presidenziali del 17 giugno in Iran hanno già un probabile vincitore: il partito dei delusi. Delusione per le mai realizzate riforme promesse dal presidente uscente Mohammad Khatami otto anni fa, quando la sua elezione - imprevista e imponente - aveva suscitato molte speranze nei riformisti. E delusione perché i candidati da battere sono sempre conservatori che ritornano, come per Akbar Hashemi Rafsanjani, già consigliere dell'ayatollah Khomeini e presidente dal 1989 al 1997. Variamente descritto come cinico o realista, Rafsanjani è in realtà un conservatore moderato. Ma non c'e' dubbio che una sua possibile vittoria abbia il sapore del ritorno al passato.
Così i delusi - e in particolare i ragazzi, perché l'Iran e' un paese assai giovane e bastano 16 anni per votare - potrebbero disertare le urne. Nessuno oggi spera in un'affluenza superiore al 50%. Nelle elezioni precedenti, quando Khatami s'impose per la seconda volta, i votanti erano stati 28 milioni, il 66,7%. E nel 1997, prima elezione di Khatami, l'affluenza era stata ancora più elevata: l'83% degli aventi diritto.
E' paradossale ma e' vero: i conservatori temono la bassa affluenza, anche se di fatto li favorisce. Se votassero troppe poche persone, la vittoria andrebbe alla destra ma sarebbe anche un segno di chiaro scontento. Così nelle ultime ore i conservatori stanno muovendo appelli al voto, ma con un linguaggio che intercetta i loro potenziali elettori. "Ogni voto significa morte per l'America", ha detto ieri il "duro" ayatollah Ahmad Jannati.
İn buona misura, a non accendere gli entusiasmi, sono i candidati a presidente. Rafsanjani ha aspettato molto, fino a metà maggio, prima di confermare la sua candidatura. Dopo il 1997 era diventato il leader de facto dell'Assemblea degli Esperti, un'istituzione formata da religiosi e dominata dai conservatori. Questa posizione gli permetteva di gestire le controversie tra Majlis (parlamento, l'autorità politica) e Consiglio dei Guardiani (quella religiosa), oltre che di fornire il parere decisivo nella nomina del leader supremo (la più alta carica religiosa). Rafsanjani aveva insomma un ruolo di eminenza grigia e pare che gli spiacesse molto rinunciarvi.
Soprattutto, però, la delusione nasce dall'assenza di sostanziali riforme dopo il 1989. Khatami s'era impegnato a laicizzare lo stato e aveva promesso maggiore spazio per le donne. Per far questo s'e' spesso scontrato con il leader supremo, l'ayatollah Ali Khamenei. E che alla fine abbia perso lo dice un dato: in queste presidenziali del 2005 i candidati erano oltre mille ma il Consiglio dei Guardiani ne ha ammessi solo 6, 5 dei quali conservatori. Le donne sono state escluse a priori, per quanto non ci sia nessuna legge precisa che vieti a una donna di essere presidente.
I sei candidati originariamente ammessi sono poi diventati 8, su richiesta dell'ayatollah Khamenei, timoroso che lo scoramento montasse e l'affluenza risultasse troppo bassa. Così sono stati ripescati due riformisti, tra cui Mustafa Moin, ex ministro dell'istruzione, l'unico non conservatore che abbia qualche possibilità d'impensierire Rafsanjani. Dopo l'esclusione e la successiva riammissione, Moin è stato tentato dal rifiutare la candidatura per protesta. Poi invece ha accettato, compattando tutto lo schieramento riformista. Molti gli rimproverano scarsa personalità, anche se la situazione in cui s'è trovato non è certo semplice: deve ripetere le promesse fatte da Khatami 8 anni fa e fin qui disattese.
Gli altri avversari di Rafsanjani non hanno un gran profilo. Si segnalano l'ex capo della polizia Mohammad Baqer Qalibaf, il presidente della televisione di stato Ali Larijani e persino l'ex leader dei pasdaran (il corpo militare a guardia della rivoluzione khomeinista), Mohsen Rezai. Migliori chance potrebbe avere il sindaco di Teheran, Mahmud Ahmadinejad. Tutti, Moin compreso, sperano più che altro nel secondo turno. Perché il 17 giugno, se non sarà superata la soglia del 50% (i sondaggi accreditano Rafsanjani di una percentuale vicina a questa quota), due settimane dopo ci sarà il ballottaggio tra i primi due candidati.
Poco più di un anno fa gli iraniani andarono a votare per il Majlis e anche allora il Consiglio dei Guardiani escluse 2.300 candidati, per lo più riformisti. Per protesta molti decisero di non votare: stravinsero i conservatori, che da allora hanno il controllo del parlamento. İl 17 giugno la storia rischia di ripetersi.