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Intervista a Jean Vanier fondatore delle Comunità dell'Arca
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Pubblichiamo l'intervista rilasciata a Christophe Chaland della rivista francese 'Panorama' a Vanier, fondatore delle Comunità dell'Arca che ringraziamo per la traduzione e concessione del testo.
Dal giorno del 1964 in cui lei ha deciso di abitare con due persone con handicap mentale, ha avvicinato molte sofferenze. Come le ha attraversate?
Le persone che qui accogliamo sono tutte con un corpo sofferente. Ripeto: "corpo". Parlano male, camminano male, hanno delle difficoltà. Soprattutto, con le loro difficoltà corporali e psichiche, quasi tutte hanno subito il rifiuto, che induce collera e depressione. Molti vengono qui senza aver scelto di venire. Vorrei parlarle di una mamma in Lituania. E' lei stessa a raccontare: "La nascita di mia figlia è stata per me una maledizione. Quando viaggiavo con lei sui mezzi pubblici, il modo di guardarci della gente mi feriva a tal punto che, in certi momenti, avrei voluto farla finita. Un giorno entrai in una chiesa dove c'era delle persone che cantavano e ridevano". Era un gruppo "Fede e Luce". Erano una trentina di persone, alcune con un handicap, altre no, che vivono legami di amicizia, di condivisione, di celebrazione. Da allora è entrata nel gruppo insieme alla figlia e "⅀ la mia maledizione è diventata una benedizione" - disse la mamma. Tante persone arrivano qui con il sentimento di una maledizione. Dopo un po' di tempo scoprono la vita, sono felici. Si può andare in uno dei tanti "focolari" (case-famiglia) sparsi nel mondo e, generalmente, vi si trova gioia, uomini e donne in piedi. Questo non vuol dire che non ci siano difficoltà. Ma tutto inizia con l'incontrare il corpo ferito. Siamo fondati, essenzialmente, non sulla parola ma sul corpo.
Possiamo dire che il passaggio dalla maledizione alla benedizione è la risurrezione iniziata?
La resurrezione è iniziata quando ciò che era di più orrendo diventa sorgente di grazia. In fondo a tutto, il mistero pasquale è questo. Sono coloro che sono stati rifiutati a farci entrare in un incontro con Dio. E' la povertà stessa che ci fa scoprire Dio. Oscar Romero (arcivescovo di San Sanvaldor, uomo di dialogo, assassinato celebrando la messa nel 1980) diceva: "La gloria di Dio, sono i poveri!". Qui all'Arca, vi è di particolare che la sete, il desiderio più profondo, in coloro che sono accolti, non è guadagnare denaro, avere il potere, la riuscita sociale. Il loro grido profondo è per la relazione: "Mi ami? Mi accetti?"
E' forse il problema del mondo intero.
Sì, è giusto quello che dice, ma questo problema è coperto. Il nostro mondo è soprattutto rivolto verso la cultura della riuscita, che induce la cultura dell'autonomia: riuscire da solo. Si ha l'impressione, in questo mondo, di non esistere se non si riesce. Ma il fondo dell'essere umano è la relazione.
La risurrezione concerne dunque la relazione?
La risurrezione è un'incontro con Gesù risorto. La risurrezione di Gesù è qualcosa di molto povero. Non si manifesta dentro al Tempio. Cosa fa il Risorto? Incontra appena una donna, Maria di Magdala, e alcuni uomini. La trasmissione della fede avviene attraverso incontri personali. Posso benissimo dire: "Ho incontrato Gesù e mi ha cambiato. Avevo un cuore di pietra, avevo paura della relazione e mi ha aperto il cuore". La trasmissione della fede avviene da me a te, da te ad un altro. Trasmissione che avviene attraverso l'amicizia e la comunione, perché Dio è il Dio della comunione, il Dio della Trinità: il Padre e il Figlio si amano, ci fanno entrare in una relazione trinitaria attraverso la relazione con Gesù.
La religione di Gesù non è una religione fatta di dogmi e di riti, ma è l'incontro con un uomo, che si chiama Gesù; e che è anche il Figlio di Dio. Dunque, tutto è fondato su un incontro amichevole, un incontro da cuore a cuore. Il sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni mi colpisce molto. Dapprima Gesù fa grandi cose, moltiplica i pani e tutti lo vogliono fare re. E dopo dice: "Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui". Gesù rivela che Egli è qui tra noi non per fare grandi cose, ma per dimorare nelle persone affinché entrino in relazione.
E' il mondo della relazione ed è ciò che viviamo qui all'Arca. Non è questione di essere generosi verso le persone con handicap, di fare per loro grandi cose. Si tratta invece di entrare in relazione con loro. Questo significa mangiare alla stessa tavola con loro, far loro il bagno, vivere , celebrare la vita, danzare con loro. La pedagogia profonda dell'Arca, sta proprio qui: dire alle persone "Sono molto contento di vivere con te!".
Si scopre allora che diventare amico di qualcuno che è stato rifiutato ci trasforma. Normalmente, nella società, si sta tra compagni, si ha un'amicizia - che Aristotele chiamava "utile" - con le persone che ci sono simili. Ma, spessissimo, tale amicizia fa sì che ci si rinchiuda nel gruppo. Quando invece entro in relazione con qualcuno di più povero, scopro che dono vita e che l'altro, che mi chiama, mi dona vita chiamandomi.
Da cosa si vede che si entra in relazione?
Da piccole cose: essere felici insieme, ridere insieme⅀ La relazione produce subito una sorta di pace, di connivenza, di gioia. Al cuore dell'Arca ci sta questa parola del Vangelo molto importante: "Quando fai un banchetto, non invitare gli amici, i membri della tua famiglia, i ricchi vicini, ma i poveri, gli storpi, gli infermi, i ciechi e sarai benedetto" (cf. Lc 14). Questo è misterioso: non sono tanto i poveri ad essere felici perché hanno del buon cibo, ma sarai tu stesso ad essere cambiato, perché sarai l'amico di un povero.
E l'altro segno dell'amicizia è la vulnerabilità. Quando amo qualcuno, io non mi proteggo più. Si diventa vulnerabili. Nel mio focolare, da poco è stata accolta Fanny, una ragazza di 22 anni. Ha avuto una vita infelice. Per lei io sono come un nonno - ho oltre cinquant'anni più di lei - e quando entro in casa vedo la sua gioia. E la sua gioia mi dice qualcosa della mia gioia. Lei è felice, quindi sono felice anch'io. La celebrazione è il primo segno dell'amicizia: lascio cadere i miei muri e cominciamo a ridere insieme, condividere insieme, rivelarsi l'uno all'altro, raccontare la nostra storia. Lasciar cader i propri muri interiori, qui sta tutta la vita cristiana.
Così si diventa più liberi?
Diventiamo più liberi. Non ci si protegge più. Ma possiamo dire anche che l' amicizia non è facile quando si è davanti a qualcuno che è profondamente ferito nella psiche, che ha tanta paura della relazione. La storia dell'Arca è la storia di un enorme sostegno psicologico e psichiatrico. Patrick Mathias, lo psichiatra che accompagnava la nostra comunità da 27 anni, è morto improvvisamente. Era un uomo dotato di immensa qualità⅀ Si proclamava non credente, ma era più cristiano di noi tutti. Si preoccupava ad aiutare ognuno a divenire più libero.
La grande attenzione alla dimensione umana vissuta all'Arca influisce sul vostro modo di comprendere la fede?
Sta avvenendo qualcosa di molto importante. Abbiamo avuto la grazia di riflettere con un teologo, Christian Salenson, (direttore dell'Istituto di scienze e di teologia delle religioni di Marsiglia), che ci ha molto aiutato a scoprire i fondamenti dell'Arca. Quanti vengono all'Arca, vivono una esperienza profonda con le persone rifiutate. Prima magari pensavano che esse non avessero alcun valore e improvvisamente scoprono che la relazione con loro è trasformante. Tale teologia dell'esperienza permette di comprendere i musulmani che, venendo all'Arca, vivono qualcosa che li porta ad essere più vicini ad Allah, a lodare Dio. In ogni persona c'è qualcosa dell'infinito, qualcosa di molto bello, di universale. Poi, si scopre anche un Dio vulnerabile e debole.
La sua relazione personale con Dio, come è evoluta?
Vengo da una famiglia cristiana. Adolescente, sono entrato nella Marina. Ho scoperto presto che non c'era alcun senso nell'universo al di fuori di Dio, il creatore di tutte le cose. Ho anche sentito Gesù come un maestro che trasmetteva una visione umana e divina, una visione per il mondo. Una visione profondamente morale e legata alla pratica liturgica. Successivamente, con l'Arca, ho scoperto un Dio che si manifestava nello sguardo del bambino. Il Dio di Gesù che è piccolo. Un Dio che vuole - vi sembrerà strano! - che lo si prenda in braccio.
Un Dio umile. Pensiamo al testo dell'Apocalisse: "Sto alla porta e busso. Se uno ode e mi apre, io entro e divento suo amico" (cf. Ap. 3,20). E' un Dio che non si impone, che attende. Un Dio che dice a Maria: "Diventerai la Madre del Salvatore" e aspetta poi il suo sì. Un Dio che si sottomette alla nostra libertà. Più vado avanti e più sono colpito dalla piccolezza di Dio che dice: "Ho bisogno che mi ami".
Un Dio che anche agisce nella nostra vita?
Quando rileggo la mia storia, scopro cose che lì per lì no capivo. Credevo di essere io ad agire, invece era Gesù che agiva in me. Per esempio, tutta con il Padre Thomas Philippe, in un contesto molto cattolico. La seconda comunità ha preso avvio in un contesto anglicano, in Canada, nel 1969. Nel 1970, la quarta comunità iniziava in India, con musulmani e indù. Quando vedo che oggi siamo dentro fino al collo a problemi interreligiosi ed ecumenici⅀ Io sono convinto che l'origine dell'Arca era già là presente. Non è stata una cosa riflettuta. Dio aveva tutto predisposto⅀ L'Arca ha avuto un inizio molto piccolo.
Oggi nel mondo ci sono 134 comunità (Una ventina sono in fase di costituzione - ndr). E ci sono anche 1500 comunità "Fede e Luce". Ho proprio l'impressione, anzi per me è evidente, che Dio si è servito di me. Come anche di tanti altri. Non ho mai avuto un piano. Ho sempre fatto fatica, ancora oggi, a considerarmi fondatore. Conosco persone che sono state veri e propri fondatori, in quanto sapevano bene ciò che volevano. Io, assolutamente, no! Ho scoperto le ingiustizie che venivano fatte sulle persone con handicap e ho accolto due di esse, perché il Padre Thomas me li aveva fatti incontrare. Pensavo che avrei passato il resto della mia vita con due o tre persone ma poi ho scoperto che ero "seduto su una miniera d'oro": la spiritualità della trasformazione grazie ai poveri, a contatto con i poveri, una nuova visione della Chiesa: la Chiesa dei poveri. Ho scoperto qualcosa di inatteso. L'ecumenismo, l'interreligioso⅀
Ecumenismo e dialogo interreligioso sono temi importanti della vita della Chiesa oggi, insieme con l'opzione preferenziale per i poveri⅀
Si, ma all'Arca, viviamo l'ecumenismo e il dialogo interreligioso attraverso i poveri. Non attraverso un semplice desiderio di ecumenismo o di dialogo interreligioso. Io amo i musulmani non perché voglio essere vicino a loro ma, vivendo con musulmani, ortodossi, protestanti, io li amo. Comincio ad amare le loro origini, le loro intenzioni. E' la vita insieme che ci conduce verso l'ecumenismo o il dialogo interreligioso.
Lei evoca la debolezza di Dio, la sua discrezione. Esse però possono indurre il dubbio. E' stato mai provato nella fede?
No, io non posso dire che sono stato provato nella fede. Ho piuttosto conosciuto le prove della vita comunitaria, i conflitti, la prova di non sapere cosa o come fare, in situazioni difficili. Ho sofferto, per esempio, quando sono andato a Roma, al Pontificio Consiglio per i laici⅀
Eravamo negli anni '80⅀
⅀Quando mi si chiese: "Ma l'Arca è cattolica?". Io risposi: "No, non possiamo dire questo, perché non tutti tra noi sono cattolici. Abbiamo fratelli musulmani, altri non credenti⅀Quello che io vorrei per l'Arca, è uno statuto dato dalla Chiesa per i cattolici della comunità". - Mi è stato risposto: "Con lei non possiamo proseguire la discussione"⅀ Ma anche questo non mi ha portato a dubitare. A volte, vedo che nella Chiesa c'è troppa paura, troppa chiusura. Questo mi rattrista ma non così profondamente. In me, credo ci sia una tale fiducia nella mia esperienza⅀ Ho sperimentato una presenza di Dio. E' un'esperienza fisica: Gesù nascosto nei corpi che soffrono. Credo che la mia fede è sempre stata legata a questa esperienza.
Ha quindi fiducia nella Chiesa cattolica?
Ho sempre avuto fiducia nell'Eucaristia e nel Vangelo. Quando leggo il Vangelo, vi trovo una visione, una prospettiva per tutta la società umana, non solo per quella ecclesiale. Ho vissuto la guerra, ho visto deportati venire da Buchenwald, Dachau. C'è in me qualcosa che mi spinge a lottare per la pace. A ricercare come agire affinché gli esseri umani si uniscano. Il Vangelo rivela un Gesù assetato di unità. Va verso i Greci, verso i Romani, verso i capi dei sacerdoti, verso i lebbrosi, verso i Samaritani. Egli unisce tutti. Tutto il suo messaggio è di riportare all' unità.
Temo che , nella Chiesa, ci si chiuda quando si perde di vista questo messaggio: ogni essere umano è prezioso, al di là del suo handicap, delle sue capacità; ognuno ha bisogno di essere amato e ognuno è importante. Se manca questa visione e viene meno il desiderio di riavvicinare gli esseri umani, ci si rinchiude sulla Chiesa, perché⅀ bisogna difenderla.
La Chiesa non ha assolutamente bisogno di essere protetta, difesa. E' la Chiesa di Gesù. Gesù non ha bisogno di essere protetto. Egli sa quello che fa. Lo Spirito Santo è promesso, nella Chiesa, e quindi non c'è da aver paura! Tutto il messaggio di Gesù consiste nell'affrettarsi ad annunciare una buona novella ai poveri. Il pericolo sta nel realizzare una Chiesa in cui ci si rinchiuda nella fede, purificata!, - si dice -, invece di scoprire che il mistero della Chiesa è innanzitutto un mistero di missione. Annunciare una buona novella, non è fare bei discorsi. E' impegnarsi con i poveri. Non si tratta di dire ai poveri: "Sei amato". Si tratta invece di vivere con loro. Cosa faceva Gesù? Mangiava con peccatori, con prostitute, con persone, le più diverse. Ha rivelato alle persone il suo amore, stando loro vicino, non con le belle parole.
Christophe Chaland
Cosa vuol dire andare verso il povero per uno che ha una famiglia, un lavoro?
Il problema di fondo del mondo è: come riempire il solco che separa gli esseri umani. Posso magari visitare qualcuno in una casa di riposo, diventare amico di qualche altro che è rifiutato. Una infermiera che lavorava in una casa per anziani mi raccontava una bella storia: c'era una donna anziana, inacidita, difficile. Per lei tutto era cattivo. Il cibo era sempre in ritardo, cattivo, freddo. Era sempre critica e nessuno voleva occuparsi di lei.
L'infermiera mi disse: "Decisi di diventare sua amica". All'inizio tutto fu inutile. Un giorno le chiese: "Mi parli di lei, dei suoi figli, di ciò che ha vissuto. Ah! Lei è stata in tale regione di Francia⅀". L'infermiera le è diventata amica e quella donna anziana iniziò a cambiare, a diventare felice. Aveva ora una amica. Ma l'infermiera non poteva restare là tutta la vita. Come fare? Ne abbiamo parlato e le suggerii: "Dille ora: 'Tra un mese dovrò andare via ma ti telefonerò e ti manderò qualche cartolina e spero che anche tu me ne manderai. Anche se ci si lascerà non cambierà niente"⅀
Si tratta di scoprire che, andando verso il povero, noi doniamo vita ed è proprio grazie all'altro che la vita cresce in noi. Avviene così la scoperta di ciò che io chiamo la fecondità. L'importante non è trovare soluzioni a tutti i problemi ma creare legami e scoprire che questo legame mi cambia e mi apre.
Per incontrare l'altro, ci vuole un minimo di interiorità?
E' molto importante. Qui all'Arca, c'è una certa difficoltà perché abbiamo molte cose da fare. Si dice che la vita comunitaria è impossibile se non si ha una vita personale. Constato un duplice movimento tra le persone che sono attirate dall'Arca. Innanzitutto arrivano giovani coppie, di età tra i trenta e i quaranta anni, che hanno fatto esperienza delle difficoltà del mondo moderno e ora vogliono vivere una vita cristiana. Essi sono molto felici. Vedo poi altre persone che dopo aver vissuto dieci, quindici anni di vita contemplativa, rimangono convinti che la contemplazione è molto importante ma ora hanno bisogno d'altro. E' molto diverso quando arrivano giovani che non hanno molta fede, che cadono subito nell'attivismo e non hanno lo stesso gusto del silenzio.
Nella sua vita, molto attiva, è sempre riuscito a ritagliarsi del tempo per la preghiera, per la vita interiore?
Direi di sì. Intanto, io mi sono dato una regola assoluta: trascorrere il mese di agosto in monastero. Lo faccio da quaranta anni, ad eccezione di un periodo in cui ho dovuto ridurre la permanenza a quindici giorni. Sono uno che ha bisogno di pregare. Non soltanto di pregare ma anche bisogno di comprendere. In me c'è un lavoro intellettuale costante. Questo mi fa molto bene. Come se, tra la vita quotidiana e l'orazione, ci fosse bisogno della struttura di una intelligenza. E' necessario per me avere dello spazio e l'ho sempre preso. Ora, passo molto del mio tempo ad annunciare il Vangelo. Per me è molto importante parlare di Gesù come anche dei suoi grandi discepoli che, come lui, sono andati fino in fondo. Martin Luther King, Oscar Romero e tanti altri. Essi hanno annunciato e vissuto la Buona Novella.
di Christophe Chaland della rivista francese 'Panorama'