www.unimondo.org/Notizie/Indonesia-Credevano-a-un-altro-diverso-da-te-151328
Indonesia: “Credevano a un altro diverso da te…”
Notizie
Stampa
Secondo la Costituzione indonesiana sono solo sei le religioni ufficialmente riconosciute nel Paese: Islam, Protestantesimo, Cattolicesimo, Induismo, Buddismo e Confucianesimo. Si tratta di una classificazione voluta dal dittatore Haji Mohammad Suharto che negli anni ‘70 per combattere il movimento comunista e ateo aveva stabilito per legge il riconoscimento dell'appartenenza religiosa. Fino ad oggi i cittadini indonesiani hanno così dovuto obbligatoriamente indicare sulla propria carta d’identità uno di questi sei culti, indipendentemente dalle loro effettive convinzioni, credenze e non credenze. Atei, agnostici, animisti… dovevano almeno formalmente dichiarare la loro vicinanza ad una delle religioni ufficiali, gli altri “dichiararsi per culto di appartenenza”. Almeno fino alla scorsa settima quando il Ministro dell'Interno dell’arcipelago indonesiano Tjahjo Kumolo, dando seguito a una modifica chiesta da tempo dalla politica e dalla società civile, ha annunciato che “I cittadini indonesiani, alla voce religione del loro documento, potranno lasciare uno spazio in bianco oppure indicare una fede anche al di fuori delle sei riconosciute ufficialmente dallo stato”.
L’obbligo di scelta fra le sei religioni riconosciute ha indotto milioni di cittadini indonesiani a dichiararsi ufficialmente “musulmani”, mentre, di fatto, seguono e praticano culti tradizionali indigeni. Eliminare l’obbligatorietà, dunque, potrebbe ridefinire il volto religioso della nazione indonesiana. Tjahjo, membro dell’esecutivo del Presidente Joko Widodo, ha riferito che uno dei motivi principali per il cambio della regola è avere la precisa informazione dei riti funerari da osservare in caso di morte di una persona, garantendo così la sepoltura adeguata al tipo di fede religiosa professata. “Una forma di rispetto per il defunto - ha aggiunto il Ministro - che finora non era stata garantita”. Ma anche se presentata come una “mossa amministrativa”, si tratta di un grande passo avanti in nome della libertà religiosa per gli indonesiani di tutte le fedi e il Ministro pare abbia vagliato i consigli di diversi leader, forum ed enti religiosi (come Consiglio degli Ulema indonesiani e il Ministero degli affari religiosi) prima di giungere a questa decisione.
Dopo anni di battaglie condotte da attivisti, gruppi pro diritti umani ed esponenti delle minoranze, il Governo cambia dunque una norma che è stata a lungo fonte di controversie, abusi ed emarginazione. Uno dei protagonisti di questa modifica è stato Basuki Tjahaja Purnama, il governatore cristiano del distretto della capitale Giacarta. “Per la crescita futura dell’Indonesia occorreva avere il coraggio di modificare una norma ormai desueta” ha detto Purnama, ricordando che in tal modo si potranno “eliminare le discriminazioni che spesso subiscono i cittadini non musulmani, anche in scuole e posti di lavoro pubblici”. Intervistato dalla tv di Stato, Tjahio ha sottolineato che “quanti non sono compresi nelle sei religioni [ufficiali] vanno comunque registrati e abbiamo dato istruzione a tutti i capi distretto perché siano approntate le opportune modifiche in tempi brevi”. Chiaro il messaggio agli amministratori locali, affinché non costringano i cittadini a inserire una fede diversa rispetto a quella professata: “Non costringete le persone a scrivere islam - ha detto il Ministro - anche se la loro fede assomiglia in qualche modo alla religione musulmana, alla cattolica oppure se ne ricorda gli insegnamenti”.
La legge vuole porre un argine alla questione della crescente intolleranza che ha agitato il Paese asiatico negli ultimi anni visto il verificarsi di attacchi sempre più violenti contro le minoranze religiose, in particolare contro i cristiani, musulmani sciiti e ahmadi (piccola setta considerata eretica dall’islam), tanto che alcuni leader religiosi avevano apertamente criticato il precedente presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono, alla guida della repubblica fino all’ottobre 2014, definendolo “complice del clima d’intolleranza”, e hanno fino ad oggi stigmatizzando l’inerzia del Governo nel prevenire e fermare gli attacchi contro queste minoranze perseguitate.
L’”anomala” situazione indonesiana era stata segnalata lo scorso anno anche da un Rapporto del Pew Research Center's Forum on Religion & Public Life, un organismo indipendente di ricerca che ha elaborato un’attenta analisi della libertà religiosa nel Mondo tenendo conto di alcuni fattori obbiettivi capaci di misurare le restrizioni imposte dai poteri pubblici alla libertà di culto in base al tenore delle norme costituzionali, delle leggi ordinarie e alla loro concreta applicazione giurisprudenziale e amministrativa. Prima di questa legge l'indice di limitazioni alla libertà religiosa imposte dai pubblici poteri in Indonesia era sensibilmente più alto dell'indice di restrizioni alle altre libertà civili e politiche. È evidente, dunque, che nel contesto indonesiano la libera espressione della propria fede religiosa non godeva ancora delle stesse garanzie previste per altre conquiste civili.
Adesso anche in Indonesia si comincia a rispondere alle discriminazioni religiose aumentando i diritti, convinti forse, come cantava Fabrizo De Andrè nella celebre Il testamento di Tito “… Credevano a un altro diverso da te e non mi hanno fatto del male…”.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.