Il sentiero della morte

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Foto: M. Canapini ®

A tre sgommate dal confine sorge il piccolo centro abitato di Grimaldi Superiore, ultima frazione di VentimigliaLa vita ruota attorno alla piazzetta sulla quale si affaccia la chiesa degli Angeli Custodi. Supero l’abitato per percorrere la via illegale diretta in Francia, il celebre “passo della morte” ribattezzato “sentiero degli stracci”: usato dai partigiani in fuga dal regime fascista, dagli ebrei colpiti dalle leggi razziali, dagli abitanti della ex Jugoslavia in cerca di salvezza, dai migranti africani oggi e ieri. Un sentiero sterrato immerso nelle prime Alpi Marittime, costellato di indumenti marci, spazzolini, spettri, stencil di pupi stilizzati che indicano apparentemente la retta via. Nelle poche case o borgate rimaste in piedi, divenute rifugi notturni, l’edera cresce rigogliosa e i muri, tombali, conservano parole strozzate. Mort au passeurSul valico escrementi di mucca anticipano il varco aperto nella rete di cinta. Filo spinato ammucchiato, un cartello piantato a terra con su scritto, in entrambi i lati: Francia. Chiudo gli occhi e coi raggi del sole in faccia recito a fior di labbra i versi del poeta Giorgio CaproniConfine diceva il cartello cercai la dogana, non c’era non vidi dietro il cancello ombra di terra straniera. Mi sembra di vederlo, il confine descritto come mostro. Non è un gigante, né un concetto o un’idea. Non è limite, barricata, né terrore. È un fil di ferro arrugginito che paralizza il mondo. “Quanti ricordi legati a questo sentiero” esordisce Monica Di Rocco, arte terapeuta, in attesa sotto le mura di una casetta decrepita. “Qui ci viveva Clotilde, ultima abitante del borgo. Da bambina venivo spesso quassù a camminare insieme ai miei genitori. Erano gli anni ‘80, avevo nove anni. Mi recavo alla Caserma di Grimaldi Superiore, qui vicino, da dove parte esattamente il sentiero della morte. Allora era un flusso migratorio proveniente dall’Africa del nord, oggi dall’Africa subsahariana. Purtroppo, nulla è cambiato, anzi la situazione è peggiorata, diventando una tragedia umana. Però io oggi sono cambiata. Ricordo il monito di mia madre Antonietta: Monica, non andare alla Caserma perché ci sono i marocchini. Oggi, dopo trentasette anni, vivo ancora a Grimaldi Superiore; ho intrapreso, da circa tre anni, un viaggio intensissimo con i migranti, prima con quelli barricati sugli scogli dei Balzi Rossi, poi con quelli del Seminario Vescovile di Bordighera e della Croce Rossa di VentimigliaNon ho più paura perché attraverso l’arte terapia sono entrata in contatto con il loro mondo, scoprendo tanta umanità, gentilezza e ricchezza d’animo. Il fatto è che i migranti e la loro insicurezza di base, passata, presente e futura, sono come gli autoctoni quando vengono colpiti da gravi patologie che li riducono a uno stato di estrema fragilità e dipendenza”.

Chiedo a Monica di raccontarmi in pillole il contenuto del suo libro, intitolato Arte terapia. Un viaggio creativo con i migranti alla frontiera del Ponente ligure. Pratiche e resoconto di un’esperienza. So solamente che l’arte terapia a beneficio dei migranti affetti da psicotrauma è il tema cardine del libro. Brancoliamo lungo gli ultimi metri di sentiero, pizzicandoci le gambe con l’erba alta e secca. I prati circostanti sono ricchi di erbe spontanee: cicoria, tarassaco, malva. “L’arte terapia è precisamente l’arte di usare l’arte a scopo di cura: utilizzando la grafica, il disegno, la pittura, il collage, la modellazione, la scultura, tutte le figure plastiche scaturite dalla creatività. In pratica quello che fa un bambino prima ancora di parlare o scrivere: disegna, scarabocchia, impasta, taglia. Si tratta di gesti, più o meno compiuti, che non ricercano né bellezza estetica né realizzazione pragmatica. Si concentra sul processo creativo che è già terapeutico in sé in quanto ci aiuta a risolvere i conflitti emozionali dando un senso alle nostre esperienze. Nel trattamento di traumi si è rivelata utilissima poiché in forma simbolica si possono esprimere più facilmente emozioni e in un secondo tempo riconoscerle, elaborarle e trasformarle in modo creativo, avviando così percorsi di crescita e trasformazione. Rappresenta un modello potentissimo di inclusione nell’area del disagio sociale. È utilizzata nelle scuole, nei centri creativi, nei centri di salute mentale, nei centri Alzheimer, nell’autismo, negli ospedali pediatrici e attualmente con i migranti. Ha apportato notevoli benefici ai ragazzi che seguo da tre anni circa. Purtroppo, il sistema di accoglienza italiano non è preparato a fornire sufficiente assistenza psicologica a queste persone che hanno vissuto traumi profondi, dapprima nei luoghi di partenza, ma anche dopo, durante il viaggio per raggiungere l’Italia. Molti di loro provengono infatti da Paesi nei quali c’è la guerra o regimi repressivi e, durante il viaggio, sono stati costretti a fermarsi in Libia, dove hanno subito torture di vario tipo, come hanno raccontato e poi disegnato. Nei centri d’accoglienza non ci si occupa abbastanza del loro benessere psichico. Non viene data la possibilità di parlare e di esternare i loro vissuti così traumatici. Nel mio piccolo e con il supporto di alcuni operatori e amici, ho cercato di offrire loro uno spazio protetto e non giudicante, nel quale, attraverso l’arte terapia appunto, hanno potuto esternare i loro tremendi vissuti, confrontandosi con gli altri. Un’immagine vale più di mille parole. È così che, in un processo di sinergia creativa, ho tentato di offrire ai migranti un riconoscimento identitario”. Adam, 24 anni, Sudan: Ho deciso di venire in Europa perché ce l’hanno sempre descritta come luogo di libertà, dove i diritti vengono rispettati e dove è possibile avere un futuro… Se avessi saputo quello che mi aspettava non avrei scelto di venire qui. In Italia non sei libero… Ti costringono a lasciare le impronte, ti impediscono di attraversare la frontiera… Questa non è libertà.                                                          

Rincasiamo. Dal balcone esterno si vede distendersi il mare blu, cristallino, a tratti profondo. “Tra luglio e agosto 2015 ho avuto ai Balzi Rossi il primo incontro coi migranti. Spesso andavo a Mentone e, passando con la macchina, osservavo da lontano la situazione, provando un immenso dispiacere. Una sera, scendendo in frontiera con due amiche per partecipare a una serata musicale di solidarietà, ho compiuto il primo passo. Ciò mi ha spinto a svolgere, all’interno dell’associazione Penelope, un’opera di ascolto e di ricostruzione dell’identità perduta. Ricordo che quando il presidio è stato smantellato per ordine della prefettura di Imperia, tra le macerie c’erano anche le immagini e ricordi tangibili dei migranti. Per me resta un’esperienza indimenticabile; ho capito molte cose in frontiera. Penso a Franco Basaglia e al cavallo blu che sfonda le porte dell’ospedale. Quante frontiere, fisiche e non, sono state erette e quante ancora se ne creano. Ne sono certa: l’unica salvezza che resta è quella della conoscenza. Solo attraverso la conoscenza cadono le frontiere del pregiudizio e della paura”. L’altrove, a volte, resta l’unica possibilità e condanna. Il viaggio reale di un migrante è per definizione uno spostamento nello spazio: un andare altrove, ma anche verso l’ignoto. Alla lontananza geografica che un individuo si trova ad affrontare si aggiunge la più profonda distanza psicologica. Se è vero che il momento in cui gli esiliati si sentono tali non è quando attraversano una frontiera internazionale, ma quando scompare dalla vista la loro casa, lo scompenso mentale compare forse quando si chiedono: ma è tutto reale questo dolore? Ibrahim, una mattina qualunque, ha disegnato un barcone in trasparenza per mostrare il trauma del viaggio in mare: per me il mare è stato molto più duro del deserto; non si respirava, ci si vomitava addosso l’uno con l’altro. Non ho visto la luce del sole per una settimana

All’imbrunire getto un’ultima occhiata alle prime case malmesse che spuntano come funghi lungo il sentiero degli stracci. Dentro le mura crepate il pavimento è ricoperto di vestiti. Trasudano anni, frammenti, secoli di migrazioni. Strato su strato, passo dopo passo, morto dopo morto. Veniamo dall’Etiopia. Abbiamo 20 e 22 anni. Abbiamo studiato ad Addis Abeba. Nostro papà è un politico ed è dovuto scappare alcuni anni fa. Si trova in Norvegia. Dobbiamo raggiungerlo. Mio fratello è partito due anni fa, poi è finito in un carcere libico nel caos che c’è là in Libia. Non riuscivamo come famiglia ad aiutarlo a distanza. Così, sono partito io. E con l’aiuto di tutta la famiglia l’abbiamo tirato fuori.  

La Venere degli stracci, celebre opera dell’artista contemporaneo Michelangelo Pistoletto, è giunta a Ventimiglia pochi giorni orsono. Giace nel retro-cortile della chiesa di Sant’Antonio “delle Gianchette”, capitanata da Don Rito Alvarez, sacerdote colombiano. La Venere presenta un accostamento provocatorio tra un materiale di scarto come lo straccio, espressione della realtà del quotidiano, e la bellezza classica della Venere, voltata di spalle. Per usare le parole di Pistolettogli stracci non sono solo stoffe, a Ventimiglia così come a Lampedusama quel che resta di abiti. Dentro ogni straccio è passata almeno una persona. Quindi c’è l’umanità, tutto quel che l’umanità ha vissuto e che rimane come residuo. E la Venere rigenera la fine. Toure, 33 anni, Costa d’Avorio: Con mia moglie eravamo insegnanti di matematica, parliamo bene francese e abbiamo intenzione di arrivare in Francia. Abbiamo affrontato un viaggio terribile e siamo sopravvissuti solo perché abbiamo acquistato il biglietto di ‘I classe’ che ci ha permesso di ottenere anche il salvagente, grazie al quale non siamo annegati come molti nostri compagni di viaggio… Nessuno immagina come sarà, tutti pensano di arrivare in Europa in poche ore, ma a volte si tratta di giorni e il mare non perdona…”. 

Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).

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