“Il nostro genocidio”: la denuncia di B’Tselem contro Israele

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Foto: Unsplash.com

di Giacomo Cioni

Nel luglio 2025, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha pubblicato un documento intitolato Our Genocide, in cui accusa lo Stato di Israele di aver messo in atto una campagna sistematica di distruzione del popolo palestinese nella Striscia di Gaza. La tesi è netta e drammatica: Israele, secondo B’Tselem, sta commettendo un genocidio, nel senso giuridico e storico del termine.

Il rapporto prende le mosse dal 7 ottobre 2023, data dell’attacco guidato da Hamas e altri gruppi armati palestinesi, che ha causato, secondo fonti israeliane, 1.218 morti, tra cui 882 civili, e 252 sequestri. Quel trauma, scrive B’Tselem, ha prodotto una trasformazione nella risposta politica e militare israeliana: “L’attacco ha generato una sensazione di minaccia esistenziale tale da giustificare, agli occhi dell’opinione pubblica e della leadership, un cambiamento radicale nella politica verso Gaza: dalla repressione al tentativo di distruzione”.

Nel documento si denuncia un’azione strutturata e coerente: “Israele sta conducendo un’azione coordinata per distruggere intenzionalmente la società palestinese nella Striscia di Gaza. In altre parole: Israele sta commettendo un genocidio”. Il termine genocidio, ricordano gli autori, non si limita al massacro fisico. È definito dalla Convenzione ONU del 1948 come l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, attraverso pratiche che includono omicidi, trasferimenti forzati, impedimento alla nascita, distruzione delle condizioni di vita, violenza sessuale e persecuzione culturale. B’Tselem ritiene che tutti questi elementi siano riscontrabili nel caso di Gaza.

Il report descrive in dettaglio gli strumenti messi in atto: bombardamenti su aree civili, distruzione di ospedali, scuole e infrastrutture vitali, blocco degli aiuti umanitari, sfollamento di massa, incarcerazioni arbitrarie, tortura sistematica e attacchi mirati a campi profughi e sedi UNRWA.

La popolazione civile, composta da oltre 2 milioni di persone, è oggetto – secondo B’Tselem – di un assalto che ha “conseguenze gravi e, almeno in parte, irreparabili”. Il danno non è solo fisico, ma anche psicologico, culturale e identitario. Viene citata la distruzione della coesione sociale, l’interruzione dell’istruzione, e la dissoluzione dei legami familiari a causa della guerra e della diaspora forzata.

Il documento insiste su un punto cruciale: il genocidio è un processo che si sviluppa nel tempo. Non si tratta di un evento improvviso, ma di un sistema di pratiche parallele, coordinate, portate avanti da un’autorità con piena consapevolezza politica e militare. B’Tselem inserisce questi eventi in una cornice storica più ampia, denunciando un regime di apartheid e occupazione che Israele esercita da oltre 70 anni sui palestinesi. Tre sono i pilastri che, secondo l’organizzazione, hanno reso possibile l’attuale escalation: “un sistema di separazione etnica e ingegneria demografica; violenza istituzionalizzata e impunita; meccanismi di disumanizzazione che rappresentano i palestinesi come una minaccia esistenziale permanente”.

Il report evidenzia che le violenze non sono confinate a Gaza: anche in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nelle città miste dentro Israele si moltiplicano gli episodi di repressione estrema, uccisioni arbitrarie, arresti indiscriminati e sgomberi. “Tutto ciò accade in assenza di meccanismi di responsabilità, con la progressiva normalizzazione dell’eccezione permanente”.

B’Tselem dedica un’intera sezione alla comunità internazionale, che definisce corresponsabile del disastro. “Molti Stati, in particolare Stati Uniti ed Europa, hanno continuato a fornire copertura politica, diplomatica e militare all’operazione israeliana, affermando il diritto alla difesa anche di fronte a prove documentate di crimini di guerra”.

Secondo il report, la sistematica inattività delle istituzioni internazionali ha permesso l’aggravarsi della crisi. L’assenza di meccanismi efficaci di pressione, unita alla passività diplomatica, ha di fatto normalizzato l’orrore, rendendolo parte di una strategia tollerata e replicabile. “Senza questa passività globale, l’annientamento in corso non sarebbe stato possibile su tale scala”, si legge nel testo.

Il rapporto si conclude con un richiamo etico e politico alla mobilitazione: “In quanto attivisti e testimoni, e in quanto persone che vivono su questa terra, abbiamo il dovere di documentare, nominare e denunciare ciò che sta accadendo. Viviamo sotto un regime che attribuisce diritti solo a chi è ebreo e nega protezione a chi è palestinese. Lottiamo insieme per vivere, dal fiume al mare, senza discriminazione né annientamento”.

Fondata nel 1989, B’Tselem è una delle più importanti ONG israelianeQualche mese fa l’Atlante delle Guerre ha ospitato un con il racconto della visita guidata di Sarit Michaeli, International Outreach Director di B’ Tselem al quartiere Silwan di Gerusalemme Est. Our Genocide è l’atto d’accusa più radicale della ONG. Il suo appello è inequivocabile: fermare il genocidio, prima che si estenda oltre Gaza, con tutti gli strumenti del diritto internazionale.

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