Il mondo si cambia dopo le mareggiate

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Un rifiuto arrivato dal mare diventa un’opera d’arte con Sergio Scarcelli

Sergio Scarcelli, ti definisci artista o artigiano? 

«Preferirei “creativo”. La definizione di artista non mi appartiene, come quella di artigiano, che è mutata dagli anni ‘50 ad oggi: prima era l’artista del popolo e poi è diventato produttore di beni. Io non produco beni, produco pensieri, produco immagini diverse, produco follie».

 
Nei tuoi laboratori insegni a manipolare e gestire i materiali, che è una competenza che si sta perdendo. Cosa proponi ai bambini e come è lavorare con loro piuttosto che con gli adolescenti o gli adulti? 

«Con i bambini c’è un entusiasmo, una marcia in più, mentre i ragazzi di scuola media sono in una fascia di età più complicata e bisogna strutturare per loro un laboratorio ad ok. Quelli delle scuole medie superiori, invece, negli ultimi anni mostrano interessa per il riciclo dei materiali, e per l’applicazione manuale, ma sono i bambini quelli che oggi bisogna formare. Con loro, in genere fino all’età della quinta elementare, si riesce a lavorare bene perché non hanno ancora acquisito quell’automatismo di movimenti richiesto dai cellulari o dal computer, movimenti rigidi,minimi e sempre uguali che li allontanano dalla manualità. La manualità è un grande patrimonio per l’essere umano, togliere ai bambini questa proprietà significa impoverirli. Riappropriarsene invece significa non solo conoscere il materiale ma trasformarlo e questo rende la mente più aperta e libera, perché si riesce a vedere l’aspetto dei materiali in diverse funzioni, non soltanto a livello progettuale e virtuale, ma proprio “rendendosi conto con le mani”: partendo dagli aspetti più semplici, quelli che noi diamo ormai per scontati, si arriva a presentare loro aspetti più … complessi e dettagliati. In questo laboratorio in particolare insegno la tecnica per realizzare un libro con i cartoni recuperati dai supermercati. Il bambino così non solo impara a non sprecare carta, ma senza comprare nulla, spendendo niente, si diverte come vuole, usando e incollando qualsiasi tipo di materiale, facendosi il libro del suo racconto». 

Uno dei messaggi più belli che hai lanciato è forse quello di far nascere, da un rifiuto arrivato dal mare, un’opera d’arte. Quanti rifiuti hai recuperato dal mare? 

«Per avere un’idea: ogni anno carico interamente la mia auto, sul portapacchi e all’interno, quattro, anche cinque volte, in particolare nel periodo che va da fine febbraio sino a fine aprile, dopo le grandi mareggiate. L’anno scorso ho trovato a Torre Quetta quasi 300 metri di tubo. Non ho potuto prenderlo né so che fine abbia fatto. L’Amiu, da me avvertita, mi ha detto che la cosa è di competenza della Capitaneria di porto, e a questo punto io solleverei un dubbio: quei tubi provengono da impianti di pescicoltura, e la Capitaneria dovrebbe essere informata su chi in quel momento sta smantellando e controllare che non getti in mare, perché quando quella roba arriva sulle spiagge è un problema. I tubi in pvc, ad esempio: io ne ho trovato uno lungo 5 metri, me lo sono caricato sulla macchina e l’ho portato via, a rischio di prendere la multa dai carabinieri. Non ci si rende conto che a furia di sbattere sugli scogli rilasciano micro-particelle tossiche. Io ho fatto la scelta, invece non solo di togliere questi materiali dalla costa ma di toglierli definitivamente dal circuito dei rifiuti. Negli stessi laboratori del riuso e del riciclo, ad esempio, molto spesso, senza pensarci, si producono materiali speciali, che magari finito il laboratorio e trascorso un po’ di tempo tornano nel circuito dei rifiuti. Ma noi abbiamo il problema inverso: sottrarre dal circuito dei rifiuti più materiale possibile. Perciò ritengo importante cercare di impiegare il materiale in opere che rimangono, che sia un allestimento stabile o una struttura modulare, ma che sia qualcosa che rimane. Ci vorrebbe questa mentalità per fare un salto di qualità, perché se aumentano i rifiuti, pur in tempo di crisi, non c’è solo l’aspetto della diseducazione e dell’abitudine a gettare. C’è anche una responsabilità dei produttori e dell’industria, che immette nel circuito materiali, spesso plastici, realizzati in modo che non siano più smontabili e recuperabili, se non nei grandi circuiti impiantistici. Così restiamo consumatori soltanto, ed io non ci sto». 

Giuseppe Miccoli  da Ecodallecitta.it

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