www.unimondo.org/Notizie/Il-buio-oltre-il-vaccino-221906
Il buio oltre il vaccino
Notizie
Stampa

Foto: Unsplash.com
Al di là della pur necessaria campagna vaccinale, dopo due anni di pandemia nulla è stato fatto su sanità, scuola, trasporti pubblici. Il governo promette di tornare al «come eravamo» per impedire che si rifletta sul «come vorremmo essere»
È facile etichettare come superficiali, contorte, anche un po’ cialtronesche le ultime misure del governo per frenare il contagio da Covid-19. Basta leggere integralmente il comunicato del 29 dicembre 2021 con cui si spiegano le nuove disposizioni sulla quarantena per ritrovarsi in un contesto surreale:
Il decreto prevede che la quarantena precauzionale non si applica a coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al COVID-19 nei 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale primario o dalla guarigione nonché dopo la somministrazione della dose di richiamo. Fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al caso, ai suddetti soggetti è fatto obbligo di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 e di effettuare – solo qualora sintomatici – un test antigenico rapido o molecolare al quinto giorno successivo all’ultima esposizione al caso. Infine, si prevede che la cessazione della quarantena o dell’auto-sorveglianza sopradescritta consegua all’esito negativo di un test antigenico rapido o molecolare, effettuato anche presso centri privati; in tale ultimo caso la trasmissione all’Asl del referto a esito negativo, con modalità anche elettroniche, determina la cessazione di quarantena o del periodo di auto-sorveglianza.
Si tratta di una definizione degna delle parole crociate, poco comprensibile se non dopo un’attenta diagnosi semantica e letterale. Ci asteniamo dal pubblicare il testo del decreto, con i vari rimandi ai commi e agli articoli di legge, per non infierire su chi legge.
Oltre la cialtroneria, la propaganda, la sicumera di chi spaccia la perdita di qualsiasi controllo della situazione per gestione ordinata, c’è però la sostanza del problema, la natura del governo, la natura della gestione della pandemia in ogni paese occidentale: evitare a tutti i costi misure ragionevoli di riduzione delle attività, potenziare il lavoro in smartworking e soprattutto adottare provvedimenti sostanziali su scuole, trasporti, tracciamenti e in particolare sanità. Eppure, dal marzo 2020 a oggi non è stato fatto nulla di significativo. Nulla nel vero senso della parola.
Nell’ultima legge di bilancio, tanto per partire dall’esempio più concreto, per la sanità sono stati stanziati due miliardi, al netto delle risorse previste dal Piano nazionale di ricostruzione e resilienza di cui ci occuperemo più avanti. Due miliardi per ogni anno fino al 2024 oltre a 90 milioni di incentivi per chi lavora nei Pronto soccorso dove si sta verificando un esodo dettato da condizioni di lavoro impossibili. Il costo complessivo della sanità italiana è di circa 122 miliardi e quindi si può ben capire che i due miliardi della legge di Bilancio sono briciole per placarsi la coscienza. Dentro ci si trova la stabilizzazione di 33 mila operatori e operatrici, ma occorre sapere che secondo la Federazione che rappresenta i manager di Asl e ospedali (la Fiaso) la platea interessata sarebbe di 66.029 unità. Dopo due anni di pandemia si è prodotto un intervento dimezzato rispetto alle necessità minime.
Anche perché il numero di medici e odontoiatri impiegati nelle strutture di ricovero pubbliche e private accreditate è sceso del 4,7 per cento dal 2010 al 2017. Nel resto dei paesi Ocse si sono invece registrati aumenti importanti come il 23 per cento della Germania e il 15 per cento della Danimarca. Anche il numero di infermieri è sceso (-7,2 per cento nel periodo 2010-2017).
Questi dati, e gli altri che vedremo, vengono da un documento insospettabile prodotto dall’Osservatorio sui Conti pubblici italiani (Opci) che vede nel comitato direttivo figure come Carlo Cottarelli, Veronica De Romanis, Ferruccio De Bortoli o Roberto Perotti, certamente non accusabili di posizioni stataliste. Ebbene, secondo i dati del ministero della Salute, si legge nel testo dell’Opci, «tra il 2010 e il 2018 i posti letto fra strutture pubbliche e private convenzionate con il Ssn sono scesi del 13,7 per cento in termini assoluti e del 15,5 per cento in rapporto alla popolazione». Si tratta di un trend decrescente presente in quasi tutti i paesi considerati dall’Ocse. Le ragioni del calo sono quelle ampiamente spiegate e giustificate negli ultimi anni: riduzione dell’ospedalizzazione con aumento dell’assistenza territoriale e domiciliare. Come abbia funzionato questa pratica, propagandata come medicina miracolosa, lo ha ben illustrato la Lombardia nel periodo più buio dell’emergenza Covid: né assistenza territoriale né posti letto sufficienti. Non è un caso se la metà dei fondi del Pnrr, 7 dei 15 miliardi per la Salute, verranno dirottati proprio sull’assistenza territoriale. I conti, negativi, tornano anche con il dato sulle terapie intensive che vedono il dato dell’Italia nel 2018 al di sotto della media dei 22 paesi considerati dall’Ocse «posizionandosi al di sotto di Francia, Germania, Austria e Stati Uniti, ma al di sopra di Spagna, Norvegia, Paesi Bassi e Giappone»...