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Il Kenya al voto tra tensioni e desiderio di pace
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Domani la popolazione del Kenya andrà alle urne: circa 48 milioni e mezzo di persone (dati Banca Mondiale, 2016) saranno chiamati a scegliere il proprio presidente, così come i rappresentanti di contea. In realtà i votanti sono poco più di 19 milioni in quanto, per poter recarsi ai seggi, occorre registrarsi.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, questi ultimi rivestono una grande importanza: con migliaia di seggi a disposizione, controllano una fetta importante della ricchezza del Paese. Le contee del Kenya, 47 in tutto, sono state create con la modifica della Costituzione avvenuta nel 2010; l'ottica era quella di un decentramento di poteri, inteso come strumento per una divisione più equa delle risorse. Sono però in molti a pensare che questo decentramento abbia solo portato ad un aumento della corruzione invece della pace nelle relazioni tra le etnie. Nel 2007, all'indomani delle elezioni ci fu un conflitto politico ed etnico che nel giro di un mese aveva portato alla morte di oltre un migliaio di persone ed a circa 600.000 sfollati interni (fonte: BBC). La preoccupazione che la situazione si ripeta è ben presente.
Ogni consultazione è accompagnata dalla creazione di commissioni volte a fugare ogni dubbio sull'imparzialità delle elezioni: nel 2007 la Electoral Commission of Kenya era stata fortemente criticata per le violenze; quindi era stata sostituita dalla Interim independent Electoral Commission of Kenya (IIEC). Infine nel 2011 quest’ultimo organismo si è trasformato nella Independent Electoral and Boundaries Commission che ha in carico la gestione delle attuali elezioni.
Ad oggi voci critiche affermano che nonostante tutti gli sforzi la Commissione non sia ancora pronta a gestire le elezioni dell'8 agosto; a rinforzare queste voci la notizia – confermata dai consulenti di KPGM East Africa – che nelle liste elettorali siano potenzialmente presenti i nominativi di circa un milione di persone in realtà decedute. Oltre a questa constatazione, che getta un’ombra sull’affidabilità dell’elenco degli elettori registrati, il rischio che il sistema elettronico di identificazione biometrica collassi – come già era accaduto nelle precedenti elezioni – è purtroppo reale.
Per quanto riguarda le presidenziali, la sfida è principalmente tra Uhuru Kenyatta, presidente uscente e leader della coalizione denominata Jubilee Alliance, e Raila Odinga, suo principale oppositore, che guida la coalizione denominata National Super Alliance (NASA). Ricordiamo che, sempre in seguito alla riforma costituzionale avvenuta nel 2010 e poi entrata in vigore nel 2013, è stata abolita la figura del primo ministro – carica ricoperta proprio da Odinga – e il Paese si è trasformato in una Repubblica presidenziale.
Uhuru afferma di aver favorito il progresso del Paese grazie ad una serie di massicci investimenti nelle infrastrutture: una ferrovia che attraversa il Kenya ed una rete stradale più estesa ed efficiente. Con un ulteriore mandato potrebbe portare a termine i lavori.
Raila, dal canto suo, afferma che questi progetti siano troppo ambiziosi e che finiranno per esaurire tutte le risorse economiche del Paese. Si definisce dalla parte delle persone, e promette di creare posti di lavoro e diminuire il costo dei generi alimentari. Raila non è alle prime armi: è infatti la quarta volta che corre per la presidenza (nel 1997, 2007, 2012).
L. MuthoniWanyeki, keniana, direttrice regionale di Amnesty International, ha paragonato i due candidati ai partiti politici europei e statunitensi, identificando il presidente uscente come conservatore e l'opposizione come democratica. Dal suo punto di vista i programmi, paradossalmente, contano gran poco: “Aggiungi i programmi, rimesta, e poi dimenticati di loro...”, afferma in un articolo di luglio pubblicato su East African, e non si riferisce solo ai politici. Secondo lei le persone, in Kenya, voteranno di pancia e non con la testa. Chiunque vincerà, si troverà a fronteggiare grandi problemi: la corruzione nel settore pubblico, la siccità nel nord del Paese, la disoccupazione dilagante, il crescente aumento del costo della vita, e non da ultimo la lotta contro la jihad nella vicina Somalia. Tutto questo in un Paese essenziale per la stabilità dell'area e con un PIL in crescita del 5-6% all'anno.
La campagna elettorale, come ci si aspettava, è stata infuocata, purtroppo anche con episodi di violenza culminati con l’uccisione di Chris Msando, il responsabile della Independent Electoral and Boundaries Commission, assassinato il 27 luglio scorso. Una vicenda che ha gettato un’ombra oscura sulle elezioni.
Proprio lo stesso giorno, si è svolta la Peace Caravan, un’iniziativa nell’ambito del Community Program for Peace and Reconciliation organizzato dal Saint Martin CSA. Seguendo il tipico modo di fare “campagna elettorale” in Kenya – uno stile ormai desueto alle nostre latitudini – sono stati noleggiati due camion capienti, in grado cioè di trasportare volontari e operatori del progetto e altoparlanti per diffondere parole e musica. L’obiettivo era quello di parlare del tema delle elezioni in modo pacifico, senza schierarsi per nessun contendente. Villaggio dopo villaggio la carovana, partita da Nyahururu, ha percorso gran parte della Contea del Nyandarua (mentre, a causa di alcune tensioni, non si è potuta recare nelle contee del Laikipia e del Baringo) suscitando la curiosità e l’interesse della gente. I cittadini infatti, si sono stupiti per il fatto che la Carovana avesse l’intento di informare e di formare, piuttosto che invitare al voto per questo o per quello schieramento in campo. Il progetto Peace Caravan è stato l’ultimo passo di un percorso più lungo cominciato dai funzionari pubblici, membri della burocrazia statale che avrebbero proprio il compito di “spiegare” alla gente i vari meccanismi democratici. Ad ogni tappa della Carovana, contrassegnata da un clima non solo pacifico ma anche festoso con balli e comizi, era presente uno di questi funzionari, segno di una sinergia positiva tra le istituzioni statali e le iniziative dell’associazionismo. Ora non resta che aspettare.
Novella Benedetti

Giornalista pubblicista; appassionata di lingue e linguistica; attualmente dottoranda in traduzione, genere, e studi culturali presso UVic-UCC. Lavora come consulente linguistica collaborando con varie realtà del pubblico e del privato (corsi classici, percorsi di coaching linguistico, valutazioni di livello) e nel tempo libero ha creato Yoga Hub Trento – una piattaforma che riunisce varie professionalità legate al benessere personale. È insegnante certificata di yoga.