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Il Giovedì Santo che non ci fu
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L'arcivescovo ci aveva tenuto sempre: "Il Giovedì Santo, fino alle quattro del pomeriggio è di noi preti. Non prendetevi altri impegni. Vi voglio tutti alla Santa Messa Crismale e poi staremo un po' insieme in fraterno convivio". Il "fraterno convivio" consisteva in un pranzo alla buona che i preti consumavano in fretta per correre poi nelle loro parrocchie dove li aspettavano gli ultimi preparativi della Messa della "Cena del Signore" che la gente preferiva chiamare "Messa del lava-piedi". Alle nove la maestosa cattedrale brulicava di gente. I preti si rivestivano dei paramenti in mezzo ai fedeli. C'erano anche i diaconi permanenti con le stole incrociate, i seminaristi con la tunica da cerimonia, i novizi delle numerose congregazioni.
All'ora prevista la processione si avviò verso l'altare, accompagnata dal canto di migliaia di voci. Lo spazioso presbiterio si popolò di sacerdoti, diaconi e seminaristi. L'arcivescovo, accompagnato dagli inservienti, sotto l'attenta regia del cerimoniere, incensò l'altare e andò a sedersi nel suo trono. Ascoltò le prime parole del vicario generale che ricordava il significato delle celebrazioni della giornata. Poi dovette prestare attenzione al cerimoniere che gli sussurrava qualcosa all'orecchio. Ogni tanto gli giungevano parole isolate dal microfono ma erano parole tanto usuali da non suscitare nessuna reazione da parte sua.
LE "STRANE" PAROLE DI DON ARLINDO
La reazione era enorme, invece, nel clero e negli altri fedeli che gremivano le navate. Infatti don Arlindo stava dicendo, con la voce più neutrale del mondo:
- Quest'anno il signor cardinale, accompagnato dal suo amato clero e da tutti quelli che vorranno partecipare, anticiperà il rito del lava-piedi invitando alla sua mensa i poveri della città, gli accattoni, gli invalidi, coloro che, non avendo casa, abitano sul marciapiede. Sarà un modo più evangelico di celebrare la Santa Cena in quest'anno dedicato all'eucaristia. Il brusio suscitato da queste parole, durante un rito religioso, fu così "chiassoso" da attrarre l'attenzione del cardinale arcivescovo che, liberatosi finalmente dal cerimoniere ed udite le ultime parole del suo vicario generale le confermò, pur senza averne capito il contenuto:
- Sì, fratelli e sorelle carissime, non possiamo celebrare questo giorno, nell'anno eucaristico, come tutti gli altri anni. Faremo come Gesù farebbe se fosse qui al mio posto. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace sia con voi!
Sentì che c'era qualcosa nell'aria, vide occhi sbarrati puntati su di lui, ma rispose con il suo candido sorriso abituale. E continuò la Messa come se nulla fosse. Chi aveva capito il messaggio non era in chiesa. Erano Raimundo Codò, lo sciancato che chiedeva l'elemosina sulla porta del tempio, e Nair Botelho, la vecchia paralitica in seggiola a rotelle che gli faceva concorrenza dall'altra parte della scalinata. Scambiarono un'occhiata e partirono a tutta velocità. Nair andò a parlare con i tassisti che posteggiavano in un angolo della piazza, Raimundo Codò, con la sua stampella che faceva toc toc sul marciapiede con straordinaria velocità, arrancava in direzione della stazione delle corriere, luogo di rifugio dei senza tetto, dei barboni, dei rifiuti della società. La notizia si sparse come un fulmine nel mondo dei "senza nulla" e dopo mezz'ora, mentre il cardinale, ignaro di tutto, leggeva la sua bella omelia sull'amore misericordioso del Signore, una processione di sofferenti si avviava verso l'episcopio (in quel giorno e a quell'ora a cancelli spalancati) e n'occupava il vasto giardino.
IL PRANZO CONDIVISO
Davanti a quella moltitudine che aveva invaso il giardino dell'arcivescovato e stava ingrossando ad ogni istante, il guardiano si vide totalmente perduto. Volle avvisare don Arlindo, ma a quell'ora il suo telefonino era spento. D'altra parte gli "invasori" gli passavano accanto con la più assoluta naturalità, lo salutavano cordialmente, gli sorridevano... Quando ebbe il coraggio di chiedere cosa stessero facendo lì a quell'ora, gli risposero con tutta semplicità, gli occhi illuminati d'orgoglio:
- Il cardinale ci ha invitato a pranzo con lui!...
Nel frattempo la messa era alla fine. Dopo la benedizione e la consegna degli Oli appena benedetti ai rappresentanti delle 125 parrocchie, il cardinale disse alcune parole di circostanza a modo di saluto, rinnovò gli auguri e la sua gratitudine al suo clero e lo invitò a continuare la celebrazione nel suo palazzo, "come vi ha spiegato don Arlindo all'inizio della celebrazione".
Il putiferio scoppiò in sacrestia quando ancora il cardinale non si era ancora tolto i paramenti.
- Ma, Eminenza, che cosa le è saltato in testa? - lo apostrofò don Vanderlino Kunz, che gli era stato compagno di seminario e a volte si dimenticava che adesso era suo arcivescovo.
- Che cosa è successo? - chiese sorpreso il porporato mentre decine di sacerdoti facevano ressa per capire la "novità".
- Non ha sentito don Arlindo all'inizio della messa? Cosa sarebbe questo "pranzo per i poveri servito dai sacerdoti e dall'arcivescovo in memoria della lavanda dei piedi di Gesù nell'ultima cena?"
- No. Non ne so nulla. Dov'è don Arlindo?
Don Arlindo era in un angolo della sagrestia. Stava parlando al telefonino, gesticolando e, apparentemente, discutendo con il suo interlocutore. All'appello del cardinale, chiuse la conversazione con un "Ti richiamo tra poco. Mantieni la calma!"
- Don Arlindo, che pasticcio mi fa? Cosa le è saltato in testa?
- È quello che vorrei capire anche io, Eminenza. Stavo appunto parlando con il portinaio dell'arcivescovado che mi ha detto che vostra Eminenza ha invitato i poveri della città a pranzo. Il vostro palazzo e il giardino brulicano di gente che la attende...
- Ma io non ne so niente. Deve trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto...
- No, Eminenza, - intervenne don Vanderlino - è stato don Arlindo a fare l'invito a nome vostro, all'inizio della messa.
- Io? - si difese don Arlindo - Io ho detto che anche quest'anno il signor cardinale invita il suo clero alla sua mensa per ricordare l'istituzione del sacerdozio ministeriale e prepararci così fraternamente alla celebrazione della Santa Cena in quest'anno dedicato all'eucaristia. Guardate qui il foglio che ho letto. In certe occasioni io non improvviso neanche una parola.
- Quel che c'è scritto sulla carta non conta - disse eccitato don Severino, segretario del cardinale - Mi hanno appena comunicato che l'arcivescovado brulica di gente, aspettando vostra Eminenza per il pranzo.
- E adesso, che cosa facciamo?
- Andiamo a vedere e decideremo come il Signore Gesù c'ispirerà. Chiedo che nessun sacerdote né i laici, seminaristi e religiosi mi abbandonino né facciano qualsiasi gesto inconsulto.
L'"OPERAZIONE ARICIVESCOVADO"
La preoccupazione del cardinale non aveva motivo di esistere. Ancora una volta le "pie donne" erano state più svelte del clero. La signora Mariene, era uscita in fretta dalla chiesa, subito dopo la comunione, portandosi dietro le signore dell'Apostolato della Preghiera e della Legione di Maria. Davanti all'arcivescovado, occupato da quella folla di miserabili, avevano capito al volo la situazione. Le cabine telefoniche delle vicinanze furono invase e in pochi minuti mariti, figli, generi furono messi in moto dagli ordini perentori delle rispettive consorti, madri, suocere. L' "Operazione arcivescovado" significava trovare cibo pronto per una moltitudine d'affamati, sandali, scarpe e vestiti per centinaia di bisognosi, tavoli, seggiole, piatti, posate, materiale igienico, persone disposte a servire il pranzo, far giocare i ragazzi, garantire un pronto soccorso per eventuali sorprese... "Dobbiamo fare una festa con i fiocchi agli invitati del cardinale" era la parola d'ordine della signora Mariene.
Quando l'arcivescovo uscì dalla cattedrale, accompagnato, preceduto, attorniato da sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e fedeli che avevano preso parte alla celebrazione e adesso erano curiosi di vedere come sarebbe andata a finire la cosa, si trovarono a percorrere lo stesso marciapiede e poi la stessa strada dell'interminabile fila di "esclusi" che andavano nella stessa direzione. All'inizio il volto del cardinale mostrava preoccupazione e fastidio per questa "novità" che gli era capitata tra capo e collo. Ma fu per poco tempo: al suo passaggio i poveri, specialmente i ragazzi e gli invalidi s'infiltrarono nel suo seguito e cominciarono a ringraziarlo, applaudirlo...
- Che Dio la benedica! Finalmente un figlio di Dio si è ricordato di noi!
- Signor arcivescovo, grazie infinite!
Molti volevano toccarlo, ma si vergognavano di stringere nella loro mano callosa o deforme, quella fina e candida del vescovo. Chi fece il primo passo fu proprio lui, il cardinale arcivescovo: sentendo una commozione da lungo tempo dimenticata. Poi cominciò ad allungare la mano per stringere quella degli sciancati, degli straccioni, di tutti quelli che "non erano del suo gruppo. Nell'arcivescovado fu ricevuto da un applauso immenso. Tutti volevano parlargli, baciargli la mano.
La scatenata signora Marlene aveva pensato a tutto: il complesso musicale di suo nipote era già installato e suonava una musica popolare dei tempi di Noè, facendo la felicità dei più anziani. Quando il cardinale si avvicinò al palco improvvisato, gli offrirono il microfono. Ci fu un silenzio generale.
- Amici e amiche, sono molto contento che siate qui. Siate i benvenuti. Perdonatemi se vi ho fatto aspettare tanto. Non so se avremo cibo per tutti, ma quello che abbiamo lo mangeremo insieme. Buon appetito e il Signore ci benedica.
La voce gli mancò, ma non n'aveva bisogno. L'applauso dei presenti fu più forte che qualsiasi altoparlante. E quello che si vide poi fu la predica più eloquente del mondo. Il cardinale, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi trasformati in perfetti camerieri che accorrevano dove un piatto restava vuoto, dove una bottiglia scendeva a livelli troppo bassi, dove un nuovo arrivato stentava a trovare posto.
Il cardinale, in un tavolo in cui si era intrufolata Maria Botelho, dimenticata la severa dieta prescritta dal suo cardiologo, prendeva dallo stesso piatto forchettate di pasta e schegge di churrasco , in una giovialità che solo ogni tanto s'interrompeva, quando pensava: "Da dove viene tutto questo ben di Dio?". Lui non lo sapeva, ma lo sapeva bene la signora Mariene e le sue aiutanti, che avevano fatto aprire il portone di servizio, in fondo al giardino e di là arrivavano camion del servizio consegne dei supermercati della città, dei restauranti messi sull'avviso dalle infaticabili "beate".
E fu la volta del signor Ederaldo, presidente dei commercianti della città. Preso in mano il microfono, chiese silenzio:
- Il nostro caro cardinale vorrebbe dare un ricordino a ciascuno di voi. Lo so che siete tanti, ma il suo cuore di padre non vuol lasciar fuori nessuno. I seminaristi passeranno di tavola in tavola e ciascuno può esprimere il suo desiderio. Faremo il possibile per accontentare tutti...
Il giorno era proprio destinato a fare il miracolo completo: la discrezione delle richieste e la generosità dei commercianti lo realizzarono in un batter d'occhio.
Cosa da racconto di favole: nessun incidente, nessun contrattempo. Tutto così perfetto che nessuno voleva andarsene. Chi ruppe l'incantesimo fu don Vanderlino, parroco di due grosse parrocchie della periferia. Guardò l'orologio e andò affrettato a salutare il cardinale:
- Bisogna che vada. Ho due messe con la lavanda dei piedi...
- E ce n'è bisogno? - avrebbe voluto rispondergli l'arcivescovo, beato in quel clima che Dio gli aveva regalato.
Ma tacque. Ancora non era sicuro se viveva un sogno o un miracolo...
di Savio Corinaldesi
da MISSIONE OGGI